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LE RESISTENZE

Il 25 aprile si celebra in Italia la Liberazione dal nazifascismo.

Tale data celebra anche la natura antifascista e unitaria della Repubblica “nata dalla Resistenza”, ricordata il 2 giugno, data in cui si svolse nel 1946 il referendum istituzionale, che a quei valori antifascisti si ispira, e dovrebbe essere completata col 1° gennaio, data in cui la Costituzione Repubblicana entrò in vigore nel 1948, anche se i valori unitari erano già stati soppressi sei mesi prima con la rottura tra le forze democratiche e l’espulsione dei socialcomunisti dal Governo De Gasperi.

La Resistenza quindi è alla base dei tre atti fondativi della nostra democrazia: Liberazione, Repubblica, Costituzione.

La Liberazione fu certamente l’esito di una guerra mondiale in cui il nostro Paese aveva esordito come aggressore e poi passato come “cobelligerante” dalla parte degli aggrediti. Ma si celebra in particolare in Italia non solo la fine della guerra, ma ancor di più l’insurrezione nazionale che in particolare in quel giorno del 1945 liberò la più grande città del nord, Milano. Quindi, più che la fine della guerra, che ancora andò avanti anche in Italia per qualche giorno, si celebra la Resistenza antifascista e il suo trionfo.

Non è certo l’unico caso in cui la resistenza dei popoli contro l’oppressore straniero si mescola con la guerra.

Il primo caso che fece da prodromo alla Seconda Guerra mondiale è la Guerra Civile spagnola, o meglio la guerra che il governo legittimo oppose alla sovversione franchista, sostenuta dalle Potenze nazista e fascista. La resistenza del popolo spagnolo si legò intimamente a quella guerra per procura che si attuava in quella Penisola. La resistenza spagnola fu oggetto delle simpatie di tutti i popoli e di tutti i sinceri progressisti del mondo. Le Brigate Internazionali arrivarono per sostenere quella battaglia, si raccoglievano fondi in tutte le città d’Europa e del mondo che non erano sotto l’oppressione fascista, tanti espatriati da qui disgraziati paesi andavano a combattere per la Spagna libera. Le “democrazie” europee, Francia e Gran Bretagna, vigliaccamente non appoggiarono la Spagna repubblicana, prendendo come scusa di non voler “interferire” negli affari interni di quel Paese, costringendo in ultimo a chiedere a quel governo il ritiro degli eroici combattenti delle Brigate internazionali. Solo l’Unione Sovietica, con molta prudenza per non giustificare addirittura l’intervento delle “democrazie” a favore dei franchisti, rimase fino all’ultimo a favore dei combattenti con armi, volontari e addestratori.

In quel caso, sebbene la legalità internazionale era senza alcun dubbio dalla parte dei resistenti, valse il principio della non ingerenza. Per questo misfatto quelle “democrazie” non hanno mai pagato nei confronti dei propri popoli, anzi sono state corresponsabili dell’incitamento al nazifascismo al riarmo e all’aggressione, che poi si rivolse inizialmente contro di loro.

Veniamo in ordine cronologico alla resistenza in Italia. Qui dal 25 luglio 1943 la monarchia aveva destituito il fascismo e solo l’8 settembre aveva cambiato schieramento. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna erano già sul territorio italiano e formalmente combattevano avendo al fianco i gruppi partigiani. Il ricostituito esercito italiano sotto la guida monarchica non era neanche preso in considerazione e degradato al rango di “cobelligerante”. Le formazioni partigiane erano spesso osteggiate e boicottate, fino al punto di ordinare loro nell’inverno del 1944 di sospendere le operazioni e tornare a casa (non si sa quale, visto che l’esecuzione di quell’ordine avrebbe comportato per i partigiani la morte certa). Se le Giornate di Napoli furono un atto spontaneo del popolo partenopeo, l’insurrezione di Roma e quindi la liberazione della prima capitale dell’Asse fu osteggiata fortemente dai comandi alleati e ancor di più dalle autorità ecclesiastiche. Nulla poterono invece nel Nord Italia, dove le grandi e medie città si liberarono prima dell’arrivo dei “liberatori”, accogliendo la resa dei tedeschi.

La Resistenza quindi fu un atto di popolo neanche tanto riconosciuto dagli Alleati che operavano in Italia.

Quanto affermiamo ha due prove storiche a proprio favore.

La prima. Alla fine della guerra, la naturale rappresentanza della resistenza, il CLN, fu prima esautorato e poi sciolto, proprio nel tentativo di non dare alcuna continuità istituzionale alla Resistenza.

La seconda. Il governo De Gasperi fu protagonista di un’autoumiliazione sconcertante alla prima uscita internazionale, in cui il democristiano, anziché rivendicare per l’Italia Repubblicana nata dalla Resistenza, il ruolo di vincitrice nel conflitto, al pari per esempio della Francia, si presentò col cappello in mano presso gli “alleati”. Quanta differenza nel trattamento che per esempio ebbero i sovietici rispetto al governo rumeno, che era passato dalla parte della lotta contro il fascismo, essendo stati però tra gli invasori dell’URSS accanto ai nazifascisti fino a qualche mese prima.

Quindi, come in Spagna, anche in Italia le “democrazie” si sono dimostrate allergiche alla resistenza di un popolo che insorge contro il fascismo.

Il dopo guerra è costellato di resistenze di popoli che insorgono contro il colonialismo e il fascismo. Le “democrazie” sono state sempre dall’altro lato. In Cina, in Corea, in Indonesia, in Vietnam, a Cuba, in Angola e in tutta l’Africa. Sostenitrici dei più efferati e corrotti regimi asserviti allo straniero.

Ora queste “democrazie” vogliono appropriarsi di una cosa che hanno osteggiato, combattuto, offeso, denigrato, vilipeso sempre, in ogni occasione. Chi ha massacrato i popoli, truccato le elezioni, comprato le classi dirigenti, spianato i civili coi bombardamenti a tappeto e col fosforo bianco, assassinato i dirigenti non sottomessi … ora costoro ci vengono a insegnare cos’è la resistenza.

E siccome il diavolo fa le pentole e non i coperchi, quando da sotto il tappeto della loro resistenza farlocca spuntano fuori i simboli del nazismo, essi vengono spacciati come simboli esoterici innocui.

E così potremo vedere le celebrazioni della Resistenza antifascista italiana sporcate dai simboli di chi sostiene neanche tanto nascostamente i nazisti. Magari ci saranno le bandiere della NATO che forse sono quelle della rosa dei venti del servizio meteorologico e – perché no – il fascio littorio celebrato come l’antesignano della “resistenza” del popolo romano contro Brenno.

La totale ignoranza storica porta persino a svarioni che in qualunque scuola dell’obbligo verrebbero sanzionati con un votaccio. Non meraviglia che uno Zelensky in cerca di appoggio paragoni i bombardamenti di Genova a quello di Mariupol, in guerra vale tutto. La cosa che indigna è che il Presidente di quella Regione che ha come capoluogo Genova, medaglia d’oro della Resistenza, non insorga per opporsi a tale scempio. Chi bombardò Genova? Furono chi la stava occupando o chi veniva a liberarla? E lui da quale parte della storia si sente? Da chi la occupava, cioè dai nazisti, o da chi veniva a liberarla, ossia gli Alleati. E se questi Alleati erano dei criminali nel bombardare Genova, chi erano i resistenti? Per caso i nazisti?

Ma il circo mediatico non può attardarsi su queste minuzie. Tutto viene calato in un secchio e ben mescolato, centrifugato in una poltiglia ideologica e servito su un piatto funzionale solo a far emergere una realtà preconfezionata.

La resistenza à la carte.

 

“Questi sono i miei princìpi, e se non vi piacciono ne ho degli altri.”

(Marx, Groucho ben inteso, il comico, quello vero)

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