IL ROSSOBRUNISMO

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IL ROSSOBRUNISMO

rossobrunismo

 

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Il passo, che segue quelli precedenti sull’origine della corruzione e del degrado morale, e su Sinistra, antifascismo, antimperialismo, è tratto da A. Pascale, Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari, L’AntiDiplomatico 2023, Sezione 1 – Fondamenti teorici e pratici, cap. 3 – La necessità della rivoluzione, paragrafo VIII – Il rossobrunismo, pp. 99-108. Info sull’opera qui. Si ricorda, sul tema, la conferenza Conoscere il nemico: la nuova destra tenuta per la Scuola Popolare Antonio Gramsci.

 

 

IL ROSSOBRUNISMO

di Alessandro Pascale

 

«Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti». (Primo Levi)[1]
Perché anche un giornalista noto come Andrea Scanzi[2] si è soffermato sul tema del rossobrunismo, descrivendolo peraltro impropriamente come un neologismo? Approfittiamone per fare chiarezza da un punto di vista marxista sul tema, già trattato tangenzialmente in altre occasioni, come ad esempio nel passo seguente:
«si è assistito in effetti anche a questa sottile strategia messa in atto negli ultimi anni in Italia: alcuni settori della “sinistra”, al fine di legittimare il prosieguo di un eclettismo ideologico “liberal”, hanno iniziato a tacciare di rossobrunismo tutti coloro che ponevano la contraddizione antimperialista come la contraddizione principale. Ci sono cioè settori della “sinistra” che si presentano come “progressisti”, talvolta perfino come “comunisti”, ma alla prova dei fatti utilizzano la questione antifascista come prioritaria su ogni altro aspetto (antimperialismo, anticapitalismo, lotta di classe), approdando spesso e volentieri ad una posizione morbida, se non conciliante, con il PD, con il centro-sinistra e con le strutture e sovrastrutture imperialiste (prime tra tutte NATO, UE, euro), in nome dell’unità contro le “destre”».[3]

 

A. Origine storica e politica

 

Negli anni ‘70 si diceva “nazimaoista” quel settore del radicalismo di destra che univa suggestioni nazionaliste e sociali ad una lettura spiritualista dell’esperienza maoista e stalinista. Un ulteriore precedente storico-politico è il concetto di “nazional-bolscevico” o “nazional-comunista”, nato in Germania nel primo dopoguerra e usato sia da una branca dell’estrema destra rivoluzionario-conservatrice sia dai marxisti del KAPD di Amburgo, fautori entrambi di una convergenza strategica fra nazionalisti rivoluzionari e comunisti contro il “nuovo ordine europeo” uscito a Versailles. Il KAPD sarà criticato da Lenin per questa strategia. Il termine “rossobruno” invece, come viene spiegato da Matteo Luca Andriola nella II edizione de La Nuova Destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist[4], nasce nel 1992 in Russia coniato dai giornalisti vicini all’entourage di Boris El’cin per screditare Gennadij Zjuganov, leader comunista russo a capo del Fronte di salvezza nazionale, coalizione patriottica antiliberista guidata dal PCFR a cui si aggregheranno piccoli soggetti patriottici e nazionalisti, fra cui il piccolo Fronte nazionalbolscevico il cui leader era Eduard Limonov[5] e l’ideologo l’eurasiatista Aleksandr Dugin.

 

B. Accusatori e accusati odierni

 

Oggi, in Italia, assistiamo ad una deconcettualizzazione del termine e al suo uso spregiudicatamente propagandistico. Rossobruno è etichetta dispregiativa con cui liberali, libertari e “ex comunisti” convertitisi al globalismo e all’atlantismo delegittimano nel dibattito democratico i marxisti-leninisti, i socialisti internazionalisti[6] e la sinistra sovranista costituzionale[7].Di fatto le principali derive revisioniste del nostro tempo – apertura all’identity politics di stampo statunitense, al cosmopolitismo senza radici e all’immigrazionismo borghese, utopie di “riforma dell’Unione Europa dall’interno” e anacronistici “fronti popolari” con la sinistra borghese – vengono giustificate spesso con il pretesto della lotta al rossobrunismo.

I rossobruni veri e propri quindi non esistono? Esistono sì, e non sono pochi, ma il conflitto di cui sopra li riguarda solo saltuariamente e incidentalmente. Il conflitto vero, infatti, è quello tra marxisti/socialisti e sinistra neoliberale/antimarxista (ovvero la sinistra oggi rappresentata in Parlamento, e anche una parte di quella extraparlamentare).

Diego Fusaro[8] ha definito pubblicamente così il rossobrunismo:

«Rossobrunismo è la classificazione di ogni possibilità di resistere al mondialismo, mentre l’unica resistenza possibile può scaturire solo da una dinamica di deglobalizzazione, difesa nazionale e risovranizzazione dell’economia. Rossobruno è chiunque che, consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali, oggi rigetti destra e sinistra. Pertanto, viene bollato come gli estremi di esse. Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato Rossobruno. La classe dirigente è tale non soltanto in termini economici e sociali, ma anche e soprattutto nella concezione simbolica del linguaggio. Previa una neolingua del modernismo postmoderno, il pensiero unico politicamente corretto, viene demonizzata ogni possibilità del “Pensare altrimenti”, di dissentire dal pensiero unico. Ci convincono così a orientarci come masse che legittimano il loro dominio. Dissentire da ciò è il reato di Rossobrunismo».

Ci sono elementi di verità in questa analisi, ma l’esposizione, se confrontata a quella fatta finora è carente, inadeguata e imprecisa; tanto meno sono condivisibili e accettabili la collaborazione con alcuni settori del nazifascismo italiano e le conclusioni politiche di Fusaro: avere «idee di sinistra e valori di destra»[9].Nell’epoca in cui il capitalismo è nella sua fase imperialistica come si può predicare l’unione con i fascisti che dell’imperialismo rappresentano l’agente più terribile? Non val la pena approfondire ulteriormente tale questione posta da settori dell’intellettualità che, in quanto dimentichi del leninismo, hanno cercato di riapplicare assai malamente la lezione di Marx, scadendo in conseguenze filosofico-politiche riprovevoli che non solo non hanno più niente a che fare con il marxismo, ma diventano un’altra arma ideologica a disposizione della borghesia nella sua battaglia culturale quotidiana. Un’arma che si concretizza nel dare spazio ai presunti auto-definitisi “marxisti”, “comunisti”, “compagni” che con le loro chiacchiere nei talk-show televisivi servono solo nei fatti a screditare ulteriormente tra le masse il marxismo, ridotto da questi “intellettuali” a macchietta incapace di dare soluzioni. Anche quei pochi spunti progressisti, di critica ai funzionamenti attuali della società, rimangono inoperativi, ridotti ad una critica meramente teorica, talvolta fondata su basi reazionarie, e sempre e comunque totalmente slegata da una prassi politica concreta.

 

C. Il rossobrunismo come uscita dal campo del comunismo

 

C’è un confine nella normale dialettica interna al campo comunista. Non si possono accettare pensieri nazionalisti, razzisti o in qualche pur morbida maniera “esclusivisti”. Non si può cioè pensare che i diritti debbano essere riservati eternamente solo ad alcune comunità umane, andando ad escluderne altre per criteri di etnia, religione, lingua, sesso, ecc. Ci sono ragioni accettabili per considerare comunista solo chi utilizza e coniuga opportunamente le categorie di patriottismo, internazionalismo, materialismo storico (e dialettico), lotta di classe, imperialismo, ecc.Partendo dal patrimonio del marxismo-leninismo si può discutere su alcune questioni tattiche, strategiche e di teoria ancora insolute; non sono poche e riguardano anche la dialettica e la concretizzazione dei diritti sociali e civili, oltre che le differenti caratterizzazioni nazionali al socialismo. Su questi temi i comunisti nel resto del mondo (cinesi, cubani, coreani, portoghesi, ecc.) sono molto più avanzati di noi italiani, che scontiamo ancora il retaggio dell’eurocomunismo.

Tra i temi strategici del dibattito troviamo quelli del potere politico ed economico: il rossobruno rifiuta la lotta di classe e considera prioritario non l’obiettivo del miglioramento sociale della classe lavoratrice, ma la difesa strategica della sovranità nazionale in un’ottica corporativa e interclassista. In questa ottica non c’è un nesso tra la sovranità nazionale e quella popolare. Si arriva così a elaborare concetti ambigui come «economia di mercato sovrana» che diventano chiacchiere se congegnate in continuità con il mantenimento di un regime borghese. Il rossobruno non propone la presa del potere politico ed economico da parte della classe lavoratrice, ma nei casi migliori si limita a proporre una moderna “aristocrazia borghese” illuminata, che non metta in discussione il controllo sociale e politico dei mezzi di produzione dell’attuale classe dominante. Il “welfare state” non è implicito per il rossobruno, così come in generale alcuna forma di regime sociale avanzato. Qualora vi sia tale rivendicazione, essa non cessa di essere ambigua, se non accompagnata dalla messa in discussione della struttura imperialista del paese.

Ben diverso è il discorso del “socialismo di mercato”, ossia di un regime in cui il potere politico resta saldamente in mano alla classe lavoratrice organizzata dalla sua avanguardia, il partito comunista. Il potere economico viene in questo caso spartito consapevolmente e in spazi più o meno limitati con la borghesia nazionale non come obiettivo strategico, bensì tattico, con lo scopo di sviluppare le forze di produzione, creando ricchezza sociale che, seppur redistribuita in maniera inizialmente diseguale, è una delle condizioni concrete per il futuro passaggio al socialismo.

Dietro la normale dialettica del dibattito democratico interno al campo marxista-leninista c’è sempre il pericolo del revisionismo, come mostra la crescita di certe correnti reazionarie nei partiti comunisti della seconda metà del ‘900: si pensi all’ala migliorista nel PCI, o alle correnti riformiste e nazionaliste rafforzatesi nel PCUS dagli anni ‘70. Tale pericolo è ancora più accentuato oggi, sia per la fase di sbandamento ideologico (soprattutto europeo) conseguente al crollo del muro di Berlino, sia per i rischi insiti nel socialismo di mercato, che consentono in forme e modalità variegate il ripristino di alcuni elementi di un’economia capitalistica, con tutte le conseguenze moralmente corruttrici del caso. Il passaggio però non è automatico, ed è il potere politico che ha l’ultima parola, il che ripropone il tema dell’adeguatezza ideologica del Partito come guida della classe lavoratrice.

 

D. Sui regimi nazionalisti del “terzo mondo”

 

Un ulteriore tema di riflessione è venuto da Francesco Alarico della Scala, uno dei maggiori esperti italiani della Repubblica Popolare Democratica di Corea, il quale mi ha messo in guardia da una semplificazione nell’uso del termine “nazionalismo”:

«Nonostante i suoi ovvi limiti di classe, il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressiva nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste.Proprio questo è il caso di Hitler e Mussolini, da te citati, che agirono in contesti dove la rivoluzione proletaria era, se non proprio all’ordine del giorno, una concreta possibilità che terrorizzava le classi sfruttatrici, e quindi assolsero non una funzione progressiva (di liberazione nazionale) ma regressiva (di contenimento e repressione della spinta rivoluzionaria delle masse lavoratrici), peraltro favoriti in ciò dal fatto che il movimento comunista dell’epoca non aveva saputo levare per primo la bandiera degli interessi nazionali e unire il destino della nazione alla causa del socialismo – come più volte osservato da Lenin e Stalin e contrariamente a quanto accadde vent’anni dopo.

In altre realtà (Libia di Gheddafi, Egitto di Nasser, Iraq di Saddam, Siria degli Assad, ecc.) regimi molto diversi ma che comunque si richiamavano ad analoghe dottrine corporativiste hanno dato vita ad esperimenti molto interessanti, di fronte ai quali che fare: preoccuparsi per le deviazioni rossobrune che potrebbero veicolare oppure riconoscere la loro funzione storica positiva e il loro contributo alla diffusione degli ideali socialisti sia pur non rigorosamente marxisti?

I comunisti coreani sono di questo secondo avviso, e da sempre intrattengono buoni rapporti con alcune forze nazionaliste non solo in patria e nel mondo post-coloniale ma anche in Giappone, in Europa e in America, e per questo incorrono spesso in accuse di “rossobrunismo” o di fascismo vero e proprio. Nondimeno la loro posizione è la più conforme alle tradizioni del movimento comunista mondiale intese in modo non folcloristico e nominale».

Al suo intervento stimolante ho risposto nella seguente maniera:
«Tutte le realtà che possiamo definire “nazionaliste progressive”, quelle che hai citato ne sono esempi, sono alleate del movimento comunista nella lotta contro l’imperialismo internazionale, ma non le considero modelli marxisti-leninisti, seppur varianti nazionali del socialismo rispettabili per i differenti contesti. Per quanto riguarda l’Italia credo che la soluzione resti uno sviluppo diverso del marxismo-leninismo, che non apra a tali versioni eclettiche che sono adatte per paesi molto diversi da noi per cultura, società, economia, ecc. È sbagliato comunque ritenerli rossobruni, così come bollare di rossobrunismo i comunisti che collaborino con loro in ambito nazionale o internazionale. Credo però che loro stessi sarebbero d’accordo a non considerarsi parte del movimento comunista internazionale. Sono d’accordo con te comunque che i maggiori pericoli ideologici vengano da altri fronti, ma proprio perché il nemico è ancora forte non bisogna dare il minimo argomento ai suoi attacchi, evitando di fare errori (o provocazioni) come quelle dell’ultimo Preve che è arrivato a dare indicazioni di voto per la Le Pen».
Sul giudizio da dare a certe forme di socialismo come quello coreano, considerato da molte malelingue un comunismo degenerato, ci sarà modo di soffermarsi meglio in futuro.

 

E. Non è meglio rigettare il termine rossobrunismo?

 

La storia ci ha mostrato che le classi reazionarie hanno sempre cercato di infiltrare i movimenti rivoluzionari, talvolta pianificando a tavolino strategie culturali per introdurre elementi revisionisti e degeneratori nel campo culturale proletario. Questo vale in particolar modo per il marxismo e il movimento comunista, che sono stati e sono tuttora il nemico principale dell’imperialismo.La borghesia dispone dei mezzi politici, economici e mediatici per fomentare ad arte delle “deviazioni” politico-ideologiche, introducendo modelli “riformisti” o “rossobruni”, intendendo per questi ultimi delle teorie ibride tra socialismo e nazionalismo borghese che costituiscono forme degenerative della teoria rivoluzionaria in grado di confondere larghi strati della classe lavoratrice, sfruttando parole d’ordine e slogan solo apparentemente rivoluzionari. In questa maniera sono riusciti a “sfondare” casi famosi come Mussolini e Hitler, due esempi classici in tal senso, visto l’enorme sostegno che hanno ottenuto dal mondo industriale.

La categoria di “rossobruno” è quindi valida tutt’oggi. Pur essendo nata in un contesto borghese, essa esprime una posizione politica che per anni è stata respinta, seppur con altri termini, dal movimento comunista internazionale. Oggi resta valida in questa accezione, come arma ideologica a disposizione del movimento operaio, tenendo conto che nella confusione in cui versa attualmente il movimento comunista, specie quello italiano, tale categoria è stata fatta propria dai think tank della borghesia liberale per delegittimare paradossalmente i veri comunisti.

Non deve stupire troppo, dato che la borghesia liberale è già riuscita a conquistare la categoria analitica della “sinistra”, bollando i comunisti prima come “estrema sinistra” (anni ‘90 e inizio ‘00), poi, negli ultimi tempi di “rossobrunismo”, di fronte ad alcuni nuovi fermenti teorico-politici che rischiano di incrinare la narrazione del totalitarismo liberale.

Per queste ragioni in alcuni casi è utile mantenere la categoria di rossobrunismo, specie laddove ci siano dei casi palesi di revisionismo anticomunista. Occorre insomma sempre mantenere la guardia imparando a muoversi in questo «mondo grande e terribile».

 

F. Sul tema dell’immigrazione

 

In un recente dibattito un compagno ha fatto il seguente intervento, ponendo un tema delicato: «Domanda sull’immigrazione: è sempre stata una croce per la sinistra, fino a diventare un’ideologia. Mentre invece c’è chi si pone in maniera critica e viene additato come fascista o rossobruno. Come ci si pone sulla questione?». La mia risposta è stata la seguente:

«Dirò quello che ho detto in campagna elettorale, quando è stato proiettato il film L’Urlo di Severgnini, riprendendo passi del libro che ho scritto sulla storia degli Stati Uniti. Qui l’immigrazione era già nel XIX secolo un’arma dei padroni per attirare manodopera a basso costo, ragionamento già espresso da Marx. Se uno si va a rileggere gli interventi della Prima Internazionale, ne troverà una con cui Marx richiede interventi per evitare la partenza di operai belgi in Inghilterra che dovevano sostituire degli operai in vertenza, impedendo il crumiraggio. Oggi la questione è molto più complessa. Permettetemi una battuta: noi possiamo e dobbiamo stare con gli immigrati ma dobbiamo lottare contro l’immigrazione. Chiaramente la gente in mare va salvata, ricordando quanto detto da Lenin sul collegamento necessario tra immigrazione e imperialismo: l’imperialismo genera contraddizioni e squilibri tali a livello globale, da generare fiumi di immigrazione. L’immigrazione come viene utilizzata? È recente un articolo di Repubblica in prima pagina: “Confindustria, ci servono 100mila lavoratori”. Il giorno dopo Mattarella: “migrare è un diritto”. D’altronde il reddito di cittadinanza ha permesso a milioni di disoccupati e precari di rifiutare lavori mal pagati. È un dato di fatto che l’immigrazione sia utilizzata dalla borghesia per mandare avanti tutta una serie di settori che gli italiani non vogliono più fare a condizioni degradanti. Il problema si risolve sempre e comunque a partire da un’impostazione antimperialista. Siamo tra i pochi partiti a dire queste cose, a rifiutare di essere acriticamente “no border”. Nessuno stato socialista ha mai consentito niente del genere.
C’è poi il problema che gli immigrati spesso sono i primi a non volere nuovi immigrati. Una volta mi sono andato a mangiare un kebab e il proprietario turco a guardare Salvini in televisione gli dava ragione. Il discorso non è essere contro gli immigrati, anzi essi sono il vero proletariato. Noi non siamo un partito comunista ancora adeguato perché abbiamo scarso radicamento in questo proletariato. D’altronde non è casuale. Perché negli USA non c’è mai stata una rivoluzione? Perché è mancato un radicamento di massa del partito comunista? Perché si formano tanti gruppi etnici, isolati gli uni dagli altri, che rende estremamente difficile un’azione di radicamento sul territorio. Quando noi facciamo un volantino, dovremmo essere in grado di realizzarlo anche in francese, arabo, spagnolo, inglese… alcuni lo fanno».

 

[1]       P. Levi, Un passato che credevamo non dovesse tornare più, Corriere della sera, 8 maggio 1974.

[2]       A. Scanzi, L’ossessione “rossobruna”: come etichettare il nemico, Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2018.

[3]       A. Pascale, Risposta alle accuse di Iskrae su Berlinguer e rossobrunismo, Intellettualecollettivo.it, 30 dicembre 2018.

[4]       Per approfondimenti A. Pascale (a cura di), Conoscere il nemico: la nuova destra, Intellettualecollettivo.it, 14 maggio 2023.

[5]       Un personaggio diventato famoso grazie al bel libro E. Carrère, Limonov, Adelphi, 2012.

[6]       F. Chernov, Il cosmopolitismo borghese e il suo ruolo reazionario, Bol’ševik-Intellettualecollettivo.it, n° 5, 15 marzo 1949.

[7]       V. Giacché, Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi”, Marx21.it, 3 gennaio 2019.

[8]       C. Fantuzzi, Fusaro: “Rossobrunismo e Interesse Nazionale: Armi Culturali Contro il Capitalismo mondialista”, Ticinolive.ch, 30 marzo 2017.

[9]       D. Fusaro, Il vero rivoluzionario: idee di sinistra, valori di destra, Diegofusaro.com, 5 giugno 2018. Si veda ad esempio l’intervista al leader di Forza Nuova Di Stefano sul sito dell’associazione culturale di Fusaro: A. Pepa, Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”, Interessenazionale.net, 1 marzo 2018.

 

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2 Comments

  1. Fulvio Bandini ha detto:

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  2. michele addonizio ha detto:

    leggendo questo articolo mi viene di mettere in relazione un passo della riflessione di Francesco Alarico della Scala e un passo dell’articolo ” Le origini della guerra in Ucraina” dal libro di Salvatore Minolfi.
    Nel primo si afferma che ” nonostante i suoi limiti il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressista nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste”. Si portano ad esempio di questa tesi la Libia di Gheddafi, l’Egitto di Nasser, l’Iraq di Saddam. la Siria di Assad.
    Nel secondo si dice che “Sebbene l’autore non si esprima in questi termini, nel libro si trovano tutti gli elementi essenziali per poter caratterizzare le guerre in corso per quello che è: una guerra interimperialista tra Stati Uniti da un lato e la Germania ( e in subordine Francia e Italia)dall’altra.
    Ora la domanda è se l’Italia è una colonia degli Stati Uniti conseguentemente è utile intrattenere buoni rapporti con alcune forze nazionaliste, come dicono i comunisti coreani, ovvero nel nostro caso appoggiare Democrazia Sovrana e Popolare e confrontarsi con Alemanno e il suo nuovo partito?
    Se invece L’Italia è un paese imperialista in guerra con altri paesi imperialisti, anche se in subordine, la sua alleanza con forze nazionaliste ha un ruolo reazionario?
    Grazie per l’attenzione

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