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Morire per Maastricht

La mano invisibile del mercato ci sta prendendo a sberle.

Indubbiamente, partendo dal presupposto della tecnica della rana bollita, la condizione in cui ci troviamo ad affrontare la vita oggi in Italia è ben lontana da quel paradiso di benessere che il capitale ha sempre falsamente garantito in cambio di una adesione alle politiche ultraliberiste che va propinando dalla caduta del muro di Berlino in poi. Prima della catastrofe covid, che passerà alla storia come un vero e proprio giro di boa temporale (a.c19, d.c19) abbiamo assistito ad un evolversi costante del libero mercato che ha generato un vero e proprio mostro a tre teste. La stagione che stavamo vivendo in ambito finanziario ha visto la creazione di una quantità folle di eccessi che si sono riverberati sulla società spacciati per benessere. Basta portare ad esempio la tendenza all’intensivismo che ha interessato, direttamente o meno, ogni aspetto della vita. Una tecnica che ha generato continui eccessi per profitto e che, come qualsiasi eccesso capitalistico, è stato normalizzato ed interiorizzato. Anzi, questi eccessi, che hanno minato la società e le persone in carne ed ossa, sono diventati fonte di ulteriore espansione capitalistica. Pensiamo agli eccessi del settore alimentare tenendo conto di produzione, distribuzione e consumo, tutte e tre le fasi gestite in modo intensivo sbattono come acqua sugli scogli, sulla qualità della vita delle persone, direttamente mediante il lavoro (nelle condizioni sempre più al limite) ed il consumo (al limite anch’esso, stimolato dal martello mediatico) e indirettamente passando per l’ambiente, l’inquinamento e gli sprechi.

Parallelamente in questo contesto non proprio roseo, abbiamo assistito ad uno smantellamento pressoché lineare dello stato sociale, un vero e proprio taglio di quello che il capitale considera un insieme di inefficienze, in nome delle già citate promesse di rinascimento che nel frattempo sono diventati diktat. È interessante notare che, almeno in Italia, la teoria su cui il capitale ha basato la sua adesione ultraliberista si è spostata lentamente e in modo silente dall’essere propagandata come “scientifica”, quindi un insieme di nuovi paradigmi macroeconomici e ricette finanziarie che avrebbero portato benessere dei popoli, ad essere propagandata come adesione ideologica spogliata da ogni senso pratico. Segno evidente, non occorre dirlo, che anche la prima versione era già una propaganda basata su credenze piuttosto che teorie scientifiche concretamente riscontrabili. O meglio, il benessere l’ha portato senz’altro, ma per la classe dominante sulle spalle delle classi popolari. Una truffa. L’adesione al libero mercato ha contribuito a mettere sul libero mercato anche i debiti degli stati che allo stesso tempo hanno promosso politiche di privatizzazione degli istituti legati all’erogazione dei servizi dello stato sociale che oltre a fare profitto, vengono sovvenzionati dalla stessa spesa pubblica, un ulteriore eccesso. Dunque, la qualità della vita cala ancora di più nel momento in cui calano i servizi di accesso alla sanità, alla previdenza sociale, aumenta l’età lavorativa, aumenta il carico lavorativo, scompaiono i diritti, la precarietà economica (o fluidità a seconda dei punti di vista) che aumenta l’incertezza e mette a rischio l’integrità psicofisica.

Quale eredità ci lasciano le criminali politiche ultraliberiste che hanno esposto alla speculazione la qualità della vita dei lavoratori? La società è già stata digitalizzata.
Come è noto abbiamo assistito negli ultimi decenni all’esplosione di diverse bolle finanziarie, che in un mondo globalizzato sono una sorta di onda tellurica economica che mina la sacra stabilità dei mercati. Questi fenomeni non prevedibili, di cui soprattutto è difficile prevederne l’epicentro, devono essere evitati come la peste. Nel momento in cui gli istituti che si occupano dello stato sociale vengono privatizzati per soddisfare una espansione di mercato, nel momento in cui la politica che gestisce la spesa pubblica viene privatizzata per soddisfare i desiderata del mercato, cosa accade quando questi, che vengono considerati ora dei veri e propri asset, vengono marchiati come investimenti non sicuri che rischiano di minare la stabilità dei mercati?

Vedendo la catastrofe lasciata dagli ultimi eventi, che hanno sortito l’effetto di un violento strattone ad un albero di cachi maturi, immaginandosi le potenziali catastrofi dovute ai fatti bellici dei giorni nostri, fa un certo effetto tornare a leggere le raccomandazioni nel Global Financial Stability Report dell’aprile del 2016, presentato dal Fondo Monetario Internazionale. Come documentato negli articoli di contro-informazione che lo commentavano all’epoca, nel rapporto c’è un’avvertenza: la longevità delle popolazioni occidentali, l’allungamento delle aspettative di vita, mette a rischio i bilanci degli stati più sviluppati.
“Nessun asset si può considerare veramente sicuro” tuona il report. Per capire il rapporto che c’è tra l’allungamento delle aspettative di vita e la minaccia alla stabilità dei mercati data dagli investimenti finanziari, occorre descriverlo come il rapporto tra l’affidabilità dei titoli di stato e la spesa pubblica dello stato stesso. La spesa dedicata agli istituti di walfare che, una volta privatizzati e immessi nel mercato, per poter fare profitto devono obbligatoriamente essere sovvenzionate dalle casse dello stato. Naturalmente, e qui sta la politica, nel report del 2016 del FMI, non viene menzionato nessun rischio di investimento per quello che riguarda le sovvenzioni statali alla spesa militare. Si è scelto di deliberatamente di attaccare la spesa pubblica legata alla qualità della vita dei cittadini, evidentemente si ritiene essere un asset necessario.

Il Fondo Monetario Internazionale, nel report, sottolineava che “l’offerta di asset sicuri è diminuita di pari passo alla capacità del settore pubblico e privato di produrre asset di questo tipo” e ne individuava la causa nella “eccessiva” longevità delle relative popolazioni. Si legge: “se l’aspettativa di vita media crescesse di tre anni più di quanto atteso ora entro il 2050, i costi potrebbero aumentare di un ulteriore 50%”. Secondo il FMI, investire ancora su questi asset avrebbe potuto creare effetti negativi sui settori pubblici e privati già indeboliti, rendendoli vulnerabili a shock e potenzialmente minando la stabilità finanziaria”. Quale è la soluzione? Secondo il FMI è semplice: “una combinazione di aumento dell’età pensionabile di pari passo con l’aumento dell’aspettativa di vita, più alti contributi pensionistici e una riduzione dei benefit da pagare”. Non esplicitamente questa longevità secondo il FMI va ridotta “è desiderabile, ma costosa”, per aiutare “gli investitori professionali” a trovare asset più affidabili. Dunque, il benessere della popolazione è considerato un indice da ridurre in favore della stabilità finanziaria, il che vuol dire che si sacrifica il benessere dei cittadini per virare istericamente su un altro eccesso speculativo più redditizio, così è sempre stato. Sembra che, almeno dal punto di vista finanziario, la digitalizzazione è già finita e completata da un pezzo. L’esistenza della società civile intesa come insieme di cittadini, ciò che ne determina le condizioni di vita reale, sono perfettamente indicizzabili e negoziabili in un mercato finanziario. Come se la società fosse un soggetto inanimato e spogliato da ogni considerazione umana, un numero. Non dobbiamo farci confondere dalla finanzia, che non è altro che un tramite dei moderni negrieri delle classi dominanti che perpetrano questo ennesimo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Morire per Maastricht, ce lo impone l’Europa.

Nel 2016 con questo report il FMI attaccava direttamente il diritto alla pensione dopo una vita di lavoro e il diritto al mantenimento di una vita in condizioni dignitose. Secondo il report del FMI, questo che nella nostra società è considerato un diritto di tutti, è al contrario retrocesso ad un servizio che devono pagare i lavoratori dipendenti (con “più alti contributi pensionistici” e allungamento dell’età pensionabile) e i pensionati stessi (con pensioni ancora più basse), ma è ovvio che i pochi danari estorti dalle tasche dei lavoratori e dei pensionati non possono bastare per sostenere l’istituto pensionistico di una intera nazione, allora sempre secondo il FMI, visto che non sono più asset redditizi, non resta che tagliare drasticamente tutti gli investimenti negli istituti di welfare e nella spesa pubblica degli stati che hanno sostenuto fino a qui l’allungamento delle aspettative di vita.

Proprio nell’anno in cui uscì il report, come si legge negli articoli di allora, le principali agenzie di rating (tutte statunitensi) decisero di retrocedere (downgrade) tutti i titoli fino ad allora considerati sicuri o “virtualmente privi di rischio” come i Bund tedeschi o Treasury americani, cosiddetti “beni rifugio per eccellenza”. Non c’è da immaginarsi che la retrocessione di questi titoli ha di conseguenza preoccupato tutti quei fondi speculativi, fondi pensione, fondi di risparmio che avranno ben deciso di dirottare i propri investimenti altrove mettendo a rischio i bilanci degli stati e non da ultimo mettendo a rischio successivamente la stabilità degli stessi mercati che questa mossa avrebbe dovuto tutelare. Dall’uscita di questo report ad oggi è indubbio che tutte quelle istituzioni che contribuiscono ad allungare le aspettative e migliorare la qualità della vita di ognuno di noi, stiano vivendo un lungo periodo di lenta decadenza intervallata da veri e propri shock tellurici. Eventi che hanno lasciati degli strascichi che in altri tempi avrebbero fatto scattare l’opinione pubblica più ignava, ma che oggi a causa anche dell’apparato mediatico che passa per la sottovalutazione dell’influenza che hanno i social sulle masse, queste catastrofi vengono abilmente normalizzate. Quella che sembra una caricatura ideologica di dubbio gusto espressa nel titolo del libro dell’attuale segretario del PD, “Morire per Maastricht”, che rivolge ai cittadini l’invito che ci sembrava provocatorio, di morire per l’Euro e se intendiamo la moneta unica come il simbolo di quella accozzaglia di ideologie folli propinate dal capitale che tentano di nascondere la vera faccia isterica dell’ideologia ultraliberista della finanzia, il tutto sembra assumere dei connotati drammaticamente tangibili.

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