LA FAMIGLIA E IL RUOLO DELLA DONNA in Friedrich Engels

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LA FAMIGLIA E IL RUOLO DELLA DONNA in Friedrich Engels

Sesta giornata della Settimana Engels dedicata da Riscossa al grande Maestro del proletariato.

Pubblichiamo questo contributo di Sabrina Cristallo, resp. naz. Politiche femminili del Partito Comunista

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In questa settimana si è celebrato il giorno contro la violenza sulle donne.

Sebbene questa manifestazione risulti un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica, essa costituisce un atto di ipocrisia della società borghese, la quale si limita a concedere ad una data precisa niente di più che un atto simbolico, oscurando, però, le reali cause delle dilanianti contraddizioni che agitano la sua società, caratterizzata da abusi, sfruttamento e violenza. A 20 anni dall’istituzione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulla donna, tale barbarie nel mondo è forse stata eliminata?

In particolare non si dice che la violenza domestica, così come la prostituzione, corrisponde alla forma più estrema di ricatto che una donna potrebbe ritrovarsi a subire a causa della propria condizione materiale, come l’impossibilità a potersi mantenere da sola al di fuori di quelle quattro mura. Tale ricatto si riscontra principalmente nelle coppie, ma può avvenire anche nella relazione con i figli. Insomma, l’uomo che subisce il suo sfruttamento nel lavoro, in qualche modo “emula” e riproduce il sistema stesso che lo sfrutta, opprimendo a sua volta chi si trova in una condizione immediatamente inferiore alla sua. Per dirla con le parole del nostro Maestro: “Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario.”

A questo proposito è illuminante (ri)leggere quello che Friedrich Engels scriveva ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato. Questo testo, pubblicato nel 1884, costituisce il più alto contributo alla comprensione, attraverso le lenti del materialismo storico, della storia che ha portato alla formazione di quelle istituzioni che le classi dominanti hanno da sempre avuto interesse a far sì che le classi oppresse considerassero eterne.

In particolare sulla famiglia e sulla condizione della donna in essa e nella società, così come si è evoluta nei secoli, Engels ci insegna una lezione che tutti – le donne e gli uomini che combattono per la emancipazione della società – dovrebbero studiare e imparare.

Ne riportiamo alcuni estratti di cui proponiamo la lettura. (Sottolineature e grassetti nostri, corsivi di Engels)

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da L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA, DELLA PROPRIETÀ PRIVATA E DELLO STATO

di Friedrich Engels

Con l’introduzione dell’allevamento del bestiame, della lavorazione dei metalli, della tessitura, e infine dell’agricoltura, le condizioni mutarono. Come le spose, una volta così facili ad ottenersi, acquistarono ora un valore di scambio e furono comprate, così accadde per le forze lavorative, specialmente dopo che gli armenti furono passati definitivamente in possesso familiare. La famiglia non si moltiplicava così rapidamente come il bestiame. Si richiedeva più gente per sorvegliarlo: per questo ufficio si potevano utilizzare i prigionieri di guerra nemici che inoltre si potevano continuare ad allevare proprio come lo stesso bestiame. Quindi le ricchezze, nella misura in cui si accrescevano, da una parte davano all’uomo una posizione nella famiglia più importante di quella della donna, dall’altra lo stimolavano ad utilizzare la sua rafforzata posizione per abrogare, a vantaggio dei figli, la successione tradizionale. Ma ciò non poteva essere finché era in vigore la discendenza matriarcale. Era necessaria dunque l’abrogazione di essa, ed essa infatti fu abrogata.

Il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L’uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli. Questo stato di degradazione della donna come si manifesta apertamente, in ispecie tra i Greci dell’età eroica e, ancor più, dell’età classica, è stato poco per volta abbellito e dissimulato e, in qualche luogo, rivestito di forme attenuate, ma in nessun caso eliminato.

La parola familia non esprime originariamente l’ideale del filisteo d’oggigiorno, fatto di sentimentalismo e di discordie domestiche; essa, presso i Romani, da principio non si riferisce affatto alla coppia unita in matrimonio, ma solo agli schiavi. Famulus significa schiavo domestico e familia è la totalità degli schiavi appartenenti ad un uomo.

La famiglia monogamica … nasce dalla famiglia di coppia … nell’epoca che segna i limiti tra lo stadio medio e lo stadio superiore della barbarie. La sua definitiva vittoria è uno dei segni distintivi del sorgere della civiltà. È fondata sul dominio dell’uomo, con l’esplicito scopo di procreare figli di paternità incontestata, e tale paternità è richiesta poiché questi figli, in quanto eredi naturali, devono entrare un giorno in possesso del patrimonio paterno. Si differenzia dal matrimonio di coppia per una assai più grande solidità del vincolo coniugale, non più dissolubile ad arbitrio delle due parti contraenti. È regola ora che solo il marito possa sciogliere il vincolo e ripudiare la moglie. Se la moglie si ricorda della antica prassi sessuale e vuole rinnovarla, viene punita più severamente di quel che mai accadesse prima. Questa fu l’origine della monogamia, così come possiamo seguirla nel popolo più civile e di più alto sviluppo dell’antichità. Essa non fu, in alcun modo, un frutto dell’amore sessuale individuale, col quale non aveva assolutamente nulla a che vedere, giacché i matrimoni, dopo come prima, rimasero matrimoni di convenienza. Fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche e precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune. La dominazione dell’uomo nella famiglia e la procreazione di figli incontestabilmente suoi, destinati a ereditare le sue ricchezze: ecco quali furono i soli ed esclusivi fini del matrimonio monogamico…

La monogamia così non appare in nessun modo, nella storia, come la riconciliazione di uomo e donna, e tanto meno come la forma più elevata di questa riconciliazione. Al contrario, essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell’altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria.

… il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte di quello maschile.

La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente essa, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse quell’epoca che ancora oggi dura, nella quale ogni progresso è, ad un tempo, un relativo regresso, e in cui il bene e lo sviluppo degli uni si compie mediante il danno e la repressione di altri. Essa fu la forma cellulare della società civile, e in essa possiamo già studiare la natura degli antagonismi e delle contraddizioni che nella civiltà si dispiegano con pienezza.

Così l’eredità che il matrimonio di gruppo ha legato alla civiltà è di duplice aspetto, come di duplice aspetto, di duplice linguaggio, scisso in se stesso, antagonistico è tutto ciò che la civiltà produce: da una parte la monogamia, dall’altra eterismo e insieme la sua forma estrema: la prostituzione. L’eterismo è precisamente un’istituzione sociale come ogni altra; esso continua l’antica libertà sessuale… a favore degli uomini. Esso viene condannato a parole, ma nella realtà viene non solo tollerato, ma allegramente praticato, specialmente dalle classi dominanti. Ma questa condanna, in realtà, non colpisce affatto gli uomini interessati alla faccenda, ma solo le donne: esse vengono messe al bando e scacciate, perché si proclami ancora una volta come legge fondamentale della società l’incondizionato dominio degli uomini sul sesso femminile.

Vera regola nei rapporti con la donna diventa l’amore sessuale e può diventarlo solo tra le classi oppresse, dunque al giorno d’oggi nel proletariato: sia o non sia questo un rapporto sanzionato ufficialmente. Ma qui sono messe in disparte tutte le basi della monogamia classica. Qui manca ogni proprietà, per la cui conservazione e trasmissione ereditaria furono appunto create la monogamia e la dominazione dell’uomo; qui manca dunque anche ogni incitamento a far valere la dominazione dell’uomo. E da quando la grande industria ha trasferito la donna dalla casa sul mercato di lavoro e nella fabbrica, e abbastanza spesso ne fa il sostegno della famiglia, nella casa proletaria è venuta a cadere completamente ogni base all’ultimo residuo della dominazione dell’uomo; tranne forse un elemento di quella brutalità verso le donne radicatasi dal tempo dell’introduzione della monogamia. La donna ha riacquistato realmente il diritto al divorzio, e quando i coniugi non riescono a sopportarsi, ognuno se ne va per conto suo senza difficoltà. In breve, il matrimonio proletario è monogamico nel senso etimologico della parola, ma non lo è affatto nel suo significato storico. I nostri giuristi trovano in verità che il progresso della legislazione toglie in misura crescente alla donna ogni motivo di lagnarsi. I moderni sistemi legislativi civili vanno sempre più riconoscendo: primo, che il matrimonio per essere valido deve essere un contratto stipulato liberamente dalle due parti; e secondo, che anche durante il matrimonio le due parti devono stare una di fronte all’altra con eguali diritti e doveri. Se queste due esigenze fossero conseguentemente realizzate, le donne avrebbero tutto ciò che possono desiderare.

Questa argomentazione prettamente giuridica è precisamente quella stessa con cui il borghese repubblicano radicale sbriga e mette a tacere il proletario. Il contratto di lavoro deve essere un contratto stipulato volontariamente dalle due parti. Ma esso passa per liberamente stipulato, da che la legge equipara sulla carta le due parti. Se il lavoratore è costretto dalle condizioni economiche a rinunciare perfino all’ultima parvenza di eguaglianza di diritti, la legge a sua volta non può farci nulla!

In quanto al matrimonio, poi, la legge, anche la legge più progressiva, è completamente soddisfatta tosto che i contraenti abbiano dichiarato formalmente su un foglio di carta il loro libero consenso. Di quel che accade poi dietro le quinte del diritto, là dove si svolge la vita reale, del come questo libero consenso si realizzi, di tutto ciò la legge e il giurista non possono darsi pena. Con la famiglia patriarcale, e ancor più con la famiglia singola monogamica, le cose cambiarono. La direzione dell’amministrazione domestica perdette il suo carattere pubblico. Non interessò più la società. Divenne un servizio privato; la donna divenne la prima serva, esclusa dalla partecipazione alla produzione sociale. Soltanto la grande industria dei nostri tempi le ha riaperto, ma sempre limitatamente alla donna proletaria, la via della produzione sociale. Ma in maniera tale che se essa compie i propri doveri nel servizio privato della sua famiglia, rimane esclusa dalla produzione pubblica, e non ha la possibilità di guadagnare nulla; se vuole prender parte attiva all’industria pubblica e vuole guadagnare in modo autonomo, non è più in grado di adempiere ai doveri familiari. E come accade nella fabbrica, così procedono le cose per la donna in tutti i rami della attività, compresa la medicina e l’avvocatura. La moderna famiglia singola è fondata sulla schiavitù domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario. La repubblica democratica non elimina l’antagonismo tra le due classi: offre al contrario per prima il suo terreno di lotta.

l’emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell’intero sesso femminile nella pubblica industria, e che ciò richiede a sua volta l’eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società. Andiamo ora verso uno sconvolgimento sociale in cui le basi economiche della monogamia, come sono esistite finora, scompariranno tanto sicuramente quanto quelle della prostituzione che ne è il complemento. Ma il sovvertimento sociale imminente, mediante trasformazione per lo meno della parte infinitamente maggiore delle ricchezze durature ereditabili – dei mezzi di produzione – in proprietà sociale, ridurrà al minimo tutta questa preoccupazione della trasmissione ereditaria. Poiché dunque la monogamia è sorta da cause economiche, scomparirà se queste cause scompaiono.

Si potrebbe, non a torto, rispondere: scomparirà così poco che invece soltanto allora sarà realizzata sul serio. Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l’unità economica della società. L’amministrazione domestica privata si trasforma in un’industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse; la società ha cura in egual modo di tutti i fanciulli, legittimi e illegittimi.

Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l’ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica, il che accadrà fra non molto, è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo più a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d’uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all’uomo che amano per timore delle conseguenze economiche.

E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l’opinione d’oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo. Punto.

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