LA CRISI DELLA “DEMOCRAZIA LIBERALE” IN LOMBARDIA

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LA CRISI DELLA “DEMOCRAZIA LIBERALE” IN LOMBARDIA

Il dato più eclatante di queste elezioni regionali svoltesi in Lombardia e Lazio è sicuramente il crollo senza precedenti dell’affluenza. Limitandoci ai dati della Lombardia avevano per queste elezioni diritto di voti poco più di 8 milioni di cittadini: sono andati a votare poco meno di 3 milioni e 340 mila, ossia meno della metà (il 41,68%). Per dare un’idea di cosa sia accaduto si tenga conto che nelle regionali del 2018 i votati erano stati 5,76 milioni su 7,88 milioni di elettori (il 73,11%). L’affluenza era rimasta elevata anche alle Politiche del 2022 (70,55%). Un cataclisma quindi, che dimostra il crollo di fiducia generalizzato verso la politica nel suo complesso. Nessuno può dirsi realmente vincitore in questo scenario, che evidenzia uno scollamento generalizzato tra le masse popolari e le istituzioni della “democrazia liberale”. Andiamo a dettagliare però il voto, facendo un doppio confronto con i dati delle Regionali del 2018 e delle recenti Politiche del settembre 2022.

Fontana presidente raccoglie complessivamente 1.774.477 voti (54,67%), ossia sarà governatore con meno di un voto ogni quattro lombardi. Ha perso più di un milione di voti rispetto ai 2,79 milioni (49,75%) presi nel 2018 e in generale il centro-destra perde almeno 700 mila voti anche rispetto alle Politiche del 2022 (2,5 milioni).

La Lega nel 2018 prendeva 1,55 milioni di voti (29,65%), oggi sono appena 476 mila (16,5%), ossia più di 200 mila voti in meno persino rispetto alle Politiche del 2022: Salvini ha perso più di 1 milione di voti (due terzi del suo elettorato) in 5 anni.

Forza Italia nel 2018 prendeva 751 mila voti (14,3%), nelle Politiche 2022 si dimezzava a 398 mila voti (7,9%) e oggi arriva a poco sopra i 200 mila voti (7,2%): quasi un quarto dei voti rispetto a 5 anni fa.

Difficile quindi prendere per buono quel che dice la Meloni, ossia che “il risultato rafforza il centrodestra e il governo”. Qualcuno dovrà farle notare che il suo partito, Fratelli d’Italia, se ha ovviamente incrementato i voti rispetto al 2018, li ha già dimezzati in soli 5 mesi di governo: erano 1,4 milioni alle Politiche, sono diventati 725 mila ora.

Guardando al centro-sinistra Majorino raccoglie complessivamente 1.191.417 voti (33,93%). Nel 2018 Gori aveva preso 1,63 milioni di voti (29,09%) e alle Politiche 2022 il centro-sinistra aveva raccolto 1,35 milioni di voti. Si sono anche in questo caso persi per strada 440 mila voti in 5 anni, rispecchiando in particolar modo la crisi del Partito Democratico: 1,008 milioni (19,24%) nel 2018, 961 mila voti (19%) nel 2022, 629 mila (21,82%) ora: persi 380 mila voti in 5 anni.

Non che abbia molto da ridere Conte: lasciando perdere il clamoroso (e ormai anacronistico) 17,4% del 2018 (975 mila voti), il M5S aveva raccolto alle scorse Politiche 379 mila voti (7,5%), diventati ora 113 mila (3,93%), confermando meno di un voto su tre nel giro di pochi mesi.

La “sinistra compatibilista” (Alleanza Verdi e Sinistra) tiene parzialmente solo in percentuale rispetto alle Politiche 2022, quando aveva raccolto 193 mila voti (3,8%), oggi dimezzati a 93 mila voti (3,23%).

Per la cronaca perfino Calenda non ha molto da gioire: i 522 mila voti (10,3%) presi alle Politiche del 2022 si sono trasformati in 122 mila (4,25%) alla lista nelle Regionali, e anche a voler guardare il risultato complessivo della Moratti (320.346 voti, 9,87%) significa che si sono persi 200 mila voti.

L’ultima candidata governatrice, Mara Ghidorzi per Unione Popolare, raccoglie 49.514 voti (1,53%), ossia quasi 10 mila voti in meno rispetto allo scorso settembre (57.500 voti e 1,1%), ma pur sempre 10 mila voti in più rispetto ai consensi presi da Massimo Gatti nel 2018 (38 mila voti e 0,68%). C’è da segnalare però che alla lista Unione Popolare sono andati 10 mila voti in meno (39.913) rispetto ai consensi data alla governatrice. Il dato che emerge è che Unione Popolare non riesca a sfondare nei consensi nonostante lo scenario migliore possibile, con la totale assenza di qualsiasi altra lista di sinistra, comunista o “antisistema” a creare un “eventuale disturbo”.

Una tendenza questa, di votare la persona e non il Partito, riscontrabile in tutti gli schieramenti: in maniera più spiccata per Majorino (250 mila voti in più rispetto alla sommatoria delle liste) ma perfino per Fontana (150 mila voti in più rispetto alla sommatoria delle liste), il che evidenzia la sempre maggiore personalizzazione e americanizzazione della politica tipica della stagione avviata dopo tangentopoli.

Da segnalare infine anche il calo del voto di protesta derivante dalla scheda bianca: erano 60 mila nel 2018, sono poco più di 20 mila nel 2023. In calo anche le schede nulle: 87 mila nel 2018, 72 mila nel 2023.

Complessivamente ne esce fuori un profilo di grande crisi di consenso verso tutte le forze politiche esistenti, figlia della crisi economica e sociale sempre più devastanti conseguenti alla guerra. Si apre una voragine nello spazio politico italiano (dato che le tendenze lombarde sembrano confermate da quelle laziali) che però non sarà di facile occupazione da parte delle forze minori esterne ai giochi di potere, data la preponderante forza del totalitarismo “liberale”, capace di impedire la visibilità a organizzazioni che ormai contano un radicamento ed una visibilità insignificanti se riferiti ai grandi numeri. Lo scenario più probabile che si apre per il futuro sarà quindi la possibilità per il Potere di costruire nuovi fenomeni personalistici, nuovi “messia” che riusciranno a fregare una parte significativa ma sufficiente delle masse popolari (come già fatto in passato dai vari Berlusconi, Monti, Salvini, Draghi, Meloni, ecc.).

L’alternativa, per tutti coloro che leggono e non intendono rassegnarsi al contingente, è lavorare a rafforzare il Partito Comunista e con esso la costruzione della progettualità di Democrazia Sovrana Popolare.

Alessandro Pascale, segretario regionale Partito Comunista Lombardia

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