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G7, scontro USA-Germania: prendiamo davvero il nostro destino nelle nostre mani

Azione del Partito Comunista Grecia (KKE) al Partenone di Atene: "Popoli d'Europa Sollevatevi" - 4 maggio 2010

*di Alberto Lombardo
(resp. dip. organizzazione e formazione – Partito Comunista)

Come non essere d’accordo con la cancelliera Merkel!

È ora che i popoli d’Europa si sollevino e riprendano in mano il proprio destino, buttando a mare una volta per tutte il capitalismo monopolistico che ci ha fatto sprofondare in quest’era di miseria e guerra.

Di solito i contrasti inter-imperialistici sono sempre stati ovattati nella bambagia diplomatica, ma questa volta al G7 di Taormina la crisi è esplosa in faccia ai rappresentanti di un capitalismo ormai alle corde e i panni sporchi sono saltati fuori.

La rappresentazione mediatica della “nostra” borghesia esalta un’Europa “inclusiva” nei confronti dei “migranti”, nemica dei “muri” contro le persone e la “libera” circolazione delle merci, attenta a uno “sviluppo sostenibile” “compatibile con l’ambiente”, baluardo dei “diritti umani” che vuole salvaguardare entro i suoi confini, ma anche e soprattutto fuori, come in Ucraina e in Siria, così come prima in Libia; dall’altro, ci mostra l’unico cattivo, Trump, protezionista e xenofobo in politica interna, ondivago e spregiudicato in politica estera, rappresentante della “vecchia” lobby dei petrolieri a cui egli stesso appartiene.

Certo non saremo noi a difendere un Presidente a capo di una potenza bellicosa, aggressiva come gli Stati Uniti, la potenza che continua a serrare in un blocco che dura dal 1960 Cuba socialista, che minaccia con la propria schiacciante forza militare e atomica la Repubblica Democratica di Corea, che ha foraggiato – fin dai tempi dell’assalto all’URSS e al campo socialista – e continua a foraggiare il terrorismo internazionale attraverso i suoi più impresentabili alleati, come l’Arabia Saudita, che sostiene contro ogni diritto internazionale lo stato sionista che occupa la Palestina e ne opprime il suo popolo, che ha sbranato interi popoli, come in Libia, Siria, Afghanistan e Iraq.

Dato ciò per scontato, vediamo con attenzione invece i punti di conflitto che sono emersi tra Stati Uniti e Europa e vediamo se ci sono “buoni” e “cattivi” o se entrambi i contendenti al di là e al di qua dell’Atlantico non si muovano per i propri interessi, che non sono affatto quelli dei popoli, ma quelli delle rispettive borghesie monopolistiche nazionali.

Energia

Di solito il problema energetico è contrabbandato come un problema “ecologico”. Si parla di “sviluppo sostenibile”, come se il problema fosse solo quello di poter sfruttare fonti di energia, materie prime e territorio, in modo che essi possano essere rimpiazzati prima del proprio esaurimento. Ovviamente il sistema capitalistico non può mai essere, per sua natura intrinseca, sostenibile, perché è finalizzato all’ottenimento del massimo profitto, quindi deve avere redditività esponenziali, ossia per mantenere un rendimento relativo costante nel tempo, le quantità devono essere crescenti, è la legge matematica della capitalizzazione composta. Da qui si arriva facilmente a spiegare le crisi di sovrapproduzione, studiate da Marx ed Engels, con la connessa distruzione di forze produttive e capitali, e la tendenza ai conflitti inter-imperialistici e alla guerra imperialista, studiata da Lenin. Riducendo il problema al mero fatto tecnico di avere fonti di energia rinnovabili, coltivazioni rinnovabili, ecc., si maschera il problema più importante e si devia l’attenzione dei popoli su fatti di secondaria importanza.

In particolare, gli Stati Uniti sono dei forti produttori di petrolio ma sono anche dei grandi consumatori di energia, più di ogni altra nazione; di conseguenza, basando i propri consumi su fonti fossili, sono anche i maggiori inquinatori del Pianeta. Sfruttando lo shale oil, prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso, mediante i processi altamente inquinanti e pericolosi per l’ambiente, sono ridiventati esportatori netti di petrolio. La guerra commerciale che hanno combattuto contro la Russia e il Venezuela, abbattendo il costo del barile di petrolio e conseguentemente quello del gas, ha provocato la crisi di quel settore, che per essere redditizio, deve confrontarsi con un prezzo del greggio superiore a 35 dollari al barile.

La Francia ha puntato molto su una fonte che definire “rinnovabile” fa sorridere amaramente, quella nucleare. Naturalmente quella fonte è molto pericolosa per i problemi irrisolti di stoccaggio delle scorie e trova giustificazione storica solo nella necessità di realizzare il materiale fissile di base per le bombe atomiche. Diciamo che è un sottoprodotto della guerra fredda. A causa degli spropositati investimenti che tale tecnologia comporta, per ammortizzarne i costi, hanno sempre cercato di vendere centrali nucleari ad altri paesi, ma ora la maggior parte di questi ne vuole uscire, come Finlandia (che si sta svenando per la costruzione di una centrale di IV generazione), Svezia e Germania.

La Russia è il più forte produttore di gas e cerca in tutti i modi di realizzare, da sola o in joint venture, gasdotti che portino il suo gas in Europa, alleandosi in modo variabile con questa o con quella borghesia. Il conflitto siriano è stato generato in buona sostanza da chi e come deve gestire un gigantesco gasdotto che deve passare da quel paese.

Queste tre borghesie, che possiedono grandi conglomerati nei rispettivi settori, non hanno alcuna convenienza a modificare gli assetti attuali, se non per scalzare marginalmente quote agli avversari.

La Germania è in posizione molto diversa. Non ha fonti energetiche proprie. Il contributo dell’uso del carbone “pulito” è molto relativo ed è sostanzialmente una nuova tecnologia per una materia prima ormai obsoleta. Quindi ha cercato di rendersi indipendente, differenziando le proprie fonti di approvvigionamento, principalmente col gas russo (realizzando gasdotti che passano direttamente sotto il Baltico, “saltando” il passaggio della Polonia), nucleare e fotovoltaico. Dal nucleare, dopo l’incidente di Fukushima e alcuni gravi incidenti occorsi nei siti tedeschi sotterranei di stoccaggio, si è deciso di uscire progressivamente, anche perché tra poco la materia prima, l’uranio, comincerà a scarseggiare. Quindi la tecnologia tedesca si è sempre più indirizzata verso il fotovoltaico, diventando inizialmente il paese in Europa con la quota maggiore di energia elettrica prodotta da quella fonte (oggi questo primato è stato strappato dall’Italia). È chiaro però che la posizione geografica di quel paese non è favorevole e quindi si sono fatti studi per realizzare gli impianti in territori più a sud e portare l’energia al nord. Si tratta del Desertec, il mega progetto per lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica del Nord Africa e del Medio Oriente e la realizzazione di una supergrid di collegamento tra le centrali di produzione e l’Europa. Accolto inizialmente con entusiasmo da più finanziatori, l’obiettivo era quello di contribuire a fornire entro il 2050 fino al 15% di energia al Vecchio Continente. Ora però sono rimasti solo tre dei diciannove azionisti che nel 2009 avevano dato vita all’iniziativa: l’ACWA Power IPO-ACWA.SE dell’Arabia Saudita, la tedesca RWE e la cinese State Grid, mentre colossi come Siemens e Bosch hanno annunciato l’uscita dal progetto. Il budget stimato per la faraonica impresa era di 400 miliardi di euro, che oggi risulta improponibile a causa della esplosiva crisi politica che ha investito gli Stati del Nord Africa. Questo spiega ampiamente la freddezza con la quale la Germania ha visto le manovre nel continente africano e se ne è tenuta ben lontana e invece spiega l’attivismo di Francia e Stati Uniti nell’area.

L’Italia in tutto questo si trova in una posizione di svantaggio. Non può fare affidamento su elevate ed economiche fonti nazionali. Esse in verità, se fossero gestite in modo adeguato e non finalizzato al massimo profitto, potrebbero rendere il nostro paese indipendente dal punto di vista energetico, attraverso un oculato mix di fotovoltaico (sempre più efficiente), eolico (non gestito però a mero scopo speculativo come hanno fatto società mafiose, che hanno intascato i contributi per la costruzione in luoghi che si sono rivelati del tutto errati, ma congruenti solo con gli interessi di chi li ha fatti), idroelettrico e fonti fossili nazionali (anche queste da gestire in modo virtuoso e non in modo criminale come viene fatto in Basilicata). Invece la borghesia italiana ha scoperto che è più conveniente sfruttare la posizione geografica della Penisola, ossia costruire hub di reti di trasporto di energia e guadagnare sulle royalties del passaggio di quantità che sono di gran lunga superiori alle necessità del nostro paese. Quindi si dà il via alla costruzione di pericolosi siti per la rigassificazione del gas che viaggia su navi, gasdotti come la TAP, che espropriano il territorio ai rispettivi abitanti, ecc. Ciò naturalmente è devastante per il territorio e le popolazioni, ma è il mezzo per realizzare i grossi profitti previsti. L’altra fonte di profitti è quella di partecipare coi propri capitali ai progetti altrui e sfruttare il proprio potenziale di conoscenze scientifiche e tecnologiche. È recentissima la joint venture di Enel, insieme a BofA Merrill Lynch e Jp Morgan, con la società cilena per gli idrocarburi ENAP, per la costruzione della prima centrale geotermica in Sudamerica, e l’accordo di cooperazione con Fincantieri per la progettazione di piattaforme galleggianti.

In questo ci troviamo virtualmente alleati con la Cina, che da un lato ha una enorme quantità di capitali da investire e dall’altro aumenta sempre più le acquisizioni sui mercati stranieri per fare fronte ad una domanda interna di greggio ancora in crescita, con una dipendenza dal petrolio che ha superato il 55%. Recente acquisizione è stata quella di Sinopec (China Petroleum & Chemical Co.) in Sud Africa e Botswana dove il gruppo cinese ha acquisito da Chevron Global Energy il 70% di Chevron Sud Africa Ltd e il 100% di Chevron Botswana, comprese le raffinerie di Città del Capo con 5 milioni di tonnellate l’anno, oltre 820 stazioni di servizio nei due Paesi, 220 minimarket e impianti di distribuzione, deposito e produzione di lubrificanti a Durban. Negli ultimi cinque anni Sinopec da sola ha investito oltre 6 miliardi di dollari. D’altro lato State Grid Corporation of China, la prima compagnia cinese dell’energia, partecipa alla gestione della società elettrica italiana attraverso Cassa depositi e prestiti Reti, di cui ha il 35 percento delle quote ed esprime un consigliere d’amministrazione, Yunpeng He, vicedirettore dell’ufficio europeo della società cinese con sede europea a Berlino, e ha partecipazioni anche nelle società elettriche nazionali di Portogallo, Spagna, Grecia. Terna è importante per State Grid perché da essa dipende l’avanzamento del progetto di un’infrastruttura d’interconnessione tra la rete elettrica ad alta tensione italiana e quella tunisina, ovvero per collegare l’Africa all’Europa e realizzare così il vasto programma cinese di costruire una rete continentale e mondiale dell’elettricità, che i cinesi chiamano “internet della elettricità”, in collaborazione con Huawei, più grande operatore cinese dell’Ict, della tedesca Siemens, dell’americana General Electric. L’ipotesi cinese, lanciata a settembre 2015 dal presidente Xi Jinping, della interconnessione globale della rete elettrica, affinché l’elettricità prodotta in qualunque punto del Globo possa essere subito disponibile in qualunque altro, grazie a una rete di stazioni di generazione di energia, collegata da un’infrastruttura di linee ad alta capacità e voltaggio, riprendendo in questo la tecnologia di trasmissione rapida dell’elettricità messa a punto per il progetto Desertec. Questa sarà una potentissima leva del “soft power” cinese, che si somma alla “Nuova Via della seta”, denominato Obor, «One Belt, One Road», che promuoverà lo sviluppo delle infrastrutture, soprattutto di trasporto e di logistica, tra Asia ed Europa.

Anche altre potenze regionali non stanno a guardare. Per esempio in Israele, il gigantesco impianto solare di Ashalim, situato nel deserto del Negev, fornirà elettricità sufficiente ad alimentare 130.000 abitazioni.

In sintesi, le potenze mondiali e i rispettivi monopoli si regolano sullo scacchiere internazionale seguendo quelli che sono gli interessi che derivano dalle particolari caratteristiche nazionali, non certo la maggiore sensibilità ai “temi ambientali”, che invece fanno da maschera all’esportazione di capitali e le aggregazioni e alleanze che si aggregano e disgregano continuamente.

Produzione manifatturiera e protezionismo

Lo scontro tra Stati Uniti e Germania sul campo del manifatturiero ha assunto toni paradossali nell’ultimo anno.

I “difensori dell’ambiente” tedeschi sono stati “beccati” a truccare i motori diesel che esportano in USA pur di soddisfare i rigidi standard di quel paese sulle emissioni dei veicoli. La Volkswagen ha subìto una multa multimiliardaria dal governo statunitense e una serie di azioni legali da parte dei clienti americani che hanno quasi compromesso la sua proverbiale stabilità finanziaria.

Gli Stati Uniti lamentano l’enorme deficit commerciale in favore della Germania negli scambi dei due paesi e ora Trump minaccia di voler riequilibrare la situazione. Come ciò si possa fare non è chiaro, posto che, se le aziende americane comprano i prodotti tedeschi, è solo perché ne hanno convenienza, non certo perché ne sono costrette. Quindi in questa pantomima Trump incarna il sostenitore degli interessi del popolo americano, mentre Germania ed europei quello dei difensori della libertà commerciale.

Naturalmente, così come abbiamo visto a proposito della diatriba sull’ambiente, i popoli e le libertà in tutto questo non c’entrano nulla. Abbiamo conferma infatti che, a parti invertite, gli europei si lamentano coi cinesi più o meno con le stesse motivazioni di Trump. Confindustria italiana, così come quella di altri paesi europei, pretende che si neghi alla Cina lo status di “economia di mercato” (Mes), sulla base del fatto che, dicono, «quella con Pechino non è una competizione ad armi pari: la Cina è un’economia pianificata dove il ruolo dello Stato continua ad essere pervasivo, creando forti distorsioni sui meccanismi di determinazione dei prezzi e controllando direttamente ampi settori dell’economia. … Tanti sono stati i settori industriali che hanno espresso forti preoccupazioni per il rischio di concessione prematura del Mes alla Cina: dall’acciaio, alla ceramica, alle calzature, alla carta, alle biciclette, e altri ancora.» (Lisa Ferrarini, vice presidente di Confindustria con delega all’Europa, 24 aprile 2016). Classico esempio di uso dei due pesi e delle due misure: dove si ha il surplus commerciale si invoca la libertà dei mercati, laddove invece si ha un deficit commerciale allora si denunciano le “regole” che gli altri non rispettano.

Spese militari

Un altro punto di dissenso emerso nei colloqui prima e durante il G7 riguarda il contributo dei paesi NATO alle spese militari. Trump dice a brutto muso ai partner europei che devono contribuire di più. L’Italia si è impegnata a passare dall’1,1 percento del PIL attualmente speso, al 2 percento. Il che equivale a circa 16 miliardi di euro all’anno in più.

La borghesia italiana è certamente soddisfatta per questo impegno perché ciò significherà un diluvio di finanziamenti su quei settori molto dinamici, soprattutto rivolti alla ricerca e all’esportazione, che macinano profitti a più non posso. Naturalmente, in un momento di crisi irrisolta come questa, i soldi si troveranno tagliando ulteriormente le spese sociali e tutte le altre uscite dello stato. Ciò provocherà ulteriore impoverimento e ridotta capacità di spesa da parte del consumatore italiano. A soffrirne, oltre ovviamente i diretti interessati, saranno le aziende che centrano la propria produzione sul mercato nazionale. Quindi il risultato sarà una ancora più accentuata differenziazione tra la grande borghesia monopolistica e relativi settori dinamici ad essa aggregati, da un lato, e il resto della società, costituita da lavoratori a reddito fisso e piccola e media borghesia, artigiani, contadini, ecc. Il processo di proletarizzazione del cosiddetto ceto medio andrà ad approfondirsi.

“Migranti”

L’ultimo tema di conflitto è quello dei cosiddetti migranti.

Gli Stati Uniti hanno usufruito fin da prima del secolo scorso di ondate successive di immigrazione, dall’Europa e dall’America latina. La loro “gestione” è sempre stata molto controllata, finalizzata a fare entrare le quote programmate che servono al capitale come esercito salariato di riserva. Il muro col Messico non lo ha inventato Trump. «La sua costruzione ha avuto inizio nel 1990 durante la presidenza George H. W. Bush. Nel 1994 durante la presidenza Clinton la barriera fu sviluppata ulteriormente. Dal 1998 al 2004, secondo i dati ufficiali, lungo il confine tra Stati Uniti e Messico sono morte in totale 1.954 persone. Il 29 settembre 2006 il Senato ha confermato l’autorizzazione con una votazione di 80 a favore e 19 contrari. Sorprendentemente tra i democratici che in quell’occasione votarono a favore vi furono anche la futura candidata alla presidenza Hillary Clinton e l’allora senatore dell’Illinois Barack Obama» (da Wikipedia).

La “gestione” dei migranti qui in Europa non è meno criminale che negli Stati Uniti. Dopo aver messo a ferro e fuoco paesi come la l’Iraq, la Libia e la Siria, ma anche moltissimi paesi dell’Africa, tante persone cercano di scappare da quell’inferno che abbiamo creato e di rifugiarsi nei nostri paesi. Il rapporto annuale Global Trends dell’UNHCR riporta circa 65,3 milioni di persone costrette alla fuga nel 2015, rispetto ai 59,5 milioni dell’anno precedente: 1 persona su 113 al mondo è oggi un richiedente asilo, sfollato interno o rifugiato. La Siria con 4.9 milioni di rifugiati, l’Afghanistan con 2.7 milioni e la Somalia con 1.1 milioni rappresentano da soli oltre la metà dei rifugiati sotto mandato UNHCR nel mondo. Allo stesso tempo, la Colombia, con 6.9 milioni, è il paese con il più alto numero di sfollati interni, seguita dalla Siria, con 6.6 milioni, e l’Iraq, con 4.4 milioni. I bambini rappresentano il 51% dei rifugiati del mondo (dati UNHCR). Le richieste di asilo in Europa da parte di profughi siriani sono passati da 2.085 nel mese di dicembre 2012 a 36.383 nel mese di febbraio 2016, in Turchia sono 2 749 140. Le proporzioni dei numeri dice tutto.

Il Mediterraneo assiste a una strage continua e non fanno più notizia le morti a centinaia. Se davvero si volesse “accogliere” e non “gestire” il flusso di profughi si dovrebbe: primo, eliminare le cause della guerra in Siria smettendola con la sovversione contro il governo e il sostegno ai terroristi; secondo, andare a prendere direttamente i profughi sulle coste e portarli in salvo e non lasciarli alla mercé dei trafficanti e delle ONG che, bene che va, suppliscono impropriamente al ruolo che dovrebbe essere degli stati; terzo, dovrebbe essere lo stato stesso ad occuparsi dell’assistenza ai profughi e non dare contributi ai privati che ne fanno oggetto di speculazione; quarto, i profughi, una volta messi al sicuro, potrebbero essere messi in condizione di contribuire al proprio sostentamento con opere di automanutenzione, come il ripristino di luoghi ed edifici pubblici o espropriati a grandi società dove poterli fare soggiornare, ma non dovrebbero mai essere immessi illegalmente sul mercato del lavoro, sfruttando la loro ricattabilità e stato di necessità. L’Europa “accogliente” diventa ben presto un inferno per quelle persone che non sono perite nel viaggio, l’inferno delle campagne o delle strade di questo continente, dove si materializza il più atroce “crimine contro l’umanità”. Ciò dimostra il vero volto dell’“accoglienza” europea: sfruttamento bestiale del proletariato straniero e compressione dei diritti dei lavoratori. La risposta, come abbiamo detto più volte, per sfuggire alla guerra tra poveri non può che essere: uguale salario per uguale lavoro. Invece i controlli sugli abusi e le occupazioni in nero in Italia sono praticamente assenti.

Conclusioni

Nello scontro tra l’Europa e gli Stati Uniti, o meglio tra gli USA e il resto della piramide imperialista rappresentata dal G7, non vi sono buoni e cattivi, in nessun tema di rilievo. Lo scontro è solo sugli interessi specifici e vi sono solo rappresentazioni che camuffano la vera natura della contrapposizione. Il capitalismo europeo non è ambientalista, accogliente e difensore delle libertà, così come il capitalismo statunitense non ha a cuore il benessere della propria classe lavoratrice e del proprio popolo.

Tuttavia il fatto che questa divergenza, finora sommersa, sia venuta a galla con questa enfasi, vuol dire che i margini di contrattazione sono davvero risicati e ciò a causa della irresolubile crisi che attraversa il capitalismo.

Il compito è uno solo: sconfiggere la nostra borghesia. È la parola d’ordine che lanciò Lenin alla vigilia del Grande Ottobre cento anni fa, ed è ancora l’unica valida nell’epoca attuale che è ancora e sempre di più quella dell’imperialismo, ossia del grande capitalismo monopolistico.

Né terra, né mare, né aria per gli imperialisti

Per lo svincolamento dai conglomerati imperialisti UE e NATO,

Contro il capitalismo, per il potere dei lavoratori e il socialismo.

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