Perché i padroni vogliono la patrimoniale?

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Perché i padroni vogliono la patrimoniale?

Si riaccende la discussione in Italia sulla patrimoniale.

Fratoianni e Orfini hanno avanzato una proposta che sulle prime è stata bocciata dalla Commissione Bilancio della Camera. La proposta prevede una imposta sostitutiva sui grandi patrimoni, avente come base di partenza beni immobili e mobili per un valore di 500mila euro, con alcuni sgravi fiscali. Il punto dolente è che gli sgravi sono certi, mentre sono presenti «difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito». La proposta è stata riammessa nella prospettiva di superare in itinere l’incertezza su tali stime.

Gli estensori della proposta si sono affrettati a chiarire che il calcolo verrebbe effettuato sul valore catastale degli immobili, che – a loro detta – sarebbe molto inferiore a quello di mercato. Quindi niente da temere per i piccoli proprietari di immobili, che in Italia costituiscono da sempre una fetta molto più alta rispetto agli altri paesi.

Levata di scudi da parte di maggioranza e opposizione, ma è proprio così?

È interessante osservare la posizione delle grandi istituzioni internazionali in proposito.

Per esempio, Il Sole 24 Ore, l’organo di Confindustria, si associa al coro internazionale che punta il dito contro l’aumento della sperequazione della ricchezza (vedi qui). Tuttavia Confindustria fa sapere che non si deve elevare la pressione fiscale sulle attività produttive (cioè sui loro capitali), ma il peso dovrebbe essere scaricato su quelli improduttivi, quindi proprietà immobiliari e mobiliari congelate nei depositi.

Interessante quanto ha detto il 1 dicembre Catherine Mac Leod, l’economista a capo del Desk Italia all’Ocse a Radiocor al proposito: «In Italia far funzionare meglio il sistema di tassazione vuol dire anche assicurare che il catasto immobiliare registri meglio il valore attuale delle proprietà e questo permetterebbe alla tassazione sugli immobili di avere un ruolo maggiore nel mix delle entrate fiscali. Le tasse sugli immobili pesano meno sulla crescita e possono favorire l’equità più della maggior parte delle imposte. Aumenterebbe effettivamente il prelievo sulla ricchezza, ma senza i rischi, i costi e le difficoltà nell’implementazione che ci sarebbero con l’introduzione di tasse patrimoniali». Traduciamo: bisogna spostare il peso del prelievo fiscale dal reddito alle case, lasciando più reddito disponibile per allargare il mercato. In particolare si invoca l’adeguamento dei valori catastali a quelli effettivi, in totale contraddizione rispetto alla proposta Fratoianni-Orfini.

Anche Il Fatto quotidiano del 3 dicembre sembra associarsi alla crociata “redistributiva”, ricordando che ben il 44% della ricchezza in Italia è detenuto dal 10% più ricco della popolazione.

Partiamo proprio da questo dato, disaggregandolo per classi di popolazione: l’1% più ricco, poi il restante fino al 5%, la parte fino al già citato 10%, la fascia centrale e poi il 60% dei più poveri.

2011 2014 2011 cumulati 2014 cumulati
1% 14,24 11,69 14,24 11,69
1%-5% 17,86 17,96 32,1 29,65
5%-10% 26,99 24,82 44,85 42,78
10%-60% 23,45 28,21
60% 17,46 17,32

(dati OCSE, elaborazione nostra)

Notiamo subito due cose.

Primo, dal 2011 al 2014 la fascia dei più poveri è rimasta pressoché costante (17,46% – 17,32%); in soli tre anni è aumentata la fascia media, mentre il numero dei paperoni che si spartiscono l’1% della ricchezza è diminuito notevolmente (dal 14,24% all’11,69%). Quindi la concentrazione non aumenta nelle fasce medie o medio-alte, ma in quella altissima.

Non sono disponibili dati più aggiornati, ma tutti i segnali indicano che la tendenza alla concentrazione è in aumento. La pandemia – è opinione di tutti gli osservatori – sta dando un’ulteriore accelerata al fenomeno.

Facciamo ancora notare che il limite ipotizzato dalla proposta Orfini-Fratoianni si colloca proprio al livello del 10% più “ricco” (oltre 462mila euro), quindi non andrà a colpire tanto i succitati paperoni, ma quel 10% che vengono classificati come “ricchi”.

Il secondo punto su cui porre attenzione è la composizione di questa ricchezza.

Non abbiamo dati che scorporano questa ricchezza disaggregata per classi di popolazione, tuttavia sappiamo che la ricchezza delle famiglie (10.669 miliardi al lordo delle passività che ne assorbono quasi il 10%) è ripartita approssimativamente tra il 60% non finanziaria, ossia prevalentemente immobili, e il 40% finanziaria.

Il terzo punto a cui prestare attenzione è l’esposizione di questa ricchezza rispetto alla tassabilità. Sappiamo che ci sono strumenti finanziari (i cosiddetti trust) che mettono al riparo questa ricchezza da ogni aggressione dell’erario, addirittura a livello internazionale. Ciò vale non solo per le proprietà finanziarie, che sono molto più mobili e possono trasferirsi all’estero con operazioni che gli specialisti sanno effettuare, ma anche quelle immobiliari che si trovano sul territorio della Repubblica. È difficile pensare che le fasce più alte di reddito saranno sempre in grado di proteggersi da un eventuale assalto del fisco? Nelle proprietà immobiliari aggredibili dal fisco, ricordiamo, dobbiamo escludere anche tutti i beni ecclesiastici che vengono dissimulati come beni adibiti al culto.

In ultimo cerchiamo di esaminare la composizione della “ricchezza” di una famiglia che si trova nella fascia tra il 5% e il 10% più ricco, ossia quella che verrà probabilmente più investita dalla eventuale patrimoniale. Una casa di proprietà in un grande centro storico, arriva facilmente a tale cifra. Se poi pensiamo che, con la diminuzione della popolazione avvenuta negli ultimi decenni, si è assistita anche a una concentrazione delle eredità su famiglie sempre più numerose, non è raro trovare possessori di più di una unità immobiliari magari di basso pregio, che però concorrono a raggiungere i fatidici 500mila euro.

Ora ricordiamo ancora che questi possessori le tasse su quelle proprietà le hanno già pagate al momento della formazione del reddito che ha portato al loro acquisto e quindi in ogni caso si tratta di ritassare beni che già sono stato sottoposti a prelievo fiscale. La cosa non sarebbe affatto scandalosa se tali redditi fossero stati ottenuti con lo sfruttamento capitalistico, ma invece si può pensare che in maggior parte sono frutto di risparmi accumulati col lavoro personale proprio o dei propri avi. Se facciamo mente locale alla situazione in cui ci si trova oggi, non è infrequente che tali piccole proprietà siano in possesso di famiglie con basso reddito. Quindi anche un prelievo dello 0,2% su 500mila euro, fanno 1.000 euro. Per chi ha una pensione di 800 euro al mese, significa che per un mese e mezzo non mangia, non paga le bollette, non mette la benzina … oppure deve accedere a un prestito, o magari vendere la nuda proprietà, facendo sì che la prossima generazione non potrà entrare in possesso di quel bene.

Ora dovrebbe essere più chiaro che cosa significa la patrimoniale fatta dai padroni. E dovrebbe essere più chiaro che le velleitarie proposte dei riformisti nostrani aprono le porte a un ulteriore inasprimento dello schiacciamento verso il basso dei ceti intermedi da parte di quelli superiori, dopo che questi hanno schiacciato le classi inferiori.

Dice il segretario generale del Partito Comunista, Marco Rizzo.

«Una vera patrimoniale parte dalle grandi ricchezze e poi arriva ai ceti agiati. Come comunisti partiremmo infatti da Amazon, FCA, Benetton e i duemila Paperoni che hanno la sede legale in Olanda, il Vaticano che non paga l’IMU, le grandi famiglie che intestano i loro beni immobiliari nei “trust” e/o spostano i capitali all’estero. Dopo di che si scende alle centinaia di migliaia di euro di beni mobiliari ed immobiliari. ESCLUDENDO la prima casa (che a breve avrà cespiti catastali molto più alti grazie alla perfida UE). Ma vogliamo prendere in parola i nostri combattenti di sinistra e vogliamo vedere se, per questa “giusta” battaglia nel caso di non approvazione, faranno cadere il Governo. Ho l’impressione che si tratta solo di “chiacchiere e distintivo”. E poi ci chiederemmo dove investire questi soldi: in ospedali o aerei da guerra? Nei trasporti e nella scuola o nel salvataggio di banche corrotte?»

… e la lista potrebbe continuare all’infinito.

Concludiamo ricordando la vecchia frase timeo Danaos et dona ferentes (Virgilio, nell’Eneide la fa pronunciare a Laocoonte, quando vuol dissuadere i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci). Le proposte dei padroni e dei loro servi sono sempre avvelenate e i comunisti devono essere in grado di smascherarle e ribaltarle, avanzando critiche e controproposte che naturalmente, se attuate, farebbero saltare i piani reazionari e antipopolari.

È invece delittuoso accodarsi alle proposte del nemico.

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