Intervista all’Unione Democratica Arabo Palestinese

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Intervista all’Unione Democratica Arabo Palestinese

Intervista esclusiva di LaRiscossa.info con Sami Hallac, dell’Unione Democratica Arabo Palestinese

 

Cosa rappresenta l’UDAP – l’Unione Democratica Arabo Palestinese?

L’Associazione “Unione Democratica Arabo Palestinese – UDAP” nasce durante l’estate del 2000 nel tentativo di fornire una cornice ai vari attivisti arabi, presenti sul territorio italiano, impegnati per affermare i diritti dei rispettivi popoli e nella sensibilizzazione dell’opinione pubbica italiana circa le diverse cause arabe, quella palestinese in particolare. Affermandosi come associazione politica e culturale, e diventando col tempo un punto di riferimento fondamentale, nel 2005 l’UDAP si dota di uno statuto e si registra a Genova come “un’associazione indipendente e senza fine di lucro” che mira a promuovere il pensiero laico, democratico e progressista. Pur essendo composta principalmente da arabi, l’UDAP è aperta agli italiani solidali e sensibili a queste tematiche.

 

Abbiamo assistito ai bombardamenti di Gaza di questi giorni, a seguito degli scontri nella Spianata delle Moschee: qual è stata la scintilla che ha fatto scattare questa situazione?

In questi giorni, tutti i mezzi di informazione in occidente si stanno affannando nel tentativo di trovare le motivazioni per “giustificare” l’ennesima aggressione israeliana alla Striscia di Gaza.

Ma quel che sta avvenendo attualmente, non è forse una pura ripetizione di molti altri attacchi e aggressioni, più o meno ecclatanti, che si stanno verificando da più di 70 anni? È dal 1948, da quando è iniziata la Nakba, che lo Stato di Israele procede indisturbato nel suo progetto coloniale; la pulizia etnica in Palestina con l’espulsione/massacro dei suoi legittimi abitanti e la sua successiva giudeizzazione. L’esproprio delle terre, la distruzione delle abitazioni, la costruzione delle colonie, la profanazione e la ebraicizzazione dei luoghi sacri, la detenzione, i bombardamenti … sono tutti strumenti che i governi israeliani hanno usato/usano per perseguire il loro obiettivo. Da più di un anno, l’attenzione dello Stato Occupante si è concentrata maggiormente sulla Valle del Giordano e sull’area di Gerusalemme. Col silenzio assordante dei mezzi di informazione e l’adozione acritica da parte dei governi occidentali della narrazione israeliana, varie zone della Valle del Giordano sono state “svuotate” da qualsivoglia presenza palestinese. Col silenzio complice dei mezzi di informazione, da più di un anno tutti i quartieri di Gerusalemme Est sono teatro di continui rastrellamenti, distruzioni di abitazioni, arresti e allontanamenti forzati dei palestinesi ivi residenti. Nel corso degli ultimi mesi, lo Stato di Israele, forte dell’appoggio/silenzio del “mondo libero e democratico”, ha voluto accelerare questo processo colpendo ferocemente alcuni quartieri storici (Sheikh Jarrah, Silwan) e il luogo sacro per eccellenza (la Spianata delle Moschee).

Inoltre, gli ultimi avvenimenti non sono forse un forte diversivo per l’opinione publica israeliana visto lo stallo politico e istituzionale, con un Primo Ministro da anni indagato per corruzione e quattro elezioni negli ultimi due anni?

 

Al di là dell’aggressione militare israeliana di queste ore, qual è la situazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania?

Con la guerra del 1967 inizia la seconda fase della colonizzazione della Palestina. La prima è stata “inaugurata” nel 1948 quando il movimento sionista era riuscito ad imporre nella regione lo Stato di Israele occupando più del 70% del territorio nazionale palestinese. Da allora, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e la parte est della Città di Gerusalemme vengono continuamente deturpate e violentate. Con le sue politiche coloniali e razziste, lo Stato di Israele è riuscito a frammentare l’intero territorio, e con esso i palestinesi ivi residenti. La confisca delle terre e delle sue risorse, la costruzione degli insediamenti e del Muro dell’Apartheid, associate agli arresti di massa, ai massacri, alle espulsioni e all’evacuazione di intere zone hanno di fatto suddiviso la Cisgiordania e la parte est della Città di Gerusalemme in tanti cantoni, in spazi sempre più ristretti. La Striscia di Gaza vive sotto uno stato di assedio, isolata dal resto del mondo, fin dal 2006.

Ad avallare la situazione, subentrano le cosiddette trattative e i famigerati accordi di pace. Quest’ultimi, non solo legittimano i fatti creati sul territorio ma, con la promessa di una futura autonomia e indipendenza, creano una Autorità Nazionale Palestinese. L’ANP, oltre ad essere priva di qualsiasi potere reale, sottoscrivendo il “coordinamento alla sicurezza” con l’occupante, diventa di fatto partecipe della repressione di tutte le forme di dissenso e di resistenza.

 

C’è un fattore di novità in questo momento, ovvero l’atteggiamento degli arabi israeliani che sono diventati parte attiva del contesto politico israeliano: qual è la loro posizione?

Non esiste un censimento ufficiale del popolo palestinese. Secondo vari studi e ricerche sono circa 13 milioni. I palestinesi ancora residenti nei territori occupati nel 1948, i cosiddetti “arabo israeliani”, sono circa due milioni, in Cisgiordania e Gerusalemme quattro milioni e nella Strscia di Gaza due. La restante parte vive principalmente nei paesi limitrofi (Giordania, Siria e Libano), principalmente nei campi profughi. A seconda delle proprie condizioni oggettive e soggettive, tutti, indiscriminatamente, hanno sviluppato le proprie forme di resistenza per affermare la loro appartenenza e per lottare per i propri diritti. Il Diritto al Ritorno è il criterio fondamentale che unisce tutti i palestinesi; il diritto di poter far ritorno alla propria terra, la Palestina. Accanto alle forme tradizionali di lotta di lotta contro Israele, si sono sempre sviluppate e affiancate altre forme che dipendono appunto dalle condizioni oggettive e soggettive delle presenze palestinesi. Alla faccia del famoso slogan sionista “I vecchi muoiono e i giovani dimenticano”, i palestinesi, ovunque, reclamano e lottano per i propri diritti. Chi continua a vivere nei territori occupati nel 1948 subisce la stessa discriminazione e le medesime politiche coloniali come i palestinesi dei territori del 1967. Non ha mai smesso di dare il proprio contributo alla lotta e soprattutto non dimentica che la maggior parte di che vive attualmente nei campi profughi disseminati nel Vicino Oriente aveva la casa e la terra a al-Lid, a Nazzareth, a Bi’r al-Sabe’…

 

Da esuli, qual è la vostra speranza per il futuro?

Porre fine allo stato di smembramento e di frammentazione nel quale siamo costretti a vivere… Vedere la fine del colonialismo in Palestina…Concentrare le nostre energie per costruire le nostre vite…Vivere come tutti i popoli autodeterminandoci…Poter tornare tutti nelle nostre case e a vivere sulla nostra terra, dal fiume al mare, la Palestina storica. Questo è il sogno di tutti i palestinesi. Il nostro popolo ama la vita, rispetta l’ambiente e la vita altrui. Per questo sta lottando.

Il popolo palestinese sta dando la propria parte nella lotta per la civiltà. Le forze in campo sono impari. Se si vuole che la Palestina cessi di essere il laboratorio del potere occidentale, occorre ascoltare meglio chi, ogni giorno, è la cavia per nuove politiche segregazioniste, per nuove armi e per nuovi modelli culturali di esclusione. Sarebbe già un notevole passo in avanti…per tutti.

 

 

 

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