L’IDEOLOGIA DI “KILLERS OF THE FLOWER MOON”

rossobrunismo
IL ROSSOBRUNISMO
gennaio 18, 2024
Lenin_Nazionalità
GLI IMMORTALI INSEGNAMENTI DI LENIN E IL PROBLEMA DELLE NAZIONALITA’
gennaio 24, 2024

L’IDEOLOGIA DI “KILLERS OF THE FLOWER MOON”

 

Scarica PDF

 

Inauguriamo con questa recensione uno spazio dedicato all’estetica cinematografica, seguendo il modello della critica marxista, tesa a concentrare l’attenzione sul contenuto più che sulla forma, senza dimenticare che in determinati casi anche la forma è contenuto.L’intento è cercare di dare indicazioni utili riguardo le principali merci realizzati nell’ambito dell’industria culturale, delineandone pregi e difetti al fine di una visione più consapevole, imparando ad identificare gli aspetti ideologici presenti in prodotti che tendenzialmente si presentano come “apolitici”. L’indicazione di massima che occorre sempre tenere presente è che «per l’arte essere apartitica significa semplicemente essere del partito dominante» (Brecht).

 

L’IDEOLOGIA DI KILLERS OF THE FLOWER MOON

di Luca Gorgoglione

 

I. Il ritorno sul grande schermo di Martin Scorsese

 

Martin Scorsese ha mostrato una sensibilità notevole nel dipingere quadri sociali caratterizzati da povertà e abbrutimento sin dai suoi inizi negli anni Settanta (Mean Streets), mostrando con taglio umanistico e realista le possibili vie di fuga dall’impasse della subordinazione: dall’(anti)eroismo del reduce Travis Bickle (Taxi Driver) alla parabola sportiva del pugile Jake LaMotta (Toro Scatenato). Attraverso questi personaggi e quello di Rupert Pupkin (Re per una notte), Scorsese secondo un’ideologia che potremmo ascrivere al miglior cattolicesimo sociale, ci ha detto che l’unico processo di emancipazione possibile sotto il capitalismo assume i tratti di una contraddittoria redenzione personale. Raggiunta la terza età anagrafica coincidente con la terza fase della sua carriera di cineasta, il regista chiama a sé quegli interpreti di origini italiane che hanno segnato con le loro partecipazioni le prime due fortunate fasi: una prima fase che ha visto primeggiare Robert De Niro come stella emergente della New Hollywood; e una seconda fase contraddistinta dalla nuova leva dello star system hollywoodiano del XXI secolo, Leonardo Di Caprio, giunto proprio con Scorsese (The Aviator, The Departed, The Wolf of Wall Street) alla piena maturità attoriale.

Per questo suo ultimo film abbiamo una nuova reunion che segue quella del recente The Irishman (con la triade italo-americana De Niro – Pesci – Pacino), summa di tutto il meglio del gangster-movie del passato (Il padrino, Quei bravi ragazzi, Casinò), che vede la convergenza dei due momenti che hanno scandito la sua attività di cineasta, quello di De Niro e quello di Di Caprio. “Killers of the Flower Moon” è in questo senso una sintesi, un grande film annunciato che non delude le aspettative ma che anzi pone una nuova asticella nella straordinaria filmografia di un regista ormai ai suoi ultimi ciak.

 

II. La trama

 

Oklahoma, anni ’20. Nella contea di Fairfax dove si sono stanziati i nativi americani Osage, in una terra che si credeva povera e inabitabile, vengono ritrovati giacimenti di petrolio. La fortuna raccolta dalla popolazione locale sembra però un bacio della morte: molti Osage muoiono a causa di misteriose malattie o per mano di omicidi irrisolti. Di fronte all’inezia delle forze dell’ordine, la minoranza bianca che vive nella contea, rappresentata dal vice-sceriffo e benefattore William Hale (Robert De Niro), detto il “Re”, dichiara di offrire un compenso in denaro per chi contribuisca alla ricerca dei colpevoli. Nel frattempo, suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), reduce dalla prima guerra mondiale, sposa Mollie Kyle (Lily Gladstone), una Osage la cui famiglia detiene importanti diritti petroliferi. Tuttavia, l’unione tra Ernest e Mollie rivela presto interessi spregiudicati.

 

III. IL racconto dell’anima nera degli USA

 

Killers of the Flower Moon è una anti-epopea che, scavando nell’anima nera e nella coscienza fondativa degli Stati Uniti d’America, racconta una storia di potere e dominio. Il cattolico Scorsese si dimostra lucido, sensibile ed estremamente accurato nel mettere in scena il furto, l’usurpazione, il depauperamento perpetrato dai bianchi americani a danno della Nazione Osage diventata negli anni ‘20, grazie alla scoperta del petrolio nel suo sottosuolo, la più fiorente del mondo per ricchezza pro-capite. Il film è tecnicamente realizzato con la perizia e l’accuratezza delle migliori produzioni americane: le musiche di Robbie Robertson (nato da madre indiana Mohawk), la fotografia di Rodrigo Prieto (Amores Perros, Frida, The Homesman), le scenografie di Jack Fisk (Carrie, Mulholland drive, Revenant) sono indice di uno sforzo che vuole chiaramente trasporre con la migliore potenza audiovisiva il lavoro giornalistico di David Grann, “Gli assassini della terra rossa” (2017).Le critiche rivolte al film più facili da stigmatizzare non sono direttamente rivolte ad uno specifico aspetto tecnico-contenutistico del film, ma alla sua durata. Il consiglio migliore che si può rivolgere a questi spettatori è quello di spezzare la visione del film in più parti, cosa che se da un lato tradisce l’immersione completa nell’opera cinematografica, dall’altro permette di seguire i tre atti del film per gustarli lentamente evitando cali dell’attenzione. Fatte le dovute premesse introduttive, veniamo dunque all’analisi del film vera e propria, da leggere preferibilmente dopo aver visto il film.

 

IV. La normalità dell’ingiustizia tra lotte e opportunismi

 

Scorsese ci catapulta negli anni ’20 con una perizia registica e di montaggio fenomenale: ralenty, dolly, campi lunghi, immagini d’archivio, cinegiornali, un’audace trasmissione radiofonica, costumi curatissimi ed un abbondante cast di comparse realmente appartenenti all’attuale comunità Osage dell’Oklahoma.Il reduce della prima guerra mondiale Ernest Burkhart, un Leonardo Di Caprio dal volto aggrottato e ingrugnito. Questa espressione di Ernest perdurerà lungo tutto il film, eccetto quando l’odore dei soldi getterà una luce gaudente sul suo viso immusonito. È un personaggio succube della circonvenzione del facoltoso zio Bill Hale, fondamentalmente un inetto, avido, meschino ma capace di sentimenti genuini. Ernest è per estensione, la raffigurazione del reduce istupidito dalla guerra, in cerca di fortuna coi mezzi più machiavellici e ben pochi scrupoli.

William Hale, detto il “Re” è – nonostante il minutaggio ridotto davanti alla macchina da presa – il personaggio più importante del film. Se Ernest e suo fratello Byron sono pedine, burattini che traggono dalla criminalità il loro benestare, Bill Hale è il burattinaio, il manovratore e l’architetto di tutte le trame oscure che insozzano Fairfax. Anche Bill, come Ernest, è il rappresentante di un “tipo”, il borghese possidente di terre e bestiame che mira delittuosamente ad accrescere la propria ricchezza: è il depositario dello Spirito colonialista e di accumulazione che da secoli fa da padrone in America. Se dal lato pubblico mostra una cordialità filantropica, una solidarietà paterna e il formale altruismo del detentore dei mezzi di produzione, dal lato privato emerge lo spregiudicato patriarca vecchio stampo, spietato calcolatore dai metodi mafiosi, criminali. Il rimando esplicito è all’Al Capone de Gli Intoccabili (1989) di Brian De Palma.  L’attitudine alla macchinazione di William Hale è ulteriormente rafforzata dall’appartenenza di questi alla Massoneria (si veda la scena memorabile della punizione inflitta a suo nipote) e dalla collaborazione col Ku Klux Klan, due organizzazioni che confermano sia l’arricchimento illecito, sia l’odio etnico-razziale del personaggio.

Mollie Kyle è una delle esponenti del clan di nativi americani che più vantaggi ha tratto dalla scoperta del petrolio nella contea. All’opposto di Ernest che ha il ruolo del profittatore opportunista (parvenu) e di William che ha quello dell’espropriatore (rentier), Mollie, la sua famiglia e gli Osage sono coloro che subiscono tale espropriazione attraverso forme di violenza fisica (assassinii, falsi suicidi, avvelenamenti) e domestica (il veleno mischiato all’insulina da Ernest per “curare” il diabete di Mollie). Le forze dell’ordine non sono inefficaci ma addirittura inesistenti, segno di una perniciosa connivenza con la classe possidente bianca, del razzismo, della despecificazione cui sono soggetti gli Osage nella loro terra.

Quello di ‘despecificazione’ è un concetto che presiede al colonialismo e al genocidio. In Domenico Losurdo (L’ebreo, il nero e l’indio nella storia dell’Occidente, Urbino, Quattro venti, 1999) inerisce in senso ampio alla “esclusione di un individuo o di un gruppo dalla comunità dei civili”. Essa si presenta nel film nella sua duplice determinazione politico-morale e naturalistica. Gli Osage, già vittime di una cacciata dalla loro terra (Missouri, Kansas), nell’ultima tappa della loro diaspora giungono nelle terre pietrose e desolate dell’Oklahoma, dove il governo federale cede a pagamento anche i diritti di sfruttamento sui minerali del suolo. Sugli Osage grava lo status di “incompetenti”: essi sono possidenti dei diritti petroliferi che gli derivano dal possesso della terra ma sui quali la discrezionalità assoluta fa capo direttamente a funzionari pubblici che rispondono a Washington (despecificazione politico-morale). Tale provvedimento vale però solo per gli Osage purosangue (come Mollie), i cui diritti sui propri beni vengono ceduti ai coniugi mezzosangue, che grazie alle leggi ereditarie potranno beneficiarne tramite matrimoni mercenari (despecificazione naturalistica). Verso lo scadere della prima ora, quando i capi delle 25 famiglie originarie Osage si radunano dopo aver subito le ennesime perdite, uno dei saggi dice: “Quando tutto questo denaro ci è arrivato dovevamo sapere che arrivava anche qualcos’altro [la morte], perché è denaro dell’uomo bianco”. In questa frase è racchiuso il senso dell’incontro-scontro tra i nativi americani e il denaro. L’arricchimento ha corrotto il loro habitus culturale, essi hanno abbracciato lo stile di vita dei bianchi, partecipano alla loro stessa ideologia acquistando proprietà, auto, vestiti di lusso. Ma come ammette il saggio, “arriva anche qualcos’altro”, una punizione divina per aver devastato il modo originario di concepire la vita: il denaro è dell’uomo bianco, in questo scarto antropologico nella concezione del valore si rivela una violenza ulteriore. Il fluire del denaro, identificato con l’uomo bianco, è paragonabile per i suoi effetti distruttivi, a quelle malattie (vaiolo, morbillo, difterite) introdotte dai conquistadores occidentali nel pieno dell’era coloniale.  Il personaggio dell’indiano depresso – che poi scopriamo essere il primo marito di Mollie – è in questo senso fondamentale. La sua depressione è il prodotto di una alienazione che viene affogata nell’alcolismo. Il rum, come testimoniato da alcuni scritti di Benjamin Franklin, fu per la cultura indigena benzina sul fuoco:

“Avevano fatto un grande falò al centro del piazzale. Erano tutti ubriachi, uomini e donne, discutevano e si azzuffavano. La scena di quei corpi scuri, mezzo nudi, visibili soltanto alla luce cupa del falò, […] era simile in modo impressionante all’idea che noi abbiamo dell’inferno. […] Inviarono tre rappresentanti a porgerci le loro scuse. Uno degli oratori riconobbe che ciò che era accaduto era da attribuirsi al rum e cercò una scusa dicendo: ‘Il Grande Spirito, che ha fatto tutte le cose, ha dato uno scopo a ciascuna di esse […]. Dunque, quando creò il rum, disse: Questo servirà per far ubriacare gli Indiani. E così dev’essere’. E certamente, se il disegno della Provvidenza è quello di estirpare questi selvaggi per fare posto ai coltivatori della terra, sembra assai probabile che il rum sia il mezzo designato a farlo. Ha già distrutto le tribù che prima abitavano la costa…”. (David Herbert Lawrence, Studies in Classic American Literature, 1977, p.21)

Insoddisfatto della prima stesura, Scorsese chiese un cambio di sceneggiatura che mostrasse con più rigore i modi in cui si articolava la discriminazione, circondandosi anche di consulenti esperti in cultura indigena. Segno che l’interesse del regista era quello di catalizzare l’attenzione sull’ingiustizia sociale e politica degli Osage, inserendosi – e superandola – nella migliore tradizione della sinistra hollywoodiana, da Hombre (1967) a Balla coi lupi (1990). Gli Osage del film sono preoccupati per le proprie sorti perché si è da poco consumato il grave massacro di Tulsa (31 maggio – 1 giugno 1921), la violentissima rappresaglia dei bianchi a danno della popolazione afroamericana di Greenwood. Killers of the Flower Moon infatti non descrive solo il microcosmo circoscritto di una comunità, ma il quadro storico-sociale del profondo sud, con le sue iniquità ataviche e gli insanabili conflitti che hanno infiammato – e che ancora infiammano – la storia degli Stati Uniti.

Il regista newyorkese nel raccontare lo scontro di civiltà dimostra di superare anche il se stesso di Kundun (1997), storia unilaterale e anticomunista al limite della propaganda che vede un eroico Dalai Lama pasionario della libertà contrapporsi alla modernizzazione maoista (soggetto della buddista Melissa Mathison), riuscendo ad eguagliare con Killers of the Flower Moon l’ethos dell’edonismo individualista e l’istituzionalizzazione della cupidigia di capolavori come Casinò (1995) e The Wolf of Wall Street (2013)

 

V. I peccati di Hollywood

 

Sono a questo punto due i rilievi critici che si possono sollevare. Uno riguardante la sceneggiatura e uno riguardante il circo mediatico che a posteriori il film può alimentare.Nel primo caso si fa riferimento a come viene risolta – anche all’interno del libro di Grann – la vicenda: ‘arrivo dell’FBI – processo – (non) afflizione della pena’.

L’FBI del film ha il volto pasciuto e glabro di Jesse Plemons, l’onesto agente Tom White che conduce le sue ricerche con le migliori intenzioni, convocato dal presidente Coolidge dopo le richieste di intervento da parte di Mollie e degli altri Osage alla Commissione degli Affari Indiani. L’arrivo della polizia federale nella contea è l’unico elemento che desta la preoccupazione di Hale e dei suoi, che hanno fino ad allora portato avanti le proprie malefatte indisturbatamente. Pur ammettendo la totale incapacità degli Osage nell’intraprendere di propria iniziativa una reazione organizzata per contrastare gli eventi che li stanno decimando, riesce difficile credere che dopo mesi e anni non abbiano capito a chi giova la loro eliminazione. Essi sono solo e soltanto vittime. Mollie ingaggia un investigatore privato che ha un ruolo macchiettistico e di cui ci si sbarazza troppo facilmente. L’FBI, di conseguenza, assume invece un ruolo provvidenziale che per una agenzia che nel Novecento è stata parte attiva in scandali di ogni tipo (caccia alle streghe nel maccartismo, omicidio Kennedy, attentati alle Pantere Nere, Watergate…), risulta una rappresentazione quantomeno edulcorata, anche per essere ancora nella sua infanzia. Il bel film di denuncia sociale Mississippi Burning (1988) con Gene Hackman e un giovane Willem Dafoe, restituisce un’immagine del Bureau di Edgar Hoover assai più verosimile e complessa, seppure sommariamente positiva rispetto alla polizia locale. Si sta parlando pur sempre di film di Hollywood, ça va sans dire.

L’altro punto, come si è accennato, ha a che fare con fatti di natura mediatica e culturale. Certi film, in quanto obiettivamente grandi film, ricevono sovente il giusto plauso della critica. Ma in quanto grandi produzioni, essi generano un flusso di parole che andranno a rimpinguare i rotocalchi d’ordinanza e che rinnovano il consueto chiacchiericcio dei salotti buoni. L’appuntamento annuale in cui si sublima tutto questo è la Notte degli Oscar dell’Academy Awards, in cui gli addetti ai lavori delle Major premiano sostanzialmente loro stessi per sostenere lo sviluppo del cinema statunitense. Il cinema per il cinema o… la merce per la merce, direbbe qualcuno. Questi eventi oltre a generare profitti di ogni tipo concorrono alla creazione di un immaginario che rende partecipi milioni di persone in tutto il mondo. La cerimonia, i premi, lo star system sono soprattutto una straordinaria occasione di autopromozione dell’american way of life, ma anche, più sottilmente, un’occasione per creare consenso politico e ideologico attorno all’americanismo con la corresponsabilità del clero mediatico secolare. Un film come Killers of the Flower Moon volente o nolente si presta benissimo a quella autocelebrazione che Hollywood fa della storia americana. Attraverso film del genere si possono esercitare – mostrando la brutalità delle azioni commesse nel passato – sia surrettizie operazioni di “pulizia della coscienza” (che non trova mai un fondamento etico nell’agire presente ma vive solo nella rappresentazione), sia un ambiguo disimpegno morale che mostra le proprie colpe storiche con lo scopo di autocelebrarsi retoricamente come paese delle libertà che di se stesso mostra i lati più sgradevoli. Autocritica e autosanzioni di qualche tipo sono da prorogare a data da destinarsi: è la piena realizzazione della società dello spettacolo.

Mentre si sta scrivendo questo pezzo l’attrice Lily Gladstone, la Mollie Burkhart del film, ha vinto un meritato Golden Globe come miglior attrice in un film drammatico. È assai probabile che il film di Scorsese faccia incetta di oscar assieme ad un altro film con cui condivide la medesima architrave etica-morale, ovvero Oppenheimer di Christopher Nolan.

In un’occasione simile è impossibile non pensare al 1973, quando il grande attore Marlon Brando, vincitore dell’oscar al miglior attore protagonista per l’interpretazione di Don Vito Corleone ne Il padrino, boicottò il film e la cerimonia dividendo il pubblico. Allora Brando, in segno di protesta per il trattamento dei nativi americani da parte di Hollywood e dell’industria cinematografica, mandò sul palco dell’Academy un’attrice e attivista di origini apache, Sacheem Littlefeather. In un certo senso, l’ottuagenario Martin Scorsese sul palco ci è già salito, e leggendo il necrologio della vera Mollie Burkhart, ha abbattuto la parete dell’intrattenimento per portare il suo pubblico al di là del cinema.

 

Scarica PDF

 

1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

    🔴 Segui e fai seguire Telegram de LA RISCOSSA🔴
    L’informazione dalla parte giusta della storia.
    📚 t.me/lariscossa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *