La “sporcizia” nucleare da mettere sotto il tappeto

DILETTANTI ALLO SBARAGLIO? NO!!! LEGGE DI BILANCIO 2021 DELLO STATO ITALIANO.
gennaio 1, 2021
L’Italia pensa di investire sull’ennesimo gasdotto
gennaio 11, 2021

La “sporcizia” nucleare da mettere sotto il tappeto

di Matteo Mereu, Ufficio Politico del Partito Comunista

 

Le date nella storia del nucleare italiano e nella gestione di quello che ne rimane sono importante per comprendere la critica che il Partito Comunista fa nella gestione della “partita” rifiuti nucleari, 34 anni di discussioni, mobilitazioni, referendum che hanno portato a soluzioni tampone e non definitive.

Nel 1987 finisce l’era nucleare in Italia. Con il referendum dello stesso anno si sancisce la volontà popolare di uscire dallo sfruttamento dell’energia nucleare ad uso civile, iniziata nel 1963, attraverso l’apertura delle 5 centrali elettronucleari di Trino (Piemonte), Caorso (Emilia Romagna), Montalto di Castro – mai terminata – e Latina (Lazio) e Sessa Aurunca (Campania). Il definitivo spegnimento si ottiene nel 1990. Non si fermano però gli investimenti italiani sul nucleare, attraverso la collaborazione di Enel nella costruzione e gestione di impianti nucleari oltre confine, come in Francia o nell’est Europa.

Nel 1999 viene costituita con il cosiddetto “Decreto Bersani” la Sogin, Società per la gestione degli impianti nucleari (di proprietà del Ministero dello Sviluppo Economico), con il compito di sovrintendere al controllo, alla dismissione, alla decontaminazione e allo smaltimento dei rifiuti radioattivi delle centrali nucleari, in primis, e poi dei rifiuti nucleari provenienti dalla produzione industriale e ospedaliera. Nel 2002 viene nominato a capo della Sogin il Generale dell’esercito Carlo Jean, nel 2003 gli vengono conferiti ulteriori poteri con la nomina di Commissario per la gestione

Nel 2003, ad un anno dallo scoppio della seconda guerra nel Golfo, riprendono le mobilitazioni contro il nucleare a causa della scelta del Governo italiano di spedire, attraverso convogli ferroviari, per il ritrattamento del liquido irraggiato in Inghilterra. Le mobilitazioni hanno una partecipazione inaspettata perché fu deciso di far passare i convogli di notte nelle maggiori città del Nord Italia. Sempre nel 2003, durante il Governo Berlusconi, vengono individuate due possibili aree come deposito unico nazionale per il deposito delle scorie, il bacino minerario del Sulcis Iglesiente in Sardegna e l’area di Scanzano Jonico in Basilicata. La seconda con decreto ministeriale viene individuata come deposito ideale in profondità grazie alle caratteristiche del terreno (salgemma) che avrebbe evitato infiltrazioni di acqua. Per 15 giorni la popolazione lucana si mobilitò contro questa ipotesi e alla fine la decisione fu revocata, così come l’ipotesi delle miniere.

Nel frattempo si riapre il dibattito sull’utilizzo delle centrali nucleari in Italia e nel 2008 viene varato un nuovo piano per l’apertura di 10 centrali nucleari, su proposta dell’allora Ministro Scajola nel Governo Berlusconi. Il 23 luglio 2009 viene varata la legge n°99 che individua la “Strategia energetica nazionale”, impugnata per incostituzionalità da 10 regioni.

La Regione Sardegna il 15 e 16 maggio 2011 ha svolto un referendum consultivo che ha visto la partecipazione di quasi il 60% del corpo elettorale e il 97% dei sì al quesito “Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”. Nello stesso anno si tenne il referendum nazionale contro il ritorno al nucleare, anche in questo caso bloccato dalla maggioranza degli elettori.

Dal 2015 Sogin si sta occupando dell’individuazione di un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Il progetto doveva essere pronto nel settembre 2015, con una consultazione popolare di 120 giorni. Il progetto doveva prevedere lo stoccaggio definitivo in superficie di 75.000 metri cubi di bassa e media intensità (industriali e ospedalieri) e di 15.000 metri cubi ad alta attività radioattiva (di derivazione degli impianti nucleari) in via temporanea.

Sono passati 6 anni e Sogin è riuscita a presentare una carta nazionale delle possibili aree idonee solo a gennaio 2021 (ben 6 anni di ritardo e silenzio, ricordiamo che sulla questione verteva il segreto di stato).

Per rispondere a chi dice che si stia alzando un polemica pretestuosa, si ricorda che il progetto attuale prevede ancora lo stoccaggio temporaneo di rifiuti ad alta attività radioattiva.

Sono 67 le aree individuate come possibile sito di stoccaggio, nelle seguenti regioni: Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna. In alcuni casi si tratta di aree a prevalenza agricolo/pastorale, altre sono già state toccate da grosso inquinamento industriale.

Il paradosso è che molti dei comuni individuati come area di deposito rientrano nel Piano di valorizzazione delle aree interne – la strategia da realizzare con fondi comunitari della Strategia 2014-2020 – che rappresenta “una politica nazionale innovativa di sviluppo e coesione territoriale che mira a contrastare la marginalizzazione ed i fenomeni di declino demografico propri delle aree interne del nostro Paese” (sito Agenzia nazionale di Coesione).

Come coincide la valorizzazione di aree interne con la realizzazione di depositi radioattivi in cemento armato?

Veniamo poi alle proposte di stoccaggio e alle alternative. Nei principali paesi europei i depositi di stoccaggio di materiale a bassa intensità non includono mai il deposito temporaneo di rifiuti ad alta intensità, come invece fa la proposta di Sogin. In Inghilterra nei depositi in superfice vengono stoccati solo quelli a bassa intensità, mentre a partire dalla media intensità si è individuata la soluzione del deposito geologico in profondità. L’insistere con il posizionare “temporaneamente” anche quantità di materiale radioattivo ad alta intensità insieme al materiale a bassa intensità genera dubbi anche a fronte sulle recenti ricerche dell’Ohio State University sulla corrosione dei fusti che ospitano materiale radioattivo, in tempi relativamente veloci.

Lo stesso MIT – Massachusetts Institute of Technology di Boston – dichiara nel rapporto “The Future of the Nuclear Fuel Cycle” che

“ancora oggi non esiste un sistema efficiente e definitivo per lo smaltimento delle scorie nucleari”.

Si evince che il primo obiettivo sia quello di differenziare la sorte delle scorie a bassa e media intensità da quelle ad alta e non seguire la proposta di Sogin di collocazione temporanea negli stessi spazi.

In secondo luogo bisogna lavorare e investire sulla ricerca scientifica e tecnologica. In questi anni si sono sviluppati alcuni progetti di ricerca volti al superamento dei metodi attuali di smaltimento delle scorie. Non consideriamo per ovvi motivi quelli di recupero a fini militari. Una di queste ricerche è di particolare interesse.

Il Premio Nobel francese Gerard Mourou, in collaborazione con il giapponese Toshiki Tajima, sta sviluppando una tecnologia che possa utilizzare impulsi laser per abbattere la vita delle scorie nucleari. Il principio viene chiamato di trasmutazione. Naturalmente l’applicazione su larga scala di questa ricerca potrebbe portare a nuovi vantaggi.

Se fossero investite le stesse risorse (si parla di circa 900 milioni di euro per la realizzazione del deposito, su un’area di 150 ettari, con 90 blocchi di contenimento di cemento e acciaio) in ricerca su questo tema, forse non dovremmo periodicamente trovarci a trattare il problema annoso delle scorie nucleari come la polvere da nascondere sotto il tappeto.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *