Le «bestie straniere», i «colletti bianchi» e il capitalismo

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Le «bestie straniere», i «colletti bianchi» e il capitalismo

«Ho fatto il giornalista. Sappiamo come si fa un titolo. Come si usano le parole. Per me bestia è chi commette reati.. Ci sono anche bestie italiane ma quelle mica possiamo mandarle a casa, dobbiamo tenercele». A parlare è Giovanni Toti, Governatore della Liguria in quota Forza Italia. Ma c’è di più, il giornalista rincara: «Applicando un sillogismo, anche Silvio Berlusconi, che è stato condannato in Cassazione, sarebbe una bestia?».

Toti, geniale (si fa per dire, ovviamente), risponde «No. La gente, quella che ha paura, che vive nell’insicurezza non ce l’ha coi reati dei colletti bianchi, con la corruzione, l’evasione… ce l’ha con le violenze del branco, gli stupri, gli scippi, i furti in casa».

Facciamo un passo indietro e inquadriamo la vicenda: il Governatore della Liguria, Giovanni Toti (già direttore del TG4), scrive un post su Facebook il 29 maggio (ora rimosso) riguardo la movida di Genova, un utente risponde: «Bravo Presidente! Ma quando rimpatriamo quelle bestie straniere?!!». Risposta del governatore: «Appena andiamo al governo. Purtroppo la regione non può far nulla in questo campo. Dipende tutto dal ministero degli interni a Roma».

Si scatena il putiferio e il dibattito politico, quello che finisce sulla carta stampata e a cui si dedicano le prime pagine dei quotidiani, rimane sul pelo dell’acqua come di consueto e si ferma a frasi di circostanza spacciate per espressioni rivoluzionarie avendo ben cura di non toccare l’argomento principale della critica da porre al Governatore.

Tale critica, infatti, prende le mosse dalle parole che ha pronunciato il Governatore stesso al ‘Fatto Quotidiano’ di oggi e, precisamente, quando afferma: «La gente, quella che ha paura, che vive nell’insicurezza non ce l’ha coi reati dei colletti bianchi, con la corruzione, l’evasione… ce l’ha con le violenze del branco, gli stupri, gli scippi, i furti in casa».

I colletti bianchi e la corruzione (che, beninteso, è un furto anche questo) non sono percepiti come dannosi per la collettività e quest’ultima non ne ha paura perché non lede nell’immediato la sua sfera privata, non come l’immigrato o il ladro (tratti che spesso coincidono nella vulgata politica quotidiana) che “ruba a casa tua”, “ti frega il lavoro” e “stupra le tue figlie”. La questione è decisamente più ampia ed è facile per questo giornale, organo del Partito Comunista, riportare tutto allo slogan che viene urlato nei cortei dai militanti e dagli iscritti al PC: «Se crollano le scuole, se sei disoccupato: la colpa è del padrone e non dell’immigrato». Sarebbe fin troppo semplice, eppure è questo il compito dei comunisti: spostare l’asse del problema che comunemente viene additato nell’immigrato per occultare i veri nemici dei lavoratori e del popolo. Entrambi i problemi, corruzione e immigrazione, infatti, sono fenomeni generati del capitalismo.

Andiamo a vedere più nel dettaglio.

Non esistono i “migranti” esiste l’immigrazione «in tutta la sua drammaticità». «Combattere l’imperialismo – infatti – significa combattere le cause dell’immigrazione, garantire a tutti prima di tutto il diritto di restare nella propria terra e di non dover scappare. Senza di questo ogni discorso sull’immigrazione si riduce a perbenismo e carità, che sono propri della borghesia progressista e della Chiesa, e che in entrambi i casi, non dicendo con chiarezza i responsabili, difendono il sistema imperialista e si limitano a lavare pubblicamente le coscienze collettive. Rifiutare le teorie borghesi del nazionalismo da una parte e del perbenismo dall’altra è una condizione necessaria. Perché gli immigrati non siano né migranti né nemici, ma nostri necessari compagni nella lotta di classe contro i veri nemici: chi sfrutta e guadagna sulle spalle del lavoro altrui indipendentemente dal colore della sua pelle e dalla sua nazionalità»

Per quel che riguarda la corruzione, essa è intrinseca al sistema capitalista: «Le origini e motivi della corruzione vanno ricercati nel nucleo centrale del capitalismo, in una società che si basa sulla divisione sociale, lo sfruttamento, il saccheggio di risorse e la diseguaglianza. Il Capitalismo come espressione della sua Dittatura ha nella corruzione una delle forme di sfruttamento contro la classe operaia, i settori popolari e le sue risorse (in questo caso il capitale pubblico). La borghesia, oltre lo sfruttamento ottenuto nell’ambito della produzione, articola tutto un sistema di strutture clientelari, favori e pressioni per ottenere ancor più profitti. La corruzione in definitiva va affrontata come una delle forme per ottenere profitti dal lavoro, gravando ancor più sulle spalle dei lavoratori e sulla ricchezza prodotta dalla classe operaia».

Gli esseri umani emigrano perché nei loro paesi c’è la guerra e muoiono di fame e queste due conseguenze sono proprie del capitalismo nella sua fase (ultima) imperialistica così come la corruzione o l’evasione fiscale, funzionali al processo di arricchimento di pochi sulle spalle, il sangue e la sofferenza dei molti.

Da qui, dalle parole di Giovanni Toti, dunque, passa la grande menzogna dell’attualità, fatta passare come oggettiva realtà, per la quale l’immigrazione (sinonimo di criminalità) danneggia gli italiani mentre la corruzione, l’evasione fiscale (e i colletti bianchi prima evocati) viene derubricata a male minore, in definitiva assolta in quanto non colpirebbe direttamente il “cittadino“. O, ancora peggio, non viene neanche fatta passare come un reato dato che la figura che lo commette  – in senso stretto – non può che essere un colletto bianco, un imprenditore italiano, le multinazionali, mica una bestia. Questo meccanismo nella comunicazione politica, in questo caso fatto proprio da Toti, serve la strategia della criminalizzazione preventiva, della diffidenza e marginalizzazione del più povero, alla guerra orizzontale tra sfruttati, mentre coloro che rubano realmente la ricchezza dei lavoratori e dei popoli possono continuare a banchettare.
È a quest’ultimi che dobbiamo dedicare il nostro odio più profondo.

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