NEGLI USA L’ABORTO NON E’ PIU’ DIRITTO COSTITUZIONALE

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NEGLI USA L’ABORTO NON E’ PIU’ DIRITTO COSTITUZIONALE

La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti abolisce il diritto all’aborto.

La Corte non riconosce più rango costituzionale al diritto all’aborto.

Ora quindi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia.

Già Texas e Missouri rendono l’aborto illegale. Sono già 13 gli stati che metteranno fuori legge l’aborto.

 

Com’è noto, gli USA sono un’Unione federale e ci sono temi che sono di competenza dei singoli Stati e temi che invece sono considerati di valenza federale.

La recente sentenza della Corte Costituzionale ha affermato che l’aborto non è di valenza federale, ma può e deve essere regolato dai singoli Stati. In punta di diritto non è una sentenza né “abortista”, né “antiabortista”. Tuttavia, siccome vi sono diversi Stati in cui esiste una maggioranza antiabortista, è evidente che le donne che risiedono in quegli Stati saranno sottoposte a una legislazione più o meno restrittiva, secondo delle maggioranze politiche che si creeranno. Prima di questa sentenza, invece, il diritto all’aborto era riconosciuto di rango costituzionale e quindi i singoli Stati a maggioranza “antiabortista” potevano solo cercare di limitare il diritto all’accesso, ma non bandirlo per legge.

 

La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari. Come si sa, la composizione della Corte, costituita da giudici nominati a vita dai Presidenti, riflette l’orientamento politico della fazione precedentemente al potere. Oggi ci sono in prevalenza giudici nominati dai Bush e da Trump e in minoranza dai democratici. Il principio originario dovrebbe essere quello di creare un bilanciamento di poteri che non dia la schiacciante maggioranza all’una o l’altra delle fazioni. Ma nella realtà dei fatti si arriva oggi a una delegittimazione reciproca dilaniante. Il presidente passato Trump ha dichiarato che la sua sconfitta è stata frutto di brogli e circa la metà degli statunitensi gli dà ragione, il presidente attuale ha dichiarato che questa sentenza è vergognosa e farà di tutto per ostacolarne l’attuazione.

Insomma, la “culla” della “democrazia” americana si è rovesciata e il bambino giace al tappeto malconcio.

 

Desideriamo però entrare nel merito di quello che succede al di là dell’Atlantico e confrontarlo con la nostra situazione.

Non c’è dubbio che per le donne degli strati popolari americani è un pauroso ritorno indietro di oltre 50 anni. Le donne saranno costrette a spostarsi da uno Stato all’altro o a rivolgersi all’illegalità. Sappiamo bene che vietare l’aborto non lo ha mai fermato, ma lo ha solo reso clandestino con mille rischi in più per la donna.

Questa da sola basta a dimostrare quanto sia falso e ipocrita il pensiero che gli USA siano la terra delle libertà e della democrazia. Diritti e libertà valgono solo per chi ha i soldi per pagarseli.

Ma il risvolto politico in realtà è più sottile. Sulla pelle delle donne americane si sta giocando uno sporco gioco al massacro. Queste diatribe servono solo a imbonire i “timorati di Dio” e mobilitare i “progressisti” in difesa di una democrazia farlocca. Le condizioni di vita e i diritti delle classi popolari negli USA nel frattempo precipitano, qualunque sia l’amministrazione “abortista” o “antiabortista” che si alterni al potere. Quindi, mentre il popolo lo si fa litigare su questi argomenti, che pure costituiscono una consistente parte dei diritti di tutti, le classi dominanti americane congiuntamente stanno facendo precipitare il mondo intero nella recessione e nella guerra, finora per loro, per interposta persona.

I democratici nostrani si sbracciano per manifestare il loro dissenso e la loro “delusione” per quanto avvenuto negli USA, ma una disamina di cosa significano negli USA le difficoltà per abortire nessuno le mette in conto.

 

La democrazia e il liberalismo sono le due correnti principali del pensiero politico e sono in larga parte antitetiche. Più indirizzata a privilegiare l’aspetto dei diritti sociali la prima, più attenta ai diritti individuali la seconda. Non c’è alcun dubbio che proprio l’atteggiamento che le nazioni hanno nei confronti dell’aborto misura la contrapposizione tra questi due atteggiamenti.

Negli USA, tipica nazione liberale, si tende a riconosce il “diritto” all’aborto o a negarlo. In Italia, un paese in cui per decenni ha prevalso una mentalità democratica, la legge 194 invece non è partita dal “diritto” all’aborto, ma dalla necessità di sostenere in tutti i modi la donna per evitare che arrivasse a tale scelta, affinché poi questa – se davvero fosse confermata dalla donna, ultima e indiscutibile giudice del proprio comportamento – fosse veramente libera.

I sostenitori della “libertà” dicono: «vuoi abortire? Fallo pure!» Ma che libertà si concede a una donna che percorre questa strada per necessità e quindi con dolorosa sofferenza? È facile per la società sbarazzarsi del problema e addossarlo in tutto e per tutto all’individuo, in questo caso alla donna!

I sostenitori della democrazia invece assumono su tutta la società l’onere di salvaguardare il percorso della donna, dalla prevenzione, alla istruzione, fino alla rimozione delle cause sociali che spingono una donna ad abortire. Solo dopo che tutte queste cause sono state rimosse si può dire che la donna – tutte le donne, ricche e povere, bisognose o benestanti – è messa nella condizione di operare una libera scelta.

Se gli USA sono i campioni della “libertà”, è la libertà di essere soli in una società ostile.

 

La Legge 194 fu approvata nel 1978 dopo grandi lotte popolari e parlamentari. Furono i due grandi partiti popolari e di sinistra ad essere i veri protagonisti di questa lotta, il PCI e il PSI. Il mondo cattolico venne chiamato alla crociata. La legge osteggiata dalle forze clerico-fasciste e resistette a due referendum abrogativi: uno proposto dai radicali, di stampo appunto “liberale” che depenalizzava totalmente l’aborto, e uno da forze “antiabortiste”. Entrambi furono sonoramente sconfitti nelle urne, andarono a votare oltre il 90% degli aventi diritto, quindi furono esplicitamente rigettati e non come succede oggi semplicemente decaduti per mancanza di quorum. La proposta radicale fu approvata da un magro 11,58%, quella antiabortista dal 32%. Fa quindi specie che oggi, i reduci liberali e radicali italiani di quelle battaglie provocatorie contro la 194, oggi si dicano “delusi” dagli Stati Uniti.

 

Oggi quella legge è in realtà largamente inapplicata, soprattutto nelle formulazioni che riguardano la prevenzione, ossia nelle parti che, almeno sulla carta, la renderebbero davvero “democratica”. In ogni caso il numero di aborti è in costante calo, segno comunque di una crescita di consapevolezza e prevenzione delle donne.

Un altro gravissimo vulnus di cui soffre l’applicazione di questa legge è la concessione del diritto all’obiezione per medici e paramedici. Una misura che poteva trovare una giustificazione nel transitorio, ma che oggi non ha assolutamente alcuna ragione di essere. Vi sono regioni in Italia in cui abortire è un’odissea e spesso ci si deve trasferire in altre regioni, con ovvi aggravi economici che spesso si sommano alle difficoltà e agli strazi psicologici.

È ben “strano” che questa faccenda dell’obiezione venga usata a segni alterni. Vi sono settori dove l’obiezione è concessa ed altri no. Il medico ginecologo obiettore va bene; il medico obiettore alla somministrazione indiscriminata per sé e per gli altri di un farmaco che non ha una funzione di limitazione della diffusione del virus, ma forse solo di mitigazione delle conseguenze sanitarie personali sì. Certo accostare la vicenda del green pass con quella dell’aborto può suonare stonata. Ma a ben riflettere è quello che succede nel nostro Paese.

 

Lanciamo l’appello per la difesa e l’attuazione integrale della legge 194 in Italia, a cominciare dalla prevenzione e dal sostegno materiale e psicologico alle donne, che non siano abbandonate da una società liberale che se ne frega del loro stato.

Lanciamo l’appello per la reale possibilità di abortire, quando ne ricorrano le condizioni, e che non continui a succedere, come ora in USA, che le donne debbano spostarsi da una regione all’altra a causa di un malinteso senso dell’“obiezione di coscienza”. Basta con l’obiezione a segni alterni quando conviene a certe categorie.

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