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FAKE NEWS E FAKE COMMENTS

di Alberto Lombardo

 

Non ci sono solo le fake news a reggere la propaganda imperialista. Ad esse si associano i fake comments, ossia i commenti di “autorevoli” personaggi che si ammantano di autorevolezza e quindi i giornali del regime nostrano li possono sbandierare come rivelatori di “verità”. Questi commentatori sono noti per le loro posizioni critiche su questo o quel dettaglio del sistema capitalistico e ciò li rende particolarmente “credibili” a un vasto pubblico, soprattutto quello progressista che il campo imperialista vuole a tutti i costi confondere e associare alla guerra.

Già un esempio lo abbiamo avuto nel commento che abbiamo discusso qui.

Oggi ci occupiamo di altri due episodi edificanti.

 

Il primo è un articolo del 10 maggio de La Stampa a pag.10, “La verità che fa male al Cremlino”. In questo articolo si riporta quanto avvenuto in un programma televisivo della «tv del Cremlino», Rossiya-1 (come dire che RaiUno è la TV di Palazzo Chigi), nel talk show di «una delle più accese propagandiste putiniane, Olga Skabeyeva» (ci manca qui lo spazio per elencare gli italici propagandisti draghiani). In quel programma è stato ospitato «Mikhail Khodaryonok, colonnello in pensione dello Stato maggiore russo» che ha posto dei serissimi problemi riguardo l’andamento del conflitto in Ucraina. La Stampa commenta preventivamente: «È stato uno di quei momenti di verità che gli amanti di quel genere di spettacolo che è la tv del Cremlino faticheranno a dimenticare: una tv di regime, in quella che è sempre più una dittatura, e oltretutto nel pieno di una guerra, in cui si sente risuonare la pura e semplice verità.»

Far precedere il commento alla notizia si sa che è cosa altamente scorretta. Si dovrebbe prima lasciar formare un’opinione al lettore e poi magari, con avvertenza, avanzare un commento. Ma non sia mai che succeda ciò! Il pensiero del lettore deve essere subito orientato a recepire in un certo modo l’“informazione”.

Khodaryonok esprime il suo pessimismo che non è nuovo. «Tuttavia andarlo a dire nello show in prime time di Rossiya-1, davanti a Olga Skabeyeva, già di suo scatenata, ma ovviamente incalzante contro una posizione del genere, ha colpito molti osservatori. … Lei ci ha provato, a insistere, a spezzare questa verità imprevista», dice l’articolista de La Stampa. Ma il colonnello ha concluso pacatamente il suo ragionamento.

Ora, se noi non ci facciamo guidare dal commento iniziale, ma guardiamo la notizia per quella che è, osserviamo che La Stampa supera la barriera del ridicolo portando a segno alcuni autogol nella stessa pagina.

Primo, scopriamo che nella supercontrollata e supercensurata tv della “dittaturah” zarista un generale può parlare e manifestare le sue preoccupazioni sul canale più seguito di Tutte le Russie. Secondo, egli non viene né insultato, né interrotto, ma la conduttrice gli pone con cortesia delle domande per favorire la comprensione di quello che dice. Terzo, il protagonista in questione non è un supercazzaro stile talkshow nostrani, ma un ex colonnello dello stato maggiore russo. Quarto, che già a febbraio aveva manifestato le sue preoccupazioni e che oggi non si collegava dai gulag siberiani, ma era invitato in una delle più importanti tv russe.

Alla fine della trasmissione, il generale è uscito dallo studio con le sue gambe e non mostrava ancora i sintomi di avvelenamento.

 

Il secondo articolo che sottoponiamo a lettura critica è quello del 21 maggio su Repubblica a pag.35, “Ucraina, bugie e dietrologie” di Tito Boeri e Roberto Perotti, docenti universitari e collaboratori di primari quotidiani. Il primo è fondatore de lavoce.info, che ospita punti di vista critici della gestione economica, il secondo si è distinto per una “criticata critica” all’università pubblica italiana (essendo lui della Bocconi).

L’inizio dell’articolo anche qui è un capolavoro di scorrettezza: «Come nel caso del Covid, la guerra in Ucraina ha dato la stura a un florilegio di leggende e dietrologie. E come nel caso del Covid, persone professionalmente preparate nel proprio campo si lanciano in ragionamenti apparentemente sofisticati ma in realtà stravaganti e senza il minimo riscontro fattuale.»

La psy-op è evidente. Sfruttare i risultati della campagna diffamatoria contro i critici della gestione della pandemia, (denigrati come terrapiattisti, negazionisti, no-vax) per dileggiare i critici contro la gestione della guerra condotta dalla NATO in Ucraina. Del maiale non si butta via niente.

«Un esempio fra i tanti di queste teorie balzane è l’idea che gli Stati Uniti (con il concorso della Gran Bretagna) soffino sul fuoco del conflitto e cerchino di ritardarne la conclusione perché maggiori sono le distruzioni, maggiori i vantaggi economici che ricaveranno dalla ricostruzione dell’Ucraina e più in generale dal disordine europeo.»

Siccome questa è proprio l’idea “balzana” che abbiano noi in testa fin dall’inizio del conflitto, anzi fin dal 2014, ci avventuriamo nella lettura per capire cosa ci sia di così “balzano”.

Parafrasiamo il ragionamento. Si stima che gli USA si “accaparreranno” il 30 per cento delle commesse per la ricostruzione dell’Ucraina, circa 200 miliardi, o 40 miliardi l’anno, il che porterà alle imprese americane un profitto stimato del 50 per cento, ossia 20 miliardi annui. «Il Pil Usa è di oltre 21 mila miliardi, i profitti delle imprese americane 2.250 miliardi. Quindi stiamo parlando, in uno scenario estremamente favorevole a questa favola, dello 0,1 per cento del Pil e dell’1 per cento dei profitti delle imprese statunitensi».

«Davvero qualcuno pensa che il governo americano rischi una guerra nucleare e scientemente ritardi la fine delle ostilità, con tutte le tragedie e i lutti che questo comporta, per cifre così irrisorie? … Ritardando la fine delle ostilità, gli Stati Uniti mettono a repentaglio i rapporti commerciali con la Cina e ovviamente la stessa Russia, con un Pil rispettivamente 100 e 10 volte quello ucraino».

« … una parte dei soldi che riceverebbe [l’Ucraina] in commesse Uncle Sam dovrebbe regalarli all’Ucraina».

Due errori di ragionamento marchiani.

Il primo chi paga e chi fa profitti non sono la stessa persona. A pagare non è lo “Zio Sam”, ma i contribuenti statunitensi, che – com’è ben noto – sono i lavoratori e non i grandi profitti. Quindi è un bel modo per spremere i contribuenti e dirottare i profitti. Le cifre sono irrisorie per il bilancio degli USA, ma non per i singoli che faranno i profitti.

Secondo errore. Gli USA desiderano ardentemente interrompere i rapporti commerciali tra l’Europa e la Cina e la Russia. È il risultato che si aspettano. Quello che faranno loro con le imprese cinesi e russe dipenderà solo dall’interesse che ne avranno di volta in volta. Noi non dobbiamo comprare il gas russo, ma loro possono continuare a comprare i prodotti cinesi che servono e bandire quelli sui quali vogliono alzare le barriere protezionistiche. Sanzioni a geometria variabile.

«Una versione ancora più inarticolata di questa favola sostiene che continuare le ostilità favorisca l’industria bellica statunitense. [Ma] … finora gli Usa hanno già trasferito o promesso armi per 3,6 miliardi all’Ucraina. Dei restanti 20 miliardi di aiuti approvati giovedì, 15 sono per la fornitura di armi o per l’addestramento delle truppe ucraine, e circa 5 per la difesa Usa. Numeri irrisori rispetto alla spesa militare Usa, circa 800 miliardi l’anno».

Terzo errore, che replica il secondo. 20 è una piccola parte di 800, ma è comunque tantissimo per chi se li “accaparrerà”.

Quarto errore dell’economista che fa il generale. Che tipo di armi sono? Nuove di zecca o si stanno svuotando a prezzo pieno i magazzini di merce che tra poco sarà da buttare? Propendiamo per la seconda, a giudicare dalla velocità dei rifornimenti.

«Infine c’è chi sostiene che gli Stati Uniti vogliano prolungare la guerra per prendere il posto della Russia nell’esportare gas naturale in Europa. Questo è un argomento complesso, ma la sostanza è semplice: gli Usa hanno già firmato un accordo per fornire gas liquefatto pari a un terzo delle attuali importazioni Ue dalla Russia. Per fornirne di più, dovrebbero aumentare ulteriormente la capacità produttiva. Questo richiede molto tempo e risorse; e quando gli Stati Uniti saranno in grado di esportare, la Ue avrà probabilmente ridotto molto la domanda di gas e diversificato le importazioni.»

Quinto errore. Sebbene si siano “accaparrati” un bel terzo del mercato a prezzi doppi (ma questo esula dal “ragionamento” economico dei nostri economisti), tale quota deve essere mantenuta nel tempo. E se la guerra finisce potrebbe pure essere che – se il perfido zar ce lo concede – potremmo pure tornare al vecchio fornitore.

Sesto errore. I profitti si fanno proprio quando l’offerta è scarsa, quindi che necessità c’è di aumentare la capacità oltre il punto di pareggio tra investimenti e remunerazione? E se si dovranno fare investimenti, occorre che ci sia una politica che ne garantisca la remunerazione a lungo periodo, ossia la guerra eterna. Ma questi concetti di economia “avanzata” (dalla cena della sera prima) non sfiorano le menti dei nostri commentatori.

Dobbiamo ancora sentire però come affrontano la seconda delle nostre idee “balzane”, riguardanti il disordine mondiale.

«Si può sostenere che gli Usa e la Gran Bretagna sbaglino approccio alla Russia, che cerchino di prolungare la guerra guidati dal desiderio di imporre il proprio ordine mondiale, che siano portatori di valori estranei a una presunta “tradizione europea”, etc. etc. Questi argomenti geopolitici, per quanto in gran parte implausibili, non possono essere confutati conclusivamente.»

Ah, bene. Sulla “geopolitica”, qualunque cosa sia, se ne occuperà un altro. Al momento ci basti dire che sono “implausibili”.

E, grazie all’approfondita e convincente analisi “economica” con cui i nostri due si sono guadagnati la nostra più alta fiducia, crediamo loro sulla parola, ritenendo “implausibile” l’allargamento costante e minaccioso della NATO a est in Europa, le rivoluzioni colorate, le guerre dirette e per procura, la subordinazione alle decisioni di Washington di tutti i governi europei, nonostante l’atteggiamento dell’opinione pubblica e l’interesse espresso dalla maggior parte degli operatori economici.

Dal Ministero della Verità per oggi è tutto.

 

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