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La Comune di Parigi e il sogno proletario.

di Giovanni Moriello

Il 28 maggio 1871 finì tragicamente la Comune di Parigi, il primo governo socialista dell’Europa moderna.

Era in corso la guerra franco-prussiana e Otto von Bismarck, con la schiacciante vittoria di Sedan (2 settembre 1870) pose fine al velleitario e sanguinoso impero di Napoleone III. Le forze conservatrici e borghesi, che allora guidavano l’Assemblea Nazionale, pur di evitare che dalla sconfitta si passasse alla rivoluzione, trattando col nemico, tentarono dapprima la restaurazione di una monarchia più o meno parlamentare, e poi, dopo che ebbero visto Palazzo Borbone invaso dal popolo indignato, si affrettarono a proclamare la repubblica (4 settembre 1870). Così, nello stesso giorno, presso Hôtel de Ville, si insediò il famoso governo di difesa nazionale, il cui capo, però, il generale Trochu, da gran patriota qual era, «riteneva assai più importante tenere a bada i rossi a Parigi […] anziché battere i prussiani[1]»; e il suo ministro degli esteri, il losco Jules Favre, addirittura ammetteva che il governo doveva difendersi più dagli operai parigini che non dai soldati prussiani[2]. Questa accolita di traditori, il 28 gennaio del 1871, sotto la guida dell’orleanista Adolphe Thiers, rese infine evidente la propria impostura. Fu infatti quest’ultimo che, a capo del governo di difesa nazionale, firmò l’armistizio che vendeva la Francia alla Prussia, e fece ciò addirittura presentando il proprio esecutivo come «il governo francese dei prigionieri di Bismarck». Dunque, la repubblica che era nata sui morti di Sedan, ora svelava la propria natura classista e si preparava ad affondare vivi colpi nella carne del popolo francese! Ma questi avventurieri della politica, che Marx chiamò tickets-of-leve man, non avevano fatto i conti con qualcosa di nuovo, che era mancata durante i moti del 1848 e che invece ora si faceva sentire con tutta la sua prepotenza. In ogni basso fondo cittadino, da Montmartre a Belleville, nei club popolari, nei quartieri operai, nelle fabbriche, una nuova consapevolezza aveva trasformato l’animo dei lavoratori: l’umile servo della gleba era divenuto operaio, il popolo ignorante aveva lasciato posto al proletariato illuminato, la classe produttrice aveva capito di essere in lotta con quella degli capitalisti: la coscienza di classe era entrata nella storia! Fu così che la Guardia Nazionale, impugnando la bandiera rossa, simbolo della Comune, il 18 marzo del 1871 marciò verso l’Hôtel de Ville, mettendo in fuga Thiers e i suoi, i quali furono costretti a riparare a Versailles.

 

«I proletari di Parigi,» diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, «in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari … Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro propri destini, impossessandosi del potere politico[3]

 

La Comune, che nel frattempo sorse anche in molte altre città francesi e che fece tremare tutte le cancellerie d’Europa, nei suoi pochi mesi di vita, prese dei provvedimenti profondamente rivoluzionari. Soppresse l’esercito permanente per sostituirlo con quello dei cittadini armati nella Guardia Nazionale; stabilì l’istruzione laica e gratuita; rese elettivi e revocabili i funzionari pubblici e i magistrati; impose che il servizio pubblico fosse compiuto per salari da operai; assegnò le officine inattive a cooperative di operai e proibì il lavoro notturno dei fornai; favorì le associazioni dei lavoratori ed epurò gli oppositori politici.

Come già sappiamo, l’eroico assalto al cielo compiuto dal proletariato francese, finì tragicamente tra il 21 e il 28 maggio, quando le truppe versagliesi, che da tempo assediavano la città, riuscirono ad entrare, facendo strage dei comunardi. Come fu possibile che un uomo come Thiers, al guinzaglio di Bismarck, riuscisse ad avere tanta forza da soggiogare un così vasto e profondo movimento popolare? Quali furono gli errori commessi dalla Comune? Per rispondere, ci affidiamo a Marx e Lenin. I proletari non possono mai «mettere semplicemente la mano sulla macchina dello stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini[4]», essi debbono, invece, «spezzarne la resistenza[5]». E fu appunto questo che mancò alla Comune: la capacità di schiacciare definitivamente la testa della vipera. L’errore più grave fu, infatti, l’indulgenza con cui si consentì ai capitulards di fuggire a Versailles e lo scrupolo di incominciare la guerra civile marciando subito contro di loro; allo stesso modo, fu fatale pure il non aver occupato la Banca di Francia e il non avere distrutto le case dei ricchi borghesi, colpendoli così nelle proprietà e riducendoli finalmente alla fame. Infatti, Marx, pur riconoscendone gli sforzi fatti per smantellare lo stato borghese, sostenne che la Comune, «l’azione più gloriosa del nostro partito», peccò di troppa «onestà[6]».

Questo coraggioso «assalto al cielo[7]» ci insegna che il progresso sociale è possibile solo nella rivoluzione, e che questa non può fermarsi sulla soglia della guerra civile, anzi deve sfondarla con temerario azzardo, farsi rovina e morte del nemico, poiché solo così può trionfare la giustizia proletaria.

[1]    Karl Marx, La guerra civile in Francia, Lotta Comunista, Milano 2016, pag. 110.

[2]    ivi, pag. 49.

[3]    ivi, pag. 69.

[4]    ivi, pag. 67.

[5]    Vladimir Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere scelte, Editori Riuniti 1965.

[6]    Karl Marx, op. cit., pag.115.

[7]    ibid.

2 Comments

  1. Enrico ha detto:

    Un articolo che descrive il passato ma che sembra descrivere temi straordinariamente moderni e attuali!

  2. Alberto Pieroni ha detto:

    L’inizio…..
    Anche se sarà lunga ma il destino è segnato….a costi altissimi .

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