LA RETROMARCIA DELL’UE SULLA TRANSIZIONE ELETTRICA. NUOVO GREENWASHING?

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LA RETROMARCIA DELL’UE SULLA TRANSIZIONE ELETTRICA. NUOVO GREENWASHING?

In un articolo del 23 febbraio dicevamo:

«Ma il punto più interessante riguarda l’automotive (il Parlamento europeo ha bocciato la proposta sul regolamento “Euro 7”). Questa doveva essere la vera grande “rivoluzione” che avrebbe comportato, non solo il rinnovo dell’intero parco macchine, ma anche una svolta nelle abitudini quotidiane dei cittadini europei. Ebbene, che cosa è successo? Che la Cina si è lanciata prima e meglio dell’Europa sul settore, praticando con una accorta politica di programmazione a lungo periodo, che ha coinvolto le case costruttrici del Paese. L’affarone del secolo si è quindi sgonfiato nelle mani dei monopolisti occidentali, come testimonia il fatto che ora il primo produttore di auto elettriche nel mondo è cinese, con costi bassi e affidabilità alta, inarrivabili per i concorrenti.»

Ebbene, forse la retromarcia avverrà in tempi molto più rapidi di quanto ci si potesse immaginare.

Naturalmente prima vanno avanti le pattuglie di esplorazione, che in questo caso sono costituite da “studiosi” – ignari o conniventi, non importa – e poi, una volta saggiato il terreno, procederà il resto delle truppe.

Veicolo degli esploratori non può che essere il giornale di regime più “eccellente”.

Su Repubblica del 28 marzo esce un articolo a pag. 18 in cui, dopo la solita litania sul climate change, si dice testualmente:

«Tuttavia, ridurre le emissioni di gas clima alteranti ha profondi impatti sull’economia delle nazioni e richiederà un tempo ancora lungo oltre ad un impegno globale per ora difficile da prevedere, prima che si riescano ad ottenere risultati apprezzabili. Il secondo termine: riassorbire una buona percentuale della CO2 presente nell’atmosfera, al contrario, non presenta alcuna difficoltà tecnica né minaccia per le economie del pianeta. Tutt’altro: il sistema ad oggi di gran lunga più efficiente per riassorbire CO2 dall’atmosfera è, infatti, l’utilizzo degli alberi. Tanti alberi, in verità: al G20 di Roma del 2021, presieduto da Mario Draghi, è stata accettata la proposta di piantare mille miliardi di alberi come una delle strategie fondamentali per combattere la crisi climatica. Piantare mille miliardi di alberi pone come è ovvio alcuni problemi, primo fra tutti trovare il posto dove metterli.»

Che dire?

Primo. Bene, vi siete “accorti” che l’elettrificazione totale del parco auto in Europa è impossibile, oltre che inutile. Ve ne potevate accorgere prima, senza tante “ricerche”, ma meglio tardi che mai. La realtà è che l’affare vi si è sgonfiato nelle mani, perché la produzione cinese vi ha “mangiato” il promettente mercato che vi eravate prefigurati prima ancora di cominciare.

Secondo. Male, perché ora vedremo dove andrete a piantare questi alberi. Non è che per caso andrete a sostituire i terreni agricoli con nuove “foreste”? Infatti si legge nel citato articolo di Repubblica:

«sull’intero pianeta sono potenzialmente disponibili per la piantagione di alberi in aree periurbane, fra 141 e 322 milioni di ettari. Costruendo una mappa globale delle aree periurbane adatte al ripristino degli alberi si scopre che queste aree potrebbero accogliere tra 106 e 241 miliardi di alberi e che quasi l’80% di questi alberi potrebbe essere ospitato in soli 20 Paesi. Si tratta di un’ottima notizia. Piantare alberi intorno alle città, infatti, oltre che assorbire una significativa quantità di CO2 proprio lì dove è prodotta (le città producono circa il 75% della CO2 totale), porterebbe un’ampia gamma di effetti benefici per l’ambiente e per i cittadini.»

Un’ottima notizia per coloro che vogliono costringerci a mangiare cibo di laboratorio e sradicare tutta la filiera dell’agroalimentare attualmente attiva. Già si grida alla scarsità di terreni agricoli e alla competizione con la superficie forestale.

Insomma, se si sgonfia un affare, se ne inventano un altro.

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