L’ENNESIMA CONTRORIFORMA DELLA SCUOLA

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L’ENNESIMA CONTRORIFORMA DELLA SCUOLA

Continuando la serie di “Ce lo chiede l’Europa”, il governo non ha mancato l’occasione per mettere le mani con una sua riforma alle regole di accesso ai concorsi pubblici nella scuola secondaria di I e II grado. Naturalmente tutto è condito dalla retorica dell’efficienza, modernità, adeguamento a quanto fatto negli altri paesi. E ancora più naturalmente il tutto passa senza alcun dibattito parlamentare dentro un decreto legge che ha l’unica urgenza di eseguire quelle riforme in modo da attingere ai tanto celebrati fondi del PNRR che poi dovremo ripagare con le lacrime e con il sangue delle generazioni presenti e innumerevoli future.
Un buon viatico per capire l’approccio reazionario della riforma lo troviamo sul Sole24ore di oggi, in cui questa riforma viene attaccata per i motivi opposti a quelli che riguardano gli interessi degli insegnanti che ci lavorano, degli studenti che ci studiano e conseguentemente delle loro famiglie. Viene attaccato perché il sistema di accesso creato non è sufficientemente rigido, si dice. È chiaro che è un gioco delle parti. Il governo fa 10, il giornale della Confindustria si straccia le vesti dicendo che si doveva fare 20 e quindi ci saranno sindacati acquiescenti che accetteranno quel 10 come un buon compromesso.

Ma veniamo al merito della questione.

Si parte da un’osservazione che “in Italia un enorme numero di studenti al termine del percorso scolastico non raggiunge un livello di competenze adeguate”. Intanto detta così è una cosa fuorviante, perché non si distingue né geograficamente, né per istituti, né per fasce sociali, quando invece è notorio che la scuola ormai ha riacquisito quella fisionomia spiccatamente di classe come un secolo fa. Ma l’approccio del tutto indimostrato e indimostrabile è che ciò dipenda dalla qualità degli insegnanti.
Della qualità dei libri di testo e in genere delle attrezzature e degli ambienti scolastici, del prestigio degli insegnanti picconato a ogni pie’ sospinto proprio da articoli come questo, dall’enorme carico di lavoro inutile e anzi dannoso che agli insegnanti viene attribuito che li distoglie dalla loro attività principale che sarebbe quella di insegnare e non riempire cartacce inutili, di stipendi miserabili che li mortificano, del frequente sovraffollamento delle classi, della deportazione forzata per tutt’Italia causata da superfetazioni di regole concorsuali che migliaia di insegnanti continuano a subire, della rotazione continua che gli insegnanti devono subire in tante classi che rende la continuità didattica una chimera per tante classi … (certamente dimentichiamo tantissime cose e la categoria degli insegnanti ci scuserà per questo) … di questo l’olimpico articolo del prestigioso Sole non si occupa.

La colpa (che in tedesco si dice con la stessa parola con cui si dice “debito”: debito formativo, debito finanziario, tutto è colpa/debito ormai) naturalmente è degli insegnanti che non sono stati “formati” adeguatamente. E quindi dobbiamo allungare il loro percorso di studio introducendo ben 60 “crediti” (con cui si pagano i “debiti”) universitari (CFU), pari a un intero anno, nei quali si insegna agli insegnanti ad insegnare. Che trovata! Ma riflettiamo: come mai i vecchi corsi di laurea, per esempio di Lettere, di 4 anni riuscivano a sfornare ottimi insegnanti fino all’introduzione dell’infausto 3+2 e oggi coi corsi portati tutti a 5 anni (quindi proprio quell’anno in più richiesto) non si riesce? Cosa impedisce, se bisogna adeguarsi all’Europa, di riformare i corsi universitari di base introducendo nei corsi curricolari proprio quei 60 CFU così indispensabili? Forse il fatto che anziché accelerare l’immissione degli insegnanti la si vuole ritardare, come l’espletamento dell’ultimo scandaloso concorso ha dimostrato? Forse perché tali aspiranti insegnanti dovranno pagarseli a spese loro questi famigerati 60 CFU?
Nell’articolo citato del Sole ci si lamenta del fatto che oggi assunzione e abilitazione sono separati. Ma ricordiamo che fine hanno fatto i corsi della SISSIS che, oltre che essere abilitanti, dovevano anche assicurare l’assunzione? Sono finiti nel fatto che poi gli abilitati si sono dovuti fare i concorsi, magari in una classe diversa da quella in cui si erano abilitati, a causa del fatto che non c’era alcuna rispondenza tra quanto promesso e quanto mantenuto dai governi.

In conclusione, il “ce lo chiede l’Europa” ancora una volta si dimostra una trappola per far accettare ai lavoratori italiani ciò che non potrebbe mai essere accettato. L’Europa si rivela come sempre una struttura sovranazionale atta a schiacciare la volontà dei popoli, a far passare riforme immonde senza neanche che i parlamenti nazionali ne siano coinvolti, a realizzare un’idrovora di risorse finanziarie che poi redistribuiscono secondo criteri che favoriscono solo le élite economico-finanziarie che altrimenti sarebbero impegolate in mille contrattazioni nazionali.
Il “governo dei migliori” è questo, è sempre stato questo. In greco si dice “aristocrazia”.

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