Intervista a Filomena Avagliano: «La questione femminile è una questione di classe»

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Intervista a Filomena Avagliano: «La questione femminile è una questione di classe»

Intervista a Filomena Avagliano, Presidentessa dell’Associazione Agorà di Cava de’ Tirreni, che con il progetto “resilienza” si sta occupando della violenza sulle donne. Filomena Avagliano è inoltre presidentessa dell’Associazione “Pianeta 21”, un’associazione di genitori di persone con sindrome di Down.

Filomena, sabato scorso, sei stata vittima di un attacco vile e inquietante che ha portato alla distruzione della tua macchina, cosa ti senti di dire?

Il grave gesto che mi ha colpita mi ha profondamente toccata, ma non silenziata!

Le indagini che serviranno a rivelare chi c’è dietro questo vergognoso gesto. Intanto, vorrei ringraziare tutti per la vicinanza e la solidarietà che, in città, sta arrivando alla mia persona.

Per tutto ciò non pensi che la questione femminile, ancor prima di essere di genere, è una questione di classe?

Assolutamente sì!

La questione femminile è una questione di classe!

La questione cade sul “Welfare sociale” (tipo gli asili nido, i doposcuola sociali, la scuola, il campo ricreativo ecc.) che è totalmente tagliato dallo stato.

Le donne, quindi, sono “sentinelle” di uno stato al quale non interessa di elevare il ruolo della donna nella società, ma che la relega a “nutrice” che deve sopperire alle mancanze dello stato.

Mancanze che precludono, come detto, l’elevazione sociale delle donne: basti pensare, per esempio, agli scatti di carriera che una donna si vede preclusi perché magari non può stare al lavoro per un certo tempo perché deve badare ai figli oppure ai genitori che, magari, non hanno assistenza domiciliare.

Questa è la “flessibilità” che favorisce lo stato ma che irrigidisce la vita delle donne delle classi popolari.

E diciamolo, finiamola col fatto che le donne trovano lavoro più facilmente, su questo bisogna ragionare fino in fondo.

Prima di tutto sulla donna proletaria, come gli uomini della sua classe sociale, c’è il peso della precarietà (cosa che questo governo non ha assolutamente abolito, infatti le riforme fatte dal PD stanno ancora lì…), in secondo luogo bisogna vedere se il lavoro trovato è paritetico al livello di un uomo a parità di mansione lavorativa, di titoli di studio e di ambizione lavorativa.

Dunque c’è una differenza, oggettiva, tra donne ricche e donne povere…

Certo, è evidente.

E questa questione è tutta politica.

Una donna ricca, manager d’azienda prenderà il suo stipendio ben renumerato, mentre una donna lavoratrice sarà pagata il 30% in meno rispetto a un uomo, oppure sarà costretta a firmare dimissioni in bianco, oppure dovrà sentirsi domandare se “ha figli”, se vuole avere figli ecc.

Questo perché, il ruolo del “focolare della famiglia” se ne deve occupare la donna per una, non scientifica, divisione di genere, come se poi un uomo fosse incapace di fare, magari, lavori casalinghi.

E poi diciamocelo: le donne hanno sempre lavorato, le donne hanno cominciato a entrare nella produzione fin dall’antichità e hanno contribuito alla ricchezza di paesi come l’Inghilterra o la Francia quando entrarono nelle fabbriche.

Il problema è il capitalismo che da un lato cerca manodopera a basso prezzo e dall’altra rinchiude la donna in casa, facendole comunque fare un lavoro, ingiustamente, non retribuito (la casalinga).

Tutto questo è semplicemente assurdo e va combattuto.

Quanto ritieni fondamentali le conquiste sociali delle donne prima in Unione Sovietica e poi nei paesi dove ci furono rivoluzioni socialiste?

Dobbiamo dircelo: le donne hanno trovato la loro piena realizzazione nei paesi socialisti a cominciare dall’Unione Sovietica.

E’ bene ricordare, per esempio Aleksandra Kollontaj, la prima donna ministra della storia umana che fece parte del nascente governo sovietico.

Ma poi, se dobbiamo fare dei confronti tra la realtà sovietica e la nostra, bisogna dire che, mentre nell’Urss di Lenin e Stalin le donne ricevevano un’educazione adeguata e paritetica, avevano uguaglianza giuridica con gli uomini, potevano partorire con sicurezza negli ospedali (con accesso alle cure prenatali), ed ebbero un alto riconoscimento sociale per il ruolo fondamentale (più che in qualsiasi altro paese) avuto nell’industrializzazione e nella seconda guerra mondiale, dove oltre un milione di donne servì nelle forze armate ad ogni livello e mansione; qui in Italia, per esempio, le donne hanno avuto il diritto di voto solo nel 1946, dopo che avevano dimostrato quello che valevano nella guerra di Liberazione, e, sempre in Italia, lo stupro è stato elevato da “violenza contro la morale” a “violenza contro la persona” solo nel 1996 dopo fatti come lo stupro di Franca Viola, il Massacro del Circeo, lo stupro a Franca Rame e l’uccisione, nei decenni precedenti, di tante donne.

Questa è la misura delle cose: da un lato il sistema socialista che garantisce alle donne il proprio ruolo nella società e dall’altro il capitalismo e il patriarcato che, socialmente, schiacciano violentemente la donna.

La Rivoluzione Sovietica e il ruolo della donna sovietica sono, certamente, un punto fondamentale che ha influenzato la lotta delle donne qui in Italia per l’acquisizione di diritti che però, oggigiorno, vanno riconquistati e che qualcuno aveva creduto come acquisiti.

Secondo te cosa manca, oggigiorno, al movimento femminile ?

Bisognerebbe partire dal concetto di “noi donne”, noi donne lavoratrici.

Assunto per oggettivo il fatto che non è possibile una collaborazione tra donne ricche e donne povere per ovvi interessi materiali, bisogna cercare di attivarsi il più possibile sulle questioni della vita di tutti i giorni delle donne lavoratrici e quelle persone che vivono, oggettivamente, i problemi reali che ci sono in questa società.

Poi certo, serve un Partito Comunista che ritorni nelle strade a parlare e a organizzare le persone, che aumenti la coscienza che serve un cambio netto di sistema.

Resto fiduciosa che piano piano si arriverà a questo.

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