LA RELIGIONE (ISLAM COMPRESO): NON SOLO OPPIO DEI POPOLI

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LA RELIGIONE (ISLAM COMPRESO): NON SOLO OPPIO DEI POPOLI

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LA RELIGIONE (ISLAM COMPRESO): NON SOLO OPPIO DEI POPOLI

di Alessandro Pascale

 

Stimolato dalle domande di Radio Onda d’Urto (vd trasmissione mattutina del 2 novembre 2023), ho cercato di affrontare alcune questioni assai delicate, soprattutto per quel che riguarda il tema del valore da assegnare alla religione islamica. Di seguito domande e risposte.

 

1) Abbiamo perso nel nostro paese il senso della comunità?

Non ancora. Certamente il regime cerca di trascinarci in quella direzione, promuovendo l’avvento della “società liquida”, ossia di una società in cui siano un ricordo del passato tutte le forme di identità sociali forti. Una società “liquida” è chiaramente più facile da controllare politicamente, perché previene il sorgere di aggregazioni sovversive.

La “spoliticizzazione” della popolazione avvenuta in Italia negli ultimi 40 anni è un processo che rientra in questa dinamica. Credo però che anche nel nostro paese sia ancora molto diffuso un senso di comunità, sia pur ristretto soprattutto a identità familiari, locali o nazionali, e molto meno a unioni più “astratte” come la classe di appartenenza o l’appartenenza politica.

 

2) Il consumismo ha spostato il desiderio di ciascun individuo dalle relazioni umane agli oggetti di consumo? Siamo diventate delle monadi eterodirette?

Non c’è dubbio. In termini tecnici si parla di alienazione, ossia di una tendenza per la quale l’individuo cerca la propria felicità attraverso il consumo di merci. È un’alienazione antichissima, già descritta dalla filosofia greca, ma la dimensione che ha acquisito nella società di massa ha delle proporzioni qualitativamente differenti.

A partire dalla nascita della psicanalisi (fine ‘800) le tecniche di manipolazione ideologica tese a costruire bisogni artificiali si sono raffinate enormemente. Nella società capitalista i mercanti sono diventati i moderni stregoni che inventano ogni sorta di trucco per manipolare le persone. Avevano ragione gli “apocalittici” che dopo la seconda guerra mondiale preconizzavano l’avvento di un potere totalitario distopico. Il regime del consumismo è però solo un elemento, seppur molto importante, del totalitarismo capitalista nella sua fase “liberale”.

Uso il termine “totalitarismo” in senso elastico, perché è vero che il consumismo è una caratteristica essenziale della nostra società capitalistica, e quindi è diventata una tendenza pratica socialmente dominante, quasi impossibile da eludere, per l’uomo occidentale.

È però sempre possibile una presa di coscienza culturale del fenomeno da parte dell’individuo, che può emanciparsi da quella che è diventato un vero e proprio modo di pensare, prima ancora che di vivere. Quello che il cattolicesimo chiama “libero arbitrio” insomma rimane, e nelle stesse masse popolari rimane forte l’istanza naturale di una socialità e di un agire slegati dal mero consumo.

Credo lo dimostrino la permanenza di ideali “forti” che si esprimono anche nella diffusione di massa del volontariato, ossia una forma di lavoro non mercificato e teso a soddisfare una sfera valoriale non economica. Noi comunisti contribuiamo a diffondere una cultura umanista e una teoria critica delle ideologie imperanti, ricordando gli insegnamenti di Marx espressi fin dai Manoscritti economico-filosofici del 1844.

 

3) Il mondo musulmano è stato vittima della stessa privazione emotiva? Gli arabi hanno conservato più di noi il senso della comunità? In ciò ha avuto qualche merito la religione islamica?

In un certo senso il capitalismo è una religione: la religione del denaro, di cui il consumismo è un corollario. Tutte le ideologie forti alternative costituiscono quindi delle “religioni” alternative e potenzialmente antagoniste della religione capitalistica.

Il termine “potenziale” è importante, perché molte religioni, intendendo sia correnti dottrinali che strutture organizzate, hanno consacrato l’alleanza con il sistema capitalistico. La massima espressione di questo fenomeno la si trova nel calvinismo, che si è diffuso non a caso nelle aree in cui la borghesia era più sviluppata e potente. Anche nella Chiesa cattolica e nell’islam abbiamo assistito ad esempi di “concordismo” modernizzatore che hanno dato luogo a forme di “liberalismo” cresciuto anche in reazione alla minaccia dell’ateismo comunista. Questo fenomeno è stato egemone nel mondo arabo a metà del ‘900, e ha trovato come antagonista un panarabismo di tendenza socialista sostenuto dall’URSS.

Nel mondo arabo il fondamentalismo islamico è stato finanziato ad arte dall’imperialismo occidentale almeno dalla fine degli anni ’70 (ricordiamo il sostegno statunitense “all’area Bin Laden” già dagli anni ’70 in Afghanistan e in tempi recenti l’ISIS in Siria e Libia). Ciò ha contribuito a dare peso politico ai gruppi islamici più integralisti e fondamentalisti, che hanno alimentato il richiamo alla jihad. Aprire questo vaso di pandora ha fatto sì che il movimento nel suo complesso diventasse presto incontrollabile per la stessa CIA (e lo si è visto già nell’Iran rivoluzionario del 1979).

Attenzione però: la jihad non è solo un processo di “crociata militare” rivolto a combattere il nemico esterno (l’infedele), ma anche di lotta interiore, per giungere ad un perfezionamento, ad una liberazione dai beni superflui terreni. L’obiettivo è l’approdo ad una condizione di equilibrio e beatitudine interiore. Buona parte della filosofia araba classica (da Al-Kindi ad Al Farabi, passando per Avicenna e Averroé) costruisce una sintesi tra la teologia islamica e la filosofia greca, non dimentica della tradizione cristiana ed ebraica. Il richiamo ad Aristotele rafforza nel pensiero islamico il principio dell’equilibrio, che passa dalla capacità di porre la propria personalità alla ricerca di Dio, oltre che di una giustizia terrena. Sia nel cristianesimo che nell’islam, nonostante sia affermata l’importanza dell’individuo e di ogni vita umana, è fortissima l’idea della salvaguardia della comunità, e lo stesso pensiero greco non è esente da ciò, come ci ricordava giustamente Preve. D’altronde tra le radici etimologiche del termine stesso c’è quello di “religare”, ossia rilegare, tenere uniti.

Questi sono gli importanti presupposti “ideali”, che spiegano come quella di certi gruppi politici di matrice islamica sia una lotta per la sopravvivenza teoretica di una diversa sfera valoriale e pratica di una comunità solidale, libera e giusta.

Il mondo arabo però non coincide con l’islam, e non mancano correnti importanti rimaste laiche o perfino atee, animate comunque da visioni patriottiche, nazionaliste o socialiste ed internazionaliste. Ampiamente diffusa in “medio oriente” è la consapevolezza antimperialista, dove la lotta con l’Occidentale è endemica, con frequenti ribaltoni politici da un paese ad un altro. Laddove vince la CIA trionfa la corruzione e la pornografia, fomentate da monarchie corrotte e decadenti.

La condizione di oppressione subita dai popoli arabi durante il colonialismo europeo, e poi i soprusi continuati durante l’era statunitense (dal dopoguerra ad oggi) hanno visto la resistenza di leader gloriosi che hanno dato la vita per la causa del popolo. Penso a Nasser, a Gheddafi, ad Assad e ad Arafat. La questione palestinese è diventata il simbolo di rivalsa dell’intero mondo arabo dalla condizione di sfruttamento rimasta in un contesto di asservimento neocoloniale che vale per tutta la regione, come per il resto del mondo globalizzato.

Il merito che hanno avuto i gruppi islamici più politicizzati è stato quello di aver costruito un’opposizione alternativa al totalitarismo “liberale” che è diventata un punto di riferimento primario in molti paesi a seguito della crisi del movimento comunista internazionale, che durante gli anni della “guerra fredda” aveva costituito il perno della lotta antimperialista, lavorando in accordo con le istanze panarabe.

Si tratta ora di costruire un necessario incontro tra il movimento comunista internazionale e tutti i movimenti di resistenza oggettivamente antimperialista, siano essi di tendenza islamica o meno, lavorando alla costruzione di una grande alleanza internazionalista che miri a distruggere l’imperialismo in ogni luogo nella maniera più adeguata al contesto.

Come Partito Comunista lanciamo l’appello alle comunità arabe, e più in generale a tutti i gruppi organizzati delle minoranze nazionali presenti in Italia, di avviare interlocuzioni per costruire anche in Occidente un fronte antimperialista di massa e un’organizzazione rivoluzionaria capace di conquistare il potere politico. L’obiettivo minimo comune deve essere nella fase attuale porre fine alla partecipazione del nostro paese alla guerra in Ucraina, il ritiro delle nostre truppe da ogni scenario internazionale, l’uscita dalla NATO e dall’Unione Europea, una presa di posizione chiara di sostegno della resistenza del popolo palestinese, come di ogni altro popolo oppresso del mondo. Nel rispetto delle reciproche differenze potremo forse imparare a conoscerci meglio l’un altro, traendo giovamento dal dialogo e dalla lotta comune per la libertà.

 

2 Comments

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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    L’informazione dalla parte giusta della storia.
    📚 t.me/lariscossa

  2. Giuliano ha detto:

    Perché il Partito Comunista non ha partecipato alla Conferenza Internazionale che si è tenuta a Roma il 27 e 28 Ottobre? È stato un evento straordinario in senso letterale, considerando le organizzazioni che hanno aderito e partecipato. Condivido l’appello finale contenuto nell’articolo ed il coordinamento nato il 28 Ottobre potrebbe essere una base da cui partire.

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