Ancora morti sul lavoro. Fatalità o criminalità?

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Ancora morti sul lavoro. Fatalità o criminalità?

Le cronache di questi giorni ci riportano ancora uno stillicidio di morti sul lavoro. Ancora morti in Toscana, al porto industriale di Livorno, ancora morti in Sicilia, due vigili del fuoco a Catania e ancora altri due operai ieri a Treviglio (Bg). Tre casi emblematici di morti multiple, nel privato e nel pubblico impiego.  

Tutti ora fanno a gara a battersi il petto e riconoscere che la maggioranza degli infortuni è causata dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza. Ma ciò è dovuto a qualcosa a cui si può porre rimedio o è un fenomeno inevitabile, come un fenomeno naturale? Le norme di sicurezza costa applicarle e ciò va in controtendenza alla caccia inesorabile da parte del padrone al massimo profitto nel privato e alla riduzione degli “sprechi” nella pubblica amministrazione.  

Dall’inizio del 2018 sul lavoro sono morte 151 persone in 3 mesi: quasi due al giorno con un aumento del 10.7% rispetto al 2017 dove, secondo l’INAIL, già si registrò un incremento dell’1,8% nei primi 11 mesi. 

Le cause di morte sul posto di lavoro sono di natura abbastanza prevedibile: caduta dall’alto, soprattutto in edilizia, schiacciati da mezzi pesanti in agricoltura.  

Nel valutare l’aumento di morti e incidenti bisogna tenere conto anche che nell’ultimo anno è cresciuto il numero degli occupati, ma nel complesso le ore lavorate sono diminuite e quindi non si può fare il giochino di prestigio statistico di diluire queste morti in più nel numero di occupati in più.  

Secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna nel 2017 i morti sui luoghi di lavoro sono stati 632, oltre 1350 includendo le morti in itinere, ossia per incidente occorso con i mezzi di trasporto. Tra questi tantissime donne, schiacciate dal doppio carico sul posto di lavoro e dai lavori famigliari e domestici. Continua l’Osservatorio: «La Legge Fornero ha fatto aumentare le morti sul lavoro tra gli ultra sessantenni. Anche il Jobs act per la possibilità di essere licenziati, senza appello, ma solo con un po’ di denaro, rende i lavoratori licenziabili se si oppongono a svolgere un lavoro pericoloso». Non stentiamo a crederlo. Oltre il 20% dei morti sui luoghi di lavoro ha dai 61 anni in su. 

Ma cosa potrebbe scoraggiare chi ha la responsabilità di evitare questi disastri? I controlli? 

Nel Rapporto annuale sull’attività di vigilanza 2017 dall’Ispettorato nazionale del lavoro si evince che sono state 160.347 le imprese ispezionate e 103.498 i casi di irregolarità, ossia il 65% del totale. Di questi però solo 22.611 sono le aziende controllate dall’Ispettorato per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro, in gran parte nel settore edilizia. Sono state registrate 17.580 aziende irregolari, il 77,09% del totale di quelle controllate, con un incremento pari al 3,5% rispetto al 2016. In particolare, 36.263 le violazioni registrate, di cui 28.364 penali e 7.899 amministrative. 

Una tale diffusione di irregolarità come potrebbe non portare ai risultati drammatici che abbiamo registrato nel numero di infortuni? Evidentemente i padroni preferiscono correre il rischio di essere beccati, piuttosto che quello di adeguare le norme di sicurezza. 

Allora potrebbero le sanzioni arrestare questo stillicidio di morti e infortuni? 

Noi non crediamo nella giustizia borghese, solo una società a misura di lavoratore potrebbe affrontare e risolvere questo drammatico problema, utilizzando anche e soprattutto quelle tecnologie sofisticate che oggi invece si ritorcono contro il lavoratore. Però non si può restare allibiti quando si osserva cosa rischiano concretamente i responsabili. Leggiamo a campione dalle cronache giudiziarie:  

… condannato per lesioni colpose alla pena di 2 anni e 1 anno e 6 mesi il datore di lavoro di un operaio che cadde da un ponteggio, rimanendo paralizzato a causa della “totale carenza di dispositivi antinfortunistici” pena sospesa 

un anno di reclusione per lesioni gravissime colpose, con sospensione della pena e senza menzione, il datore di lavoro e il medico di un’industria dove un operaio si ammalò di silicosi. la patologia è da attribuire alla mancanza di prevenzione nelle fasi di lavorazione il datore di lavoro avrebbe dovuto prendere le misure necessarie per proteggere il dipendente, mentre il medico dell’azienda è accusato di non aver organizzato i controlli specificinonostante le chiare prescrizioni in merito stabilite dalle normative vigenti…

Lo schermo di protezione che attribuisce a tutti i responsabili l’accusa di aver compiuto atti colposi, ossia non premeditati – cioè una “condotta civilmente o penalmente illecita, non determinata da volontà di nuocere, ma da negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza delle leggi” – fa sì che ciò che rischia un padrone inosservante delle leggi è trascurabile, rispetto al vantaggio che ne ha in termini di profitto.  

Quello che si persegue è l’entità del danno procurato (lesioni, lesioni gravissime, omicidio), non la condotta messa in atto. Come dire, se il padrone è fortunato che il lavoratore non muore, se la cava con poco, se muore allora le pene possono aumentare. 

Nel notissimo caso della sentenza per l’incendio nello stabilimento dell’acciaieria tedesca Thyssen ove il 7 dicembre 2007 morirono sette operai, la Procura della Repubblica aveva sostenuto l’accusa dell’omicidio doloso. Per la prima volta non si individuava una semplice colpa nella condotta del padrone e dei dirigenti, bensì di responsabilità dolosa nel reato di omicidio, portando a sanzioni anche per l’azienda e condanne per l’Amministratore Delegato a sedici anni e gli altri dirigenti con pene tra i dieci ed i tredici anni e mezzo di reclusione. Nel 2014 la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite ha stabilito che, i sei dirigenti della ThyssenKrupp non possono essere accusati di omicidio volontario, malgrado fossero a conoscenza delle carenze di sicurezza nello stabilimento torinese e non si fossero adoperati per evitare la possibilità che si sviluppasse un incidente, come poi accaduto. Essi non hanno voluto uccidere gli operai, hanno previsto l’eventualità dell’incidente, che poteva anche essere – come fu – mortale, ma la morte è stata cagionata da altro che la volontà di uccidere. Alla fine, dopo oltre sette anni, le condanne emesse sono comprese tra i 9 anni e 8 mesi e i 6 anni e 8 mesi di reclusione. I colpevoli maggiori, tedeschi, non si trovano in Italia e uno dei manager che sta scontando la pena in Italia ha chiesto la Grazia al Presidente della Repubblica. Naturalmente i familiari delle vittime hanno risposto a tono a questa richiesta. 

Ora, dire che non osservare le norme di sicurezza significa non avere la volontà di nuocere è come dire che l’azione di sparare in mezzo alla folla a caso, o andare di notte a fari spenti contromano, non significa voler uccidere: qualcuno si colpirà di certo, ma non si può dimostrare che si aveva intenzione di compiere un atto “con deliberata e precisa volontà di nuocere”, come invece è un atto doloso.  

Quando diciamo che SE MUORE UN OPERAIO LA COLPA È DEL PADRONE, intendiamo dire proprio questo. Le leggi e la giustizia borghese sono create a misura del padrone, così come tutta la società in cui viviamo.  

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