PATRIARCATO, MATERIALISMO STORICO, DIALETTICO E POSITIVISMO

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PATRIARCATO, MATERIALISMO STORICO, DIALETTICO E POSITIVISMO

 

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PATRIARCATO, MATERIALISMO STORICO, DIALETTICO E POSITIVISMO

Di Riccardo Salzano
(militante Partito Comunista – Federazione Pavia)

 

Recentemente mi sono trovato a una cena di amici e si è parlato per due ore di patriarcato e violenza di genere. Ogni epoca e ogni ambiente ha le sue priorità, ed è evidente che qui in occidente la generazione nata fra i calcinacci del Muro preferisce concentrarsi su certe problematiche piuttosto che sul genocidio a Gaza o la terza guerra mondiale sulle rive del Dnepr.  Veniamo al punto. Uno dei presenti ha rivendicato l’aggressività maschile come un tratto imprescindibile dell’essere umano maschile che può solo essere represso dalla ragione ma non eliminato. Lo ha ammesso con onestà e ha anche riconosciuto in sé certi istinti con cui ha una lotta interiore ma che in determinate circostanze è lo stesso genere femminile a desiderare da un uomo. Per noi uomini ha semplicemente ribadito l’ovvio, e probabilmente anche per le donne. Tuttavia, c’è stata una levata generale di scudi e in forma di farsa decadentista si è riproposto lo scontro fra due maniere antitetiche di spiegare i fenomeni sociali: la visione positivista e quella materialista.Secondo la visione positivista l’identità maschile è determinata da una combinazione ormonale e genetica figlia di un tempo in cui l’uomo doveva uccidere i mammut a mani nude. Non c’è scampo, fisicamente l’uomo è solo questo: geni e ormoni. La società, la giustizia e l’etica sono solo gabbie che rinchiudono la bestia che c’è in noi. Una bestia che, avendo una matrice scientificamente determinata, è naturale e quindi in fondo giustificata. È una visione statica dell’individuo, basta fargli un prelievo del sangue per misurare il testosterone e quindi qualche test cognitivo per misurare alcune tendenze psichiche innate come se fosse una semplice misura di ossa e tratti somatici. Siamo sommersi da queste suggestioni: ogni test psicoattitudinale su una rivista patinata è solo fisiognomica travestita e ogni metodo miracoloso per “combattere l’invecchiamento e risollevare l’autostima” è positivismo da bar. Il positivismo è nato come reazione all’illuminismo prima e al materialismo dopo, che avevano completamente destrutturato l’origine divina del potere mettendolo in discussione. Il positivismo dà una spiegazione scientifica all’esistente ma si limita a istantanee senza azzardarsi a filmarlo nel divenire.

Dall’altra parte della barricata c’è invece un materialismo utopistico che vede l’uomo come un prodotto esclusivo delle società nate dalla divisione sociale del lavoro e dalla conseguente cultura egemone nelle varie epoche. Basterebbe quindi che una sola generazione dell’umanità intera vivesse dalla culla alla tomba in un mondo ideale, per eliminare ogni istinto bestiale dall’uomo. Questa visione impone sempre grandi aspettative verso ogni rivoluzione che si propone di redimere la società attraverso strumenti storici e sociali, ma puntualmente, a grandi aspettative seguono grandi delusioni. Nel caso specifico, l’amico di cui sopra rivendicava pulsioni violente intime derivanti da istinti primordiali che affermava di poter solo reprimere ma non eradicare con un semplice catechismo moralistico o con una divisione equa del lavoro fra uomo e donna. E se vogliamo liquidare certe confessioni amare con un’alzata di spalle e tirando in ballo il capitalismo e il patriarcato a casaccio, abbiamo perso in partenza. Avremo pure tutte le risposte ai problemi sociali ed economici, ma lasceremo le risposte individuali ed esistenziali del singolo a ben altri soggetti.

Ci ho riflettuto a lungo quella sera, perché istintivamente sono caduto nella seconda posizione anche se in maniera distaccata. In fondo certe chiacchiere da pollaio non meritano troppo coinvolgimento. Tuttavia, viviamo in un mondo di galline ed è inevitabile cercare di declinare il nostro pensiero anche in contesti più prosaici.

Il limite della visione che ho definito “materialista utopica”, fatta propria da tanta sinistra liquida e benpensante, considera solo il materialismo storico come punto di partenza di indagine. Effettivamente, se l’uomo fosse calato già fatto e finito sulla terra attorno al 10.000 a.c. e avesse subito cominciato a coltivare il suolo, sarebbe solo ed esclusivamente un prodotto socialmente e storicamente dato. Ma non è così. L’Homo Sapiens ha almeno 100.000 anni e per 90.000 dei quali ha vissuto senza divisione sociale del lavoro. L’intero genere Homo nasce più o meno 8 milioni di anni fa. L’uomo come ogni organismo terrestre deriva da alcuni organismi monocellulari nati circa un miliardo di anni fa. Da un miliardo di anni fa fino a 10.000 anni fa, la vita è evoluta solo per via genetica e ambientale, non sociale. Senza considerare il genere Homo nella sua interezza ma solo come Sapiens, la nostra specie si è evoluta per almeno il 90% della sua esistenza con i semplici meccanismi delle mutazioni vantaggiose, della selezione naturale e delle condizioni ambientali. Senza alcuna evoluzione sociale. Tuttavia, c’è più storia umana in 10.000 anni che in 90.000: una vera contraddizione per l’uomo. L’uomo si districa fra due strutture fondamentali, quella economica nata dalla divisione sociale del lavoro che è intrinsecamente cooperativa e quella naturale fondata sulla sopravvivenza che è molto più competitiva. La prima determina il nostro pensiero, l’ideologia, mentre la seconda determina i nostri istinti immanenti. Queste due strutture operano fra di loro in maniera dialettica e rendono la nostra storia una storia di contraddizioni. Basterebbe una sola generazione per rinnovare culturalmente l’uomo, basterebbe cancellare tutta la storia passata dalla memoria collettiva e ricreare una società nuova fondata su nuovi assiomi. Ma per cambiare i nostri istinti più profondi e bestiali nati dall’evoluzione naturale servono i tempi eonici dell’evoluzione naturale. Certe risposte non si trovano nel semplice materialismo storico perché il materialismo storico è solo una fase del materialismo dialettico. Non sto dicendo nulla di nuovo, queste riflessioni si trovano già nella “Filosofia della Natura” dell’Anti-Dühring:

Ma poiché ogni germe tende allo sviluppo, sorge necessariamente una lotta per l’esistenza che si presenta non solo come l’atto diretto, corporeo, di combattersi o di mangiarsi, ma anche, perfino nelle piante, come lotta per lo spazio e per la luce. Ed è evidente che in questa lotta avranno la migliore prospettiva di raggiungere la maturità e di riprodursi quegli individui che posseggono certe particolarità individuali che, per insignificanti che siano, sono però vantaggiose nella lotta per l’esistenza. (Engels, Anti-Dühring)
Sono questi i meccanismi che hanno creato e selezionato l’uomo fino a ieri e non possiamo fare finta di niente. Oggi si parla di Darwinismo sociale come di una giustificazione scientifica del liberismo più selvaggio, ma nel XIX secolo Darwin è stato un grimaldello contro la concezione idealistica e finalistica della storia ed è stato decisamente studiato e apprezzato da Engels che ha avuto il grande merito di indicare una sintesi fra Storia e Scienza: il Materialismo Dialettico. Nello stabilire le nostre aspettative per ogni manifestazione effettiva e concreta del socialismo o per combattere la violenza di genere come per qualsiasi altro ideale, dobbiamo essere al contempo i più grandi cinici nella loro realizzazione e i più grandi utopisti nella loro formulazione. Il cammino verso l’emancipazione di noi stessi dalla nostra natura ancestrale e più oscura è un percorso infinito.
Precisamente perché l’infinità è una contraddizione, essa è un processo infinito che si svolge senza un termine nello spazio e nel tempo. La soppressione della contraddizione sarebbe la fine dell’infinità. (Engels, Anti-Dühring)

 

 

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2 Comments

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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    L’informazione dalla parte giusta della storia.
    📚 t.me/lariscossa

  2. Marco Salvadori ha detto:

    È un ragionamento interessante, e direi sostanzialmente corretto. Per importante che sia la componente sociale nella formazione psicologica e comportamentale, non c’è nulla di scientifico nel far finta che l’aspetto genetico ed istintuale non esista o sia marginale. Riconoscere che oltre alla “nurture” esiste la “nature”, ovvero che esistono degli istinti e degli altri tratti “pre-sociali” quando non addirittura “pre-razionali”, che contribuiscono fortemente a formare l’individuo, non significa arrendersi di fronte ad assi: al contrario, significa rendersi conto di quanto sforzo attivo e di quanta vigilanza attiva servono per contrastare quegli istinti che si rivelano socialmente indesiderabili.

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