«L’ANALISI CONCRETA DELLA SITUAZIONE CONCRETA».

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«L’ANALISI CONCRETA DELLA SITUAZIONE CONCRETA».

(Articolo uscito anche su: https://www.cumpanis.net/lanalisi-concreta-della-situazione-concreta/)

«L’ANALISI CONCRETA DELLA SITUAZIONE CONCRETA».

Appunti su “L’Imperialismo” di Lenin

di Alberto Lombardo

Il contributo di Lenin alla teoria marxista è stato inestimabile. Egli ha vissuto il trapasso definitivo dalla fase prevalentemente concorrenziale del capitalismo a quella imperialistica. Nel suo famoso L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo, dell’aprile del 1917, egli delinea gli aspetti storici di questo trapasso.

Dice Lenin:

Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industria, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi.

L'”unione personale” delle banche con l’industria è completata dall'”unione personale” di entrambe col governo.

Inoltre

Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli è diventata caratteristica l’esportazione di capitale.

Lenin poi fornisce le celebri 5 caratteristiche che definiscono l’imperialismo.

«Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo.

… i suoi cinque principali contrassegni [sono]:

1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;

2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria;

3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;

4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;

5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.»

In particolare la sua critica si accentra contro alcuni scrittori borghesi (e fra questi K. Kautsky) che

«sostengono che i cartelli internazionali … possono dare speranza di pace tra i popoli in regime capitalista. Quest’opinione teoricamente è un assurdo, e praticamente un sofisma, una disonesta difesa del peggiore opportunismo.»

Come in tutti i testi polemici di Lenin, l’attacco urgente contro l’avversario viene portato in modo tagliente e questo è l’aspetto che Lenin fa sempre emergere con più veemenza. Tuttavia, poiché gli scritti di Lenin non si esauriscono nella polemica effimera, ma danno un contributo teorico storico, egli si preoccupa sempre di inserire le sue argomentazioni all’interno di un contesto molto più ampio. In questo passo, appunto, Lenin precisa che – oltre alle 5 caratterizzazioni che egli dà in contrapposizione alla caratterizzazione esclusivamente politica data da Kautsky –

«dell’imperialismo possa e debba darsi una diversa definizione, quando non si considerino soltanto i concetti fondamentali puramente economici (ai quali si limita la riferita definizione), ma si tenga conto anche della posizione storica che questo stadio del capitalismo occupa rispetto al capitalismo in generale, oppure del rapporto che corre tra l’imperialismo e le due tendenze fondamentali del movimento operaio.»

Infatti Lenin precisa che:

«L’imperialismo è la tendenza alle annessioni: a questo si riduce la parte politica della definizione kautskiana. È esatta, ma molto incompleta, poiché, politicamente, imperialismo significa, in generale, tendenza alla violenza e alla reazione. Ma qui noi ci preoccupiamo specialmente del lato economico della questione.»

Quindi è chiarissimo che le 5 definizioni di Lenin non sono per lui esaustive.

«L’essenziale è che Kautsky separa la politica dell’imperialismo dalla sua economia.»

Ma errore speculare si avrebbe a separare l’economia dalla politica, a ridurre il testo leniniano alla polemica contro Kautsky e la sua argomentazione al solo aspetto economico, che egli sottolinea esplicitamente essere qui l’oggetto non esclusivo della sua argomentazione. Capiamo bene da dove nasce questa esigenza. Nell’argomentazione di Kautsky emerge la possibilità della nascita di un “super-imperialismo”, che metta insieme tutti i capitalismi mondiali, immaginando che ci possa essere una composizione politica tra i loro antagonismi. L’analisi concreta degli aspetti economici fatta da Lenin smantella facilmente questa pericolosa illusione.

Altrettanto illuminante è la Prefazione alle edizioni francese e tedesca allo stesso testo del 6 luglio 1920. Lenin dice:

«Dov’è la base economica di questo fenomeno di portata storica mondiale? Precisamente nel parassitismo e nella putrefazione del capitalismo che sono propri della sua fase storica culminante: l’imperialismo.»

Quindi, sintetizzando e riferendoci ai nostri giorni, la caratteristica saliente del capitalismo nella sua fase imperialistica è la prevalenza del capitale finanziario su quello produttivo ed anzi la loro fusione. Dal punto di vista politico vediamo che nei paesi cosiddetti occidentali ciò corrisponde ad un arretramento sempre più vistoso delle prerogative che i governi borghesi hanno avuto di mediazione dei vari interessi delle classi dominanti a scapito delle classi subalterne (politics) in favore dell’esaltazione della policy, ossia di un’assunzione in presa diretta e non più mediata delle classi monopolistiche dominanti e dei propri diretti subalterni a scapito di tutto il resto della società.

I motivi di ciò possono essere fatti risalire a due condizioni principali: 1) la fine della competizione col campo socialista e lo smantellamento dei più forti antagonismi internazionali e anche interni al capitalismo (partiti e sindacati di classe) nei principali paesi; 2) crisi economica ed enorme inflazione dei capitali che riduce gli spazi di contrattazione e sollecita una sempre più parossistica ricerca di profitti.

Continua Lenin nella sua Prefazione del 1920:

«Il capitalismo si è trasformato in sistema mondiale di oppressione coloniale e di iugulamento finanziario della schiacciante maggioranza della popolazione del mondo da parte di un pugno di paesi “progrediti”. E la spartizione del “bottino” ha luogo fra due o tre predoni (Inghilterra, America, Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi, che coinvolgono nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino, il mondo intero.»

È chiaro che l’esito della Prima Guerra mondiale non può che far cambiare la valutazione di Lenin del ruolo giocato dai paesi sconfitti, a cominciare dalla Germania, ma anche di quelli che hanno subito un arretramento nelle proprie posizioni di predominio, come la Francia. Mentre ricordiamo che nel testo del 1917 sia la Francia che la Germania, insieme a Gran Bretagna e Stati Uniti, erano considerati tra i predoni più voraci. Forse che la Germania o la Francia non erano più paesi capitalistici? Forse che la Francia non aveva più colonie? Ma è chiaro che nella valutazione di Lenin questi due paesi ora giocano un ruolo diverso rispetto agli altri tre (con l’inserimento del Giappone) e molto diverso da quello che giocavano prima della guerra.

Lenin fu proprio il dirigente bolscevico che due anni prima – in contrasto con la visione di Trotskij – fece di tutto per realizzare ad ogni costo la pace con la Germania. Quindi vediamo che l’accordo con la Germania del Kaiser aveva l’esatta opposta finalità della accettazione dei crediti di guerra firmati dal Partito socialdemocratico tedesco nel 1914. Lenin fece di tutto per fare la pace, mentre Kautsky fu l’uomo che consentì che la guerra imperialista scoppiasse.

 

«L’analisi concreta della situazione concreta».

Per mettere a frutto i magistrali insegnamenti di Lenin dobbiamo quindi imparare non solo dagli atti e dagli scritti che egli ha compiuto e ci ha lasciato, ma dobbiamo assimilare il suo metodo, che è il risultato della sua approfondita conoscenza della dialettica materialistica.

Ricordiamo l’insegnamento fondamentale lasciatoci dall’ultimo Engels, capolavoro di materialismo dialettico e sintesi perfetta del materialismo storico:

«… secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. – le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. È un’azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo). In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado.» (Engels, Lettera a J. Bloch, 21 settembre 1890).

Quindi non è corretto usare come crivello semplificato le 5 caratteristiche leniniane dell’imperialismo, per poter trarre delle conclusioni sui rapporti intercorrenti tra le Nazioni, senza tenere conto di tutti gli altri aspetti che ne sono coinvolti.

  1. L’aspetto della direzione politica e l’aspetto dell’«unione personale» tra capitale e direzione politica, se questa unione è presente o se la politica prevale sull’economia.

  2. Il ruolo e il contributo del settore finanziario in rispetto alla produzione materiale di merci e servizi, ossia se il sistema economico è già in fase putrescente e si alimenta prevalentemente cannibalizzando il resto dell’economia col predominio della finanza, o se prevale la componente legata alla produzione materiale di beni e servizi.

  3. L’approccio nei confronti degli altri paesi e il rispetto o meno del diritto internazionale, in quanto la diversa configurazione politica ed economica porta a un atteggiamento profondamente diverso verso le altre nazioni: aggressivo e predatorio tendente a comprimere lo sviluppo degli altri paesi temuti come nuovi concorrenti o tendenzialmente collaborativo avendo interesse a far sviluppare le altre economie affinché diventano nuovi mercati.

  4. Persino la percezione che i vari paesi esercitano nei confronti degli altri, «persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche», se quel paese tende a voler esercitare un’egemonia politica e culturale sulle altre nazioni o se si pone alla pari con esse.

Tutte queste cose ed altre ancora devono essere tenute in considerazione prima di poter valutare con compiutezza, almeno approssimata, il ruolo che ogni nazione svolge in un determinato momento storico. Ben sapendo che tale ruolo può cambiare da un momento all’altro e che i processi storici sono fluidi e che vanno esaminati nella concretezza del loro svolgersi materiale.

Non c’è dubbio che nelle cinque definizioni che valutano la struttura economiche dell’imperialismo Lenin non enumera certo l’aspetto militare. E come potrebbe visto che sta parlando d’altro? Non c’è dubbio che valutare solo l’aspetto militare sarebbe oltremodo riduttivo. Ma, ricordando che «la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi», indubbiamente osservare quale sia l’atteggiamento di politica militare di una nazione – se prevalentemente indirizzato alla propria autodifesa, o proiettato in atteggiamento offensivo e minaccioso verso gli altri popoli – costituisce una forte indicazione sulla sua natura imperialistica.

1 Comment

  1. Luigi ha detto:

    Non siamo dei missionarie tanto meno dei sostenitori di una ispirazione fideistica, siamo più semplicemente guidati dalla valutazione razionale del portato storico, sociale, economico e politico dei lavoratori, come produttori di fatto della ricchezza ad essi sottratta. La lotta di classe è una necessità reale, prioritaria ed essenziale.

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