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L’Italia finanzia il terrorismo in Libia?

di Michelangelo Severgnini

 

LA RICONQUISTA DELLA TRIPOLITANIA

Lo scorso gennaio l’Esercito Nazionale Libico guidato dal maresciallo Haftar era sul punto di entrare a Tripoli e unificare finalmente la Libia, così come invocato dalla maggioranza stessa dei cittadini libici della Tripolitania. Nell’episodio 0.9 di Exodus dello scorso gennaio (https://vimeo.com/384182483) avevamo raccolto alcune delle loro voci, in cui si testimonia la loro situazione.

In fretta e furia in quei giorni dello scorso gennaio viene organizzata una conferenza di pace a Berlino per discutere la fine delle ostilità. Strano tempismo.

Mentre i cittadini-lettori europei credevano alla storia del cessate il fuoco e dell’embargo sulle armi alla Libia, la Turchia ne approfittava per trasportare armi pesanti in Libia, oltre 20mila mercenari siriani e un numero non precisato di soldati e ufficiali turchi.

Al tempo stesso una fitta azione diplomatica aveva buon gioco sull’inesistente governo Sarraj che affidava la propria sopravvivenza alla Turchia e si consegnava ai deliri di onnipotenza di Erdogan.

Quando città come Sorman e Sabratah, in Tripolitania, dopo essere state liberate da Haftar nell’ultimo anno, cadevano di nuovo nelle mani delle milizie libiche, dei mercenari siriani e dell’esercito turco, l’LNA (Esercito Nazionale Libico) decideva di ritirarsi in massa dall’intera Tripolitania ormai quasi interamente conquistata dopo 9 mesi di lenta ma inesorabile avanzata.

Come raccontato a Exodus da diversi migranti e Libici sul campo, il ritorno delle milizie coincideva con la liberazione di criminali e trafficanti precedentemente arrestati dall’LNA, rimessi in circolazione per dar manforte alle milizie di Sarraj.

La decisione del ritiro dalla Tripolitania da parte dell’LNA è motivata dalla ferocia degli scontri con cui milizie e mercenari ingaggiano il conflitto e pertanto viene deciso di risparmiare vite civili che sarebbero rimaste uccise nel conflitto. La testimonianza seguente, da Bengasi, ci racconta invece di come sono andate le cose (https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-cameroonian-survived-the-turkish-bombs-un-camerunese-sopravvissuto-ai-bombardamenti-turchi). A seguito di questi bombardamenti la popolazione civile ha abbandonato la città insieme all’Esercito Nazionale Libico.

La linea del fronte viene posta tra Sirte e Jufra. Peraltro l’Egitto fa sapere che considererà una dichiarazione di guerra qualora questa linea verrà oltrepassata dall’esercito turco, mentre la Lega araba compatta chiede il disarmo delle milizie e la fine dell’occupazione turca in Libia.

 

POZZI CHIUSI E NEVROSI TURCHE

Sempre lo scorso gennaio, alla vigilia della conferenza di Berlino, nel profondo deserto libico qualcuno capisce il tranello che l’Europa sta tendendo alla Libia. Per inciso, Unione Europa e Nazioni Unite ormai non hanno nessuna credibilità agli occhi della popolazione libica, dopo i bombardamenti del 2011 e dopo il riconoscimento del governo Sarraj, ombrello delle milizie che hanno trafugato quasi la metà del petrolio libico negli ultimi anni avviandolo verso Europa e Turchia, dove nel frattempo il mercato degli idrocarburi veniva liberalizzato (governo Monti, 2012) per dare la possibilità a questo petrolio illegale di essere ripulito e immesso normalmente nel mercato a prezzi scontati.

La popolazione libica dunque si mobilita e decide la chiusura dei pozzi di petrolio. Sì, perché i pozzi presenti nel sud desertico del Paese sono collegati alla Tripolitania attraverso le infrastrutture costruite da Gheddafi. Pertanto il petrolio prodotto nelle aree controllate dall’LNA veniva poi venduto dal governo di Tripoli, che però copriva il furto del 40% di quel petrolio a scapito di tutti i Libici.

Anche per questo l’LNA puntava alla liberazione di Tripoli. Ma quando, alla vigilia della conferenza di Berlino, i Libici si accorgono che la Turchia sta per occupare il Paese con il beneplacito dell’Europa che finge di lavorare per un cessate-il-fuoco e per un embargo, allora decidono di chiudere i pozzi. Trafugare il petrolio libico per soldi e potere è già una cosa grave, ma usarlo per pagare un esercito straniero che viene per occupare la tua terra e uccidere i tuoi fratelli, questo era inaccettabile.

Ma chiudere i pozzi di petrolio era anche un messaggio per Erdogan: “Se pensi di prenderti il petrolio libico solo difendendo Tripoli, ti sbagli. Se lo vuoi, devi prenderti tutta la Libia”.

 

L’ITALIA PARLA DI MIGRANTI MA PENSA AL PETROLIO

Di fronte a questo scenario da far tremare i polsi, si mobilita pure il ministero degli Esteri Italiano. Visita ufficiale e urgente a Tripoli (24 giugno) subito ricambiata da Sarraj. Obiettivo? Ridiscussione del memorandum tra la Libia (o per meglio dire, tra il governo di Tripoli) e l’Italia. Motivo ufficiale? Incrementare il “rispetto dei diritti umani nei confronti dei migranti”.

Come mai tutta questa urgenza così all’improvviso? È il caso di crederci?

Per chi ha creduto alle favole fino ad oggi, magari potrà sembrare sensata anche questa spiegazione.

Ma per noi di Exodus che sosteniamo che i cosiddetti “accordi con la Libia” non sono altro che una tangente alle milizie perché continuino a trafugare il petrolio libico a favore, tra gli altri, dell’Italia, la spiegazione data dal ministro Di Maio è evidentemente un nuovo tentativo di coprire la verità delle cose.

I migranti sono serviti per anni per coprire i veri affari tra governo di Tripoli e governo italiano. Dei soldi inviati dall’Italia alla Libia, soldi derivati dal risparmio sull’acquisto del petrolio libico illegale e sotto costo, neanche un euro è finito nel miglioramento della condizione dei migranti. Al contrario, quei soldi sono finiti dritti nelle tasche delle milizie che hanno pensato semmai di usare quei migranti come seconda fonte di reddito attraverso il lavoro forzato non retribuito e la tortura a scopo di estorsione.

E quindi, se Di Maio accelera per rinnovare gli accordi, cosa vorrà dire? Vorrà dire che quella tangente non vale più, non è più sufficiente. Che ora è arrivato un pesce più grosso che vuole tutto il petrolio per sé (la Turchia) e per continuare a ottenere petrolio libico sottocosto quella tangente va aggiornata.

Ecco perché improvvisamente i diritti dei migranti diventano così importanti. Lo schema è sempre stato questo negli ultimi anni. Le condizioni dei migranti sono rimaste sempre invariate, costantemente alla mercé delle milizie e dei criminali, persino dei singoli cittadini della Tripolitania, divenuta ormai una zona franca di libero sfruttamento dell’Africano nero.

Questa frase riportata di seguito del ministro degli Esteri italiano, Di Maio, va quindi completamente riletta alla luce di quanto ora spiegato.

«Il presidente Serraj mi ha consegnato la proposta libica di modifica del memorandum of understanding in materia migratoria. Ad una prima lettura si va in una giusta direzione, con la volontà della Libia di applicare i diritti umani».

Chi ci guadagna in Libia sono le milizie, emanazione locale della Fratellanza Musulmana diretta dalla Turchia, che intascano i proventi del petrolio che appartiene al popolo libico, investono in armi e nella destabilizzazione del Paese e sono responsabili dello sfruttamento dei migranti.

Del resto però, per arrivare a trafugare una simile quantità di petrolio le milizie hanno bisogno di sostanziale impunità sul terreno. Ecco spiegata la funzione del governo Sarraj: coprire l’attività delle milizie e non piuttosto unificare il popolo libico.

A questo punto, grazie all’impunità sul terreno, le milizie possono trarre altro profitto dallo sfruttamento dei migranti. Sfruttamento del quale nessuno gli chiederà di rendere conto, come dimostrano il mancato arresto dei criminali legati alle milizie colpiti dai mandati internazionali e la liberazione dei criminali detenuti nel carcere di Sorman, dopo che la città nell’aprile scorso è tornata sotto il controllo delle milizie, e soprattutto come dimostra il caso recente del criminale vicino all’Isis Mohamed Salem Bahron promosso a capo della sezione investigativa del governo di Tripoli sui traffici criminali.

Che altro c’è da capire?

 

SE I “MIGRANTI” CHIEDONO DI TORNARE A CASA

Il mantra dei “porti aperti” provoca una distorsione ottica colossale, tale per cui, se qualcuno rischia la vita in mare per sfuggire alla schiavitù e alla tortura a scopo di estorsione, allora la cosa migliore da fare sia salvarlo dall’annegamento.

Noi riteniamo che chi si trova in stato di schiavitù debba essere liberato a prescindere senza aspettare che trovi il modo di liberarsi da solo e gettarsi in mare per poi aspettare di salvarlo lì.

I giovani neri africani che si trovano intrappolati in Libia chiedono “evacuazione”, chiedono di essere liberati ed evacuati dalla Libia con mezzi consoni, nel caso specifico aerei. La maggioranza di loro chiede di essere liberata e riportata a casa. Per gli altri, per i 50mila richiedenti asilo presenti in Libia, occorrerà pensare ad un’evacuazione via aereo verso l’Europa o Paesi altrettanto sicuri. Ma sono una piccola parte rispetto ai 700mila neri africani subsahariani presenti sul suolo libico, tutti quanti ormai intrappolati da anni alla mercé delle milizie, partiti con l’ondata del 2015, allettati da un rapido passaggio in Europa, promesso con l’inganno dalle proprie mafie e rimasti bloccati senza poter andare avanti e senza poter andare indietro.

Chiamarli “migranti” oggi pertanto non aiuta a capire, anzi li condanna ad un eterno presente di schiavitù. Non sono più infatti in una dinamica di migrazione, sono in una dinamica di schiavitù, pertanto chiedono di essere liberati e di poter tornare a casa.

Negli ultimi anni in 60mila hanno usufruito dei voli di rimpatrio volontario organizzati dall’OIM, ma molti di più sono ancora sul suolo libico implorando di essere portati a casa.

Del resto, su 700mila neri africani subsahariani presenti in Libia solo 5mila hanno raggiunto l’Italia via mare nel 2019: 1/140.

Significa che 139/140 esattamente sono rimasti indietro grazie a questa tifoseria dell’aprire i porti che manca completamente di capire quale sia la realtà delle cose.

 

L’EVACUAZIONE È L’UNICA RICHIESTA

Forse il seguente messaggio vocale ci può aiutare meglio a capire. Ci è stato inviato da un ragazzo somalo arrestato dalle milizie lo scorso mese di maggio e trasferito nel centro di detenzione di Zintan.

Si noterà nel messaggio che la sua paura maggiore sia quella che le milizie, quelle governative per usare un ossimoro di moda in questi tempi in Libia, lo rivendano a banditi e trafficanti di uomini.

Anche questa è una prassi ormai consolidata negli anni. Lui è uno di quelli che al mare non ci arriverà mai, uno di quelli che senza un’evacuazione resterà certamente indietro finché ne ha le forze. Come lui ci sono centinaia di migliaia di giovani ragazze e ragazzi, intrappolati ormai da anni in Libia (https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-somali-asks-evacuation-from-libya-un-somalo-chiede-evacuazione-dalla-libia):

 

«Siamo della comunità somala in Zintan. Zintan è una prigione lontana da Tripoli, circa 130 km dalla capitale. Siamo stati registrati (dall’Unhcr, ndr) 3 anni fa ormai. Perciò abbiamo bisogno di ricollocamento dalla comunità internazionale e dall’Unione Europea.

Come sapete, in Libia c’è un conflitto tra due parti, perciò abbiamo bisogno immediatamente di evacuazione, il più presto possibile, perché la nostra vita è molto dura. Sia per mangiare e bere è dura, non abbiamo i servizi igienici e un posto coperto. Dormiamo all’aperto, giorno e notte.

Pertanto, siccome siamo Somali, richiediamo a tutti i governi dell’Unione Europea di guardare ai nostri casi in modo appropriato.

Le navi delle ONG lavorano con i banditi. Lavorano nel traffico di esseri umani. Trasportano i migranti in Libia verso l’Italia. Quindi abbiamo bisogno di evacuazione dalla Libia. Il mare è molto pericoloso, è molto rischioso.

Di notte qui temiamo i banditi e i trafficanti di uomini. Le milizie ci vendono a loro. Sono in Libia da 4 anni, sono stato registrato 3 anni fa. Se l’UNHCR non lavora e non viene da noi, qualcuno è sul punto di diventare pazzo, qualcuno è pronto a morire. Quindi assisteteci prima possibile. Per favore, abbiamo bisogno di una risposta prima possibile».

 

Guardare la punta dell’iceberg di quella estrema minoranza che raggiunge le telecamere europee in mezzo al mare, fa in modo di concentrarsi emotivamente su un episodio per non vedere tutto il resto, per non mettere il naso in Libia.

Le testimonianze che abbiamo raccolto ci fa capire come il ritorno delle milizie di Sarraj nelle città della Tripolitania rappresenti un fattore di spinta alla traversata per i ragazzi subsahariani.

(https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/criminals-freed-by-sarraj-in-sorman-criminali-liberati-da-sarraj-a-sorman), (https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-south-sudanese-in-libya-has-no-other-choice-un-sud-sudanese-in-libia-non-ha-altra-scelta)

 

Da un lato le città della Tripolitania cadute di nuovo nelle mani di milizie, trafficanti e mercenari. Dall’altra un’Europa sorda al loro bisogno di evacuazione, tanto che nemmeno la missione dell’Unhcr in Tunisia può essere considerata un’alternativa valida, dati i tempi lunghissimi di ricollocamento percepiti come una nuova trappola da evitare. Tutto questo spinge come in un imbuto nella solo alternativa che l’Europa tutta lascia aperta: la traversata sui gommoni sgonfi.

 

UN POLIZIOTTO TUNISINO MI DISSE

Nell’estate del 2019, mentre mi trovavo in Tunisia e cercavo di dare una risposta al perché il Paese dei gelsomini non venisse preso in considerazione come una via di fuga dalla Libia, come una soluzione temporanea per i giovani neri africani intrappolati in Libia.

Alla fine mi fece riflettere un poliziotto tunisino, uno di quelli che operano lungo il confine. Me lo disse come una soffiata irripetibile che presto si perse con il soffio del deserto.

«Pensi che l’Italia invii dei soldi in Libia per i migranti? Quei soldi sono la tangente per il petrolio illegale. Le milizie libiche ne fanno contrabbando. Come lo dovrebbe pagare questo petrolio il governo italiano? Con gli aiuti. Per questo non aiutano la Tunisia ad accogliere i migranti. Noi non abbiamo il petrolio».

L’Italia paga una tangente alle milizie, le ha addestrate e ha fornito loro le motovedette come contropartita rispetto al petrolio illegale che le milizie hanno garantito all’Italia negli ultimi anni. Questo perché ogni volta che un gommone viene recuperato in mare e riportato a terra, i Libici non fanno nessun favore all’Europa, lo fanno a se stessi.

Da alcuni anni ormai gli ingressi in Libia dei ragazzini subsahariani sono crollati. Se tutti partissero le milizie libiche si troverebbero senza schiavi da far lavorare e senza vittime da sottoporre a tortura a scopo di estorsione.

Pertanto bisogna aver chiara qual è la realtà delle cose.

Parlare di “esternalizzazione della frontiera” è demenziale.

Non è che l’Italia non vuole i migranti, è che l’Italia vuole il petrolio libico.

Non è questione di centri di detenzione, è questione di impunità generale e libero sfruttamento.

È questione di arrestare trafficanti e criminali in Tripolitania, cosa che stava facendo l’LNA e non piuttosto incorporare quei criminali nelle istituzioni di Tripoli come fatto negli ultimi anni (e come continua a fare il ministro degli Interni di Tripoli Fathi Bashagha, come nel caso recente del criminale vicino all’Isis Mohamed Salem Bahron promosso a capo della sezione investigativa sui traffici criminali) pensando poi che quei criminali arrestino i loro complici.

Ma negli ultimi mesi il governo italiano si è spinto persino oltre.

In seguito alla chiusura dei pozzi libici, riaperti solo di recente in seguito a un accordo tra le parti che però al momento esclude i Turchi, la Turchia si è trovata nella condizione di non poter pagare i costi di questa campagna militare.

In poche parole, qualora la Turchia non dovesse riuscire a mettere presto le mani sul petrolio libico si troverebbe senza coperture per pagare lo stipendio ai 20 mila mercenari e per coprire tutti i costi relativi al trasporto e all’impiego di armamenti pesanti dalla Turchia alla Libia, armamenti transitati sotto il naso della missione IRINI e con la comprensibile compiacenza dell’Europa.

Non è un caso che gli accordi scaturiti dall’incontro dei cosiddetti “5+5” a metà ottobre a Ginevra siano stati respinti dalla Turchia e dalle milizie del GNA (Governo di Accordo Nazionale), creando forse sorpresa a livello internazionale ma di fatto ribadendo una situazione fin troppo evidente: la Turchia ha venduto la pelle dell’orso prima di averlo ucciso e ora ha disperato bisogno del petrolio libico per ripagarsi i costi di guerra e non accetterà compromessi.

 

L’ITALIA FINANZIA LA GUERRA TURCA IN LIBIA

Per quale motivo nelle 2 settimane a cavallo tra fine giugno e inizio luglio il ministro Di Maio e l’AD dell’Eni De Scalzi sono corsi a Tripoli per aggiornare accordi che erano stati già rinnovati lo scorso febbraio?

Se è vero che gli accordi tra Italia e Libia non hanno nulla a che vedere con i migranti ma sono una tangente alle milizie per assicurarsi una fetta del petrolio libico trafugato (40% il totale del petrolio libico sottratto dalle milizie e venduto illegalmente), e se è vero che questi stessi accordi, che hanno validità di un anno, erano già stati rinnovati lo scorso febbraio, allora cosa ci impedisce di credere che questa improvvisa necessità di ritoccare tali accordi non rappresenti un anticipo per finanziare la campagna militare turca, che necessita disperatamente di liquidità?

Servono le prove, ci dicono. Già, perché il governo italiano sull’assegno al governo di Tripoli potrebbe mai scrivere “causale: anticipo per la guerra turca”.

Ci basta osservare le frasi e i comportamenti dei vari attori in gioco per capirne i desideri nascosti, gli auspici, la sete di petrolio.

E noi Italiani lo sappiamo bene. L’epidemia Covid porterà una crisi economica senza precedenti nel Paese e abbiamo maledettamente bisogno di petrolio libico trafugato e sotto costo.

Il petrolio libico deve rimanere a disposizione dei paesi Nato: Turchia, Italia, Germania, Stati Uniti.

Se l’Esercito Nazionale Libico di Haftar, per altro sostenuto dalla popolazione e dalla gran parte della Lega araba, prendesse Tripoli, il petrolio libico finirebbe magari sotto influenza russa e a disposizione dei paesi arabi, ma soprattutto verrebbe venduto a prezzi di mercato e non trafugato sotto banco.

Invece si parla di migranti, quando nelle zone liberate da Haftar i migranti ci dicono che le condizioni sono nettamente migliorate e la tortura e la schiavitù sono perseguite.

Ci paiono informazioni importanti per formarsi un’opinione

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