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EUROPEIZZAZIONE O NAZIFICAZIONE?

Nonostante l’Ucraina sia nel pieno di un conflitto bellico contro la Russia, con i paesi occidentali che continuano a fornire armamenti che hanno il solo obbiettivo di prolungare il più possibile una guerra logorante dagli esiti già scontati, il governo di Kiev trova il tempo di portare avanti gli step necessari per l’adesione all’Unione Europea; questa volta presentando l’apposito questionario di richiesta formale, seguiti dai soliti squilli di tromba di una entusiasta Von der Leyen.

Ma chi davvero si sta mettendo in casa l’Unione Europea? Che tipo di paese prenderà posto al parlamento europeo e che tipo di influenza politico ideologica rischia di ritrovarsi all’interno la sempre più liquida UE, che cambia forma ideologica a seconda degli interessi del padrone statunitense?

In primo luogo, il potenziale ingresso dell’Ucraina nell’UE è quello che si può definire il passaggio di consegna dagli Stati Uniti, che fino ad oggi hanno contribuito attivamente a tenere in vita economicamente e militarmente un paese di fatto fallito, proponendo una politica che facesse l’interesse dell’unico scopo degli USA, ovvero aggredire la Russia sulla pelle del popolo ucraino. La strategia è quella di usare questo paese come una sorta di drone kamikaze, militare e finanziario, facendo leva sulle sanzioni anti-russe che dovrebbero ridisegnare l’ordine economico mondiale in favore degli stessi USA. Questi infatti hanno la necessità impellente di espandere il proprio capitale finanziario in eccesso a spese di chi veramente pagherà il prezzo delle sanzioni russe, l’UE (Germania e Italia in primis), per non compromettere definitivamente il primato del dollaro come valuta egemone.

L’Ucraina è un paese che dal socialismo a oggi si è quasi svuotato. Dai 37 milioni del devastante dopo guerra, si erano arrivati a superare i 52 milioni nell’epoca sovietica; nel 2022 sono presenti poco più di 43 milioni. Il crollo più repentino si ebbe dal golpe del 2014.

L’Ucraina ha subito uno dei crolli economici più devastanti tra le repubbliche ex sovietiche. Dopo una ripresa asfittica fino al 2009, che non era riuscita a recuperare i volumi precedenti, si è avuto di nuovo un crollo. Dal 2014 è un paese dilaniato dalla corruzione e dalla disparità sociale. E fin qui in effetti ritroviamo “valori” in comune con altri paesi membri dell’Unione Europea. Subito dopo il cambio di regime voluto da Washington, sull’Ucraina gravava un debito di 410 miliardi dollari ed un rapporto deficit/Pil all’8 per cento. Le casse ucraine erano così vuote da non riuscire ad arrivare a fine anno, mancavano all’appello 25 miliardi di euro. Esaurito il compito belligerante, l’Ucraina (o parte di essa a seguito di una sempre più probabile divisione in due regioni), si risveglierà dopo l’operazione speciale russa con evidenti esigenze finanziarie, come testimonia la richiesta dell’attuale presidente Zelenski al Fondo Monetario Internazionale di 7 miliardi al mese per poter sopravvivere.

Prima esigenza fra tutte sarà quella di trovare chi rimpiazzerà i proventi che arrivavano dai milioni di ucraini che lavoravano in Russia. In secondo luogo, ci sarà la necessità di fornire (in regalo considerate le condizioni), tutta l’energia necessaria per industria e bisogni primari del paese; dato che la conclusione del processo di annessione si porterà dietro una sicura disconnessione dal gas degli odiati russi (vedremo se verranno meno anche i proventi legati al diritto di transito del condotto che passa sotto il territorio ucraino vero l’UE).

Tutto a causa di un conflitto bellico voluto e cercato dalla NATO su imbeccata statunitense (la quantità di prove raccolte in questo caso è tale da essere imbarazzante) con l’UE, braccio amministrativo dell’alleanza atlantica, totalmente asservita e silente a conoscenza di ogni singolo dettaglio che ha portato al conflitto iniziato nel 2014.

Non va meglio dal punto di vista politico, infatti gli Stati Uniti hanno visto bene di mettere prima a capo della protesta che ha portato al golpe e poi al governo ad interim (vedi intercettazione tra la Sottosegretaria di Stato Usa, Victoria Nuland e l’ambasciatore statunitense in Ucraina, Geoffrey Pyatt), tutte pedine che si contraddistinguono per valori russofobici nazionalisti, utile ai desiderata di Washington.

Un seme, quello nazionalista, che alberga nell’area più a ovest che faceva parte dell’Austria-Ungheria, abitata da rumeni, ungheresi, tedeschi, russi, zingari, polacchi e altre tribù slave. È proprio da questa regione che ha avuto origine il nazionalismo ucraino che si rifaceva alla primissima esperienza di indipendenza del paese, ovvero quando le milizie di Hitler istituirono nel 1941 il governo nazionale ucraino nei territori occupati dalla Germania nazista. Un governo fantoccio con a capo Stepan Bandera il cui simbolo (il tridente) riecheggia oggi nei vessilli ucraini. Proprio ai dialetti parlati nella regione inclusa alla SSR Ucraina dopo la seconda guerra mondiale si deve lingua ufficiale ucraina, oggi insegnata nelle scuole di tutto il paese.

Se a proposito di Zelensky, del suo creatore finanziario Igor Kolomoisky e tutta la sua storia mediatica di propaganda agghiacciante, si è già detto, poco sappiamo del resto della classe politica che ha composto il governo ucraino post golpe del 2014. Forse il più “famoso” è proprio il vicepremier Oleksandr Sych, colui che affermò durante un discoro nel Parlamento ucraino che “la dittatura fascista è il modo migliore per governare un Paese”. Questo signore fa riferimento al partito chiamato “Svoboda” che nel suo programma vanta la promulgazione di una legge sul divieto di aborto (anche in caso di gravidanze dovute a stupri) e che nel 2014 era il quarto partito del parlamento ucraino; ciò ha permesso di inserire diverse figure chiave nell’esecutivo ad interim post golpe. L’allora ministro della difesa Igor Tenjukh è infatti membro di “Svoboda”, così come il Segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, Andriy Parubiy, il ministro dell’ambiente Andriy Mokhnik, il ministro dell’agricoltura Igor Shvajka ed il ministro della pubblica istruzione Sergej Kvit. Quest’ultimo ministero ricopre la diretta responsabilità dei programmi di indottrinamento subiti dai ragazzi nelle scuole pubbliche di tutta l’Ucraina dal 2014 in poi, i quali negano tutti i fatti della storia legati alle conquiste sovietiche in favore di ideologie nazionaliste sorrette da una manciata di menzogne. Questi programmi ministeriali hanno il demerito di aver forgiato generazioni di ragazzi a cui è stato instillato un forte sentimento russofobico, vomitato anche contro il nemico interno russofono delle regioni separatiste del Donbass.

Ma non è finita qui. Nel governo ad interim di Kiev, in Parlamento, sedeva un certo Ihor Miroshnychenko, colui il quale sostenne che “l’omossesualità sarà bandita perché è una malattia che aiuta a diffondere l’Aids”. È strano che da parte dell’Unione Europea, che accusa il governo russo di reprimere le istanze della comunità gay riguardo la parità di diritti (civili), si chiudano entrambi gli occhi su un tale modello culturale. Anzi, si cerca in tutti i modi di affrettarsi nel sancire il matrimonio politico tre UE e Ucraina. Tra le altre medaglie al disonore, “Svoboda” è stato definito dal Centro Simon Wiesenthal come “uno dei primi cinque partiti anti semiti della terra”. È senza dubbio un primato che, evidentemente, per l’Unione Europea non fa differenza se negativo o positivo nel suo contributo alla civiltà che dice di voler costruire.

Un altro protagonista della politica ucraina del presente è quel Dmitri Jarosh, leader dei neonazisti “Pravij Sektor” e comandante di uno dei battaglioni nazionalisti che hanno partecipato alla battaglia dell’aeroporto di Donestk. Già candidato come presidente della Repubblica, Jarosh viene nominato nel 2015 consigliere del comandante in capo delle forze armate ucraine del maggiore Valery Zaluzhny; altra prova inconfutabile che, nonostante si siano affrettati a ripulire il governo da personaggi controversi dal 2014 in poi, gli esecutivi hanno perpetrato comunque politiche militari di stampo nazionalista. La posizione di Jarosh dimostra quanto i battaglioni di ispirazione neonazista siano poco più di una macchietta, come i monopoli dell’informazione occidentale tendono a raccontare. Jarosh così è entrato in contatto con i più alti vertici militari di un paese, l’Ucraina, che negli ultimi anni ha speso in armamenti percentuali di PIL molto più alte che di tanti paesi Nato. Altri amici della NATO si possono trovare tra i militanti nazionalisti e dichiaratamente antisemiti di UNA-UNSO, che sta per “Assemblea nazionale ucraina in auto difesa del popolo ucraino” che è riuscita a far suo un ministero nel governo ad interim, quello della Gioventù e dello Sport anch’esso strategico per la formazione culturale delle nuove generazioni. Ricopriva questa carica Dimitri Bulatov, già conosciuto per aver arruolato volontari a combattere i russi in Cecenia.

Per finire, possiamo trovare nel programma politico di “Svoboda” l’obbligo di indicare nei documenti l’appartenenza etnica-religiosa e lo sviluppo di un arsenale nucleare. Tutte azioni politiche che definiscono bene il quadro di appartenenza all’ideologia nazionalista che, non solo non ha messo e non mette in imbarazzo l’Unione Europea, ma al contrario oggi trova larghi consensi nel mondo dell’informazione che ha così scoperto improvvisamente l’esistenza di nazisti buoni. Naturalmente tutto questo è funzionale ad un disegno geopolitico di priorità assoluta, considerando il livello di decadenza e difficoltà finanziaria del sistema capitalista, sia dell’egemone statunitense che in generale dell’occidente. Questi paladini dell’Unione Europea però, sono gli stessi che parlano di inclusione, diritti civili, pari opportunità, ritenendo i diritti sociali carta straccia (fondamentali però per garantire a tutti una vita dignitosa) e comunque dimenticandosi di specificare per quale classe realmente questi diritti civili valgono.

Per questo tutti noi siamo chiamati a svolgere un esercizio di critica e analisi della contraddizione che metta in dubbio l’esistenza stessa dell’UE e che coinvolga quanti più cittadini e lavoratori possibili, ancora di più quando all’ordine del giorno c’è il desiderio pericoloso di integrare in una Unione Europea già matrigna, un paese nato dal seme nazionalista e xenofobo come l’Ucraina.

Nonostante le “facce pulite” (di cui non si trova molto in rete) che hanno composto i governi dopo quello ad interim post golpe, l’esecutivo ucraino nel solco del germoglio del seme nazionalista, si è reso responsabile della messa al bando del Partito Comunista di Ucraina; dunque responsabile (per mano dei servizi segreti ucraini SBU) della sparizione di diverse personalità considerate ostili al governo di Kiev. Ricordiamo i fratelli Kononovich, dirigenti della gioventù comunista ucraina e attivisti antifascisti, scomparsi nel nulla e di cui non si ha più notizia. Più recentemente il caso del giornalista Gonzalo Lira, detenuto dall’SBU il 15 aprile e intimidito dagli stessi servizi che gli hanno sequestrato tutta l’attrezzatura dopo aver denunciato i crimini e le sparizioni di altri giornalisti ad opera sempre di servizi su commissione del governo ucraino. È andata peggio invece a Valery Kuleshov, blogger noto per le sue posizioni contrarie al governo di Kiev e che al contrario di Lira non è cittadino statunitense; è stato ucciso a Kherson nel distretto di Shumenskiy da una raffica sparata da distanza ravvicinata.

Riguardo alla messa al bando delle forze politiche di opposizione da parte del regime di Kiev, tanto si capisce facendo luce sull’ambiguità della notizia che ha trovato posto nei giornali dei monopoli di stampa britannici. Dopo essersi arreso e uscito disarmato dal complesso di Azovstal, dove si sta consumando una cruenta battaglia per il controllo dell’acciaieria, è stato fatto prigioniero un soldato mercenario con passaporto inglese di nome Aiden Aslin. Costui, raggiunto dal fotoreporter Giorgio Bianchi, ha chiesto di poter parlare con la BBC per proporre al governo britannico uno scambio di prigionieri: lui e un altro mercenario britannico in cambio del deputato ucraino Viktor Medvedčuk. Il prigioniero ha fatto inoltre interessanti dichiarazioni che aiutano molto a contestualizzare il livello di follia che ha raggiunto questo conflitto. Aiden Aslin, ex guardia notturna, ha già avuto esperienze come mercenario in Siria tra le milizie curde e contrariamente a quello che si può pensare, viene da una esperienza politica agli antipodi con quella dei battaglioni nazionalisti, ma anche rispetto al governo di Kiev. Infatti, egli stesso ha dichiarato di essersi pentito di aver preso parte a questo conflitto, principalmente perché si è reso conto di essersi ritrovato in una battaglia certamente persa che lo avrebbe visto spacciato. Inoltre, Aslin si è dichiarato di provenire da quella che possiamo definire sinistra extraparlamentare, per cui da subito ha compreso di essere finito a combattere una guerra insieme a commilitoni annebbiati da una ideologia malata. A testimonianza di ciò, il prigioniero racconta di aver assistito ad una aggressione ad un suo commilitone per mano di un militare nazionalista, solo perché colpevole di essere considerato un Leftist, cioè appartenente genericamente alla sinistra. Le conseguenze per Aslin una volta ritornato nel suolo britannico (già si parla di ritiro del passaporto) saranno la cartina torna sole delle sue stesse dichiarazioni.

Il governo ucraino allo scopo di reprimere gli oppositori interni ha dato mandato ai servizi di creare una vera e propria piattaforma aperta dove vengono schedati gli oppositori al regime. “Myrotvoretz” (https://myrotvorets.center/) è infatti una lista di proscrizione ufficiale del governo di Kiev, nella quale vengono pubblicati nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, delle figure sgradite all’esecutivo, etichettate come criminali. Troviamo tra gli altri Andrea Ronchelli e Giulietto Chiesa (tra i primi a denunciare il rischio bellico attualmente in corso) che sono bollati come “liquidato”, così come il partigiano Edy “Bozambo” Ongaro che ha servito la causa del Donbass prendendo parte alle milizie della Repubblica Popolare di Donestk. Sono purtroppo presenti nella lista e quindi a rischio liquidazione, Alberto Fazolo, Sara Reginella e i fotoreporter italiani Vittorio Nicola Rangeloni e Giorgio Bianchi attualmente in Donbass, che altro non fanno che riportare i fatti cruenti dallo scoppio della guerra nel 2014 e che vede il proprio popolo dilaniato e ucciso dalle milizie ucraine. Immaginiamoci se una piattaforma come “Myrotvoretz” esistesse in Russia o in altri paesi tipicamente ostili agli Stati Uniti.

Volutamente abbiamo citato dinamiche di repressione politica basate su fatti che hanno trovato un riscontro assolutamente confermato nella realtà, a ciò si aggiungono una serie di atti ignobili come le repressioni corporali di causa ideologica compiute dai nazionalisti, innumerevoli fatti di violenza gratuita perpetrati contro la popolazione ucraina e i già citati atti criminali contro la popolazione del Donbass che contano oltre 13000 vittime, di cui moltissimi bambini. La realtà è che l’UE si sta mettendo in casa un paese dove vige un regime fascista russofobico, anticomunista e ultranazionalista, che si sta culturalmente radicando da più di 8 anni. Un regime spinto e pericoloso che come un tumore rischia di andare in metastasi trovando consensi in numero non trascurabile di paesi europei, gli stati baltici e l’atlantissima Polonia in testa, nazioni dove l’anticomunismo la sta facendo da padrone (assistiamo giornalmente alla distruzione di statue erette in memoria delle imprese sovietiche contro il nazifascismo). In contemporanea ad una totale anarchia di valori all’interno dell’Unione Europea, fantoccio amministrativo privo della più elementare forma stato, tutto questo rischia di influenzare l’operato politico della stessa UE che di conseguenza influenzerà, come accade da sempre, l’operato politico e repressivo degli stati membri più asserviti. Per cui non sbalordiamoci se la stessa repressione al pluralismo politico e la messa al bando di partiti politici antimperialisti e anticapitalisti come il Partito Comunista, non finirà per trovare spazio anche da noi nel solco del precedente ucraino, sdoganato, sbandierato e supportato con scelte politiche di campo dell’Unione Europea e dei media asserviti.

Posto che vi siano davvero differenze, sarà l’Ucraina a Europeizzarsi o l’Europa a nazificarsi?

Restiamo in guardia compagni.

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