PANDEMIA E COMPLOTTISMO: LA CONSAPEVOLEZZA DEL PERICOLO

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PANDEMIA E COMPLOTTISMO: LA CONSAPEVOLEZZA DEL PERICOLO

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Quello che segue è il terzo contributo di Bartoloni sul tema della pandemia.
Il primo, dedicato al tema della “Zoonosi”, e il secondo, dedicato alla “Fuga dal laboratorio” sono disponibili sempre su La Riscossa.
Si ricorda che la Scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci ha pubblicato video e atti del seminario “Le menzogne sulla pandemia covid” al seguente link.
 
 

PANDEMIA E COMPLOTTISMO: LA CONSAPEVOLEZZA DEL PERICOLO

di Alessandro Bartoloni

 

Nel primo articolo dedicato al binomio pandemia-complottismo abbiamo visto perché l’eventuale zoonosi vada ricondotta al modo di produzione capitalistico. Nel secondo abbiamo analizzato le condizioni in cui versavano i biolaboratori cinesi e statunitensi. In questo articolo analizzeremo quanto la classe dominante fosse effettivamente cosciente dei rischi derivanti dallo sfruttamento capitalistico dell’uomo e della natura[1].

«I pipistrelli [riserva naturale dei Coronavirus da cui origina la SARS] sono diffusi nei mercati della Cina meridionale. Una partita infetta di pipistrelli casualmente accostata a una specie suscettibile di amplificare l’infezione potrebbe provocare la zoonosi». Ciò suggerisce «che nei pipistrelli esiste diversità genetica tra i virus zoonotici, con ciò aumentando la possibilità che le varianti attraversino la barriera delle specie e causino epidemie tra gli umani»[2].

Così scriveva un gruppo internazionale di ricercatori già nel 2005.E per verificare se i Coronavirus che infettano i pipistrelli siano in grado di passare da una specie all’altra, nel 2008 è stata costruita «una serie di proteine Spike chimeriche, inserendo diverse sequenze della proteina proveniente dal SARS-CoV nello scheletro del virus della SARS che colpisce i pipistrelli»[3]. In altre parole, si è provato ad anticipare ciò che la natura avrebbe potuto creare e per farlo «è stato utilizzato uno pseudovirus basato sul virus dell’HIV»[4].

Proprio così.

Con buona pace di chi diceva che il virologo Luc Montagnier fosse diventato «un rincoglionito con problemi di demenza senile» (Matteo Bassetti), è risaputo tra gli addetti ai lavori che già nel 2008 si ibridavano i Coronavirus con l’HIV.

A fin di bene, ovviamente.

L’esperimento è andato a buon fine e «considerando le co-infezioni della stessa specie di pipistrello con diversi tipi di Coronavirus, gli stessi Coronavirus che infettano diverse specie di pipistrelli, l’alta densità di pipistrelli nel proprio habitat e la propensione alla ricombinazione genetica tra diversi Coronavirus, non è irragionevole concludere che i pipistrelli rappresentino un naturale recipiente di miscelazione per la creazione di nuovi Coronavirus e che è solo questione di tempo prima che qualcuno di loro oltrepassi le barriere di specie verso i mammiferi terrestri e la popolazione umana»[5].

Cinque anni dopo, il 30 ottobre 2013, viene pubblicato un nuovo studio in cui si descrive un Coronavirus dei pipistrelli capace di utilizzare l’enzima ACE2 degli esseri umani come recettore di ingresso, aprendo quindi alla possibilità di un’infezione diretta pipistrello-uomo senza mediazioni di altre specie, dunque senza necessità di mercati rionali dove si vendono specie esotiche o grandi allevamenti intensivi di animali[6].

Purtroppo per i ricercatori (e per nostra fortuna) questo virus trovato nei pipistrelli, a differenza di quello della SARS, non era molto efficiente nell’infettare le cellule umane e quindi non era molto adatto a essere utilizzato come materiale per la ricerca sui farmaci.

Conseguentemente, in un nuovo studio pubblicato nel 2015 frutto della collaborazione tra i ricercatori di Wuhan e quelli del laboratorio militare statunitense di Fort Detrick (lo US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases), si descrive l’ennesima fabbricazione di un nuovo Coronavirus chimerico, questa volta in grado di attaccare le cellule delle prime vie respiratorie umane in maniera maggiormente efficiente. Purtroppo, però, la natura è vendicativa e i ricercatori si accorgono soltanto a posteriori (o almeno così scrivono) che contro tale chimera «la valutazione delle modalità immuno-terapeutiche e profilattiche disponibili contro la SARS rivela una scarsa efficacia» e che «né gli anticorpi monoclonali né gli approcci vaccinali sono riusciti a neutralizzare o proteggere dall’infezione», in quanto, «sulla base dei precedenti modelli, non ci si aspettava che la creazione di virus chimerici aumentasse la patogenicità»[7]. In ogni caso, concludono gli scienziati, «il nostro lavoro suggerisce un potenziale rischio di riemersione della SARS-CoV a partire da virus attualmente in circolazione nelle popolazioni di pipistrelli»[8].

Questa consapevolezza viene ribadita ancora più chiaramente nel marzo 2019, quando sempre i ricercatori di Wuhan concludono che «è altamente probabile che i futuri focolai di Coronavirus simili a SARS o MERS provengano da pipistrelli e vi è una maggiore probabilità che ciò accada in Cina»[9]. E uno studio presentato a settembre 2019, vale a dire tre mesi prima della scoperta ufficiale del SARS-CoV-2, avvertiva che «c’è una quantità considerevole di persone nelle zone rurali della Cina meridionale esposte ai virus trasmessi dai pipistrelli e tale esposizione si verifica probabilmente mediante le normali pratiche quotidiane delle comunità rurali piuttosto che specifici comportamenti ad alto rischio (come la caccia di selvaggina)»[10]. Come a dire: attenzione, è il nostro modo di vivere e lavorare a metterci a rischio!

Ma lo studio ci dice anche un’altra cosa: «Considerato il comprovato potenziale di alcuni coronavirus imparentati con la SARS attualmente in circolazione nella Cina meridionale di infettare cellule umane, provocare sintomi clinici nei topi umanizzati e portare a infezioni che non possono essere curate con terapie monoclonali efficaci contro il Coronavirus della SARS, tutto ciò rappresenta un chiaro e presente pericolo per la nostra biosicurezza e per la salute collettiva»[11].

Dunque, tutta la cosiddetta comunità scientifica sapeva che il pericolo era chiaro e più che imminente, attualissimo e potenzialmente immediato (non-mediato). Ma questi non erano gli unici intellettuali informati.

«Di tutte le cose che possono uccidere milioni di persone in poco tempo, la più probabile che si verifichi nei prossimi dieci anni è una pandemia».

Questo virgolettato attribuito al dottor Ashish Jha, professore all’Harvard Global Health Institute, non è contenuto in una qualche oscura pubblicazione riservata agli addetti ai lavori bensì in un’inchiesta della popolare rivista statunitense Time, datata 15 maggio 2017, che in copertina titolava: Attenzione: non siamo pronti per la prossima pandemia[12].E ad avere le idee molto chiare era anche la classe dominante, con William Henry Gates III, più conosciuto come Bill Gates, che nell’aprile 2018 così scriveva:

«Data la continua comparsa di nuovi agenti patogeni, il crescente rischio di un attacco bioterroristico e il modo in cui il nostro mondo è connesso attraverso i viaggi aerei, esiste una probabilità significativa che si verifichi una grande e letale pandemia. La prossima minaccia potrebbe non essere affatto un’influenza. Molto probabilmente, sarà un patogeno sconosciuto che vedremo all’opera per la prima volta durante un focolaio, come nel caso della SARS, della MERS e di altre malattie infettive scoperte di recente»[13].
Ma Gates non era l’unico imprenditore bene informato. Tra coloro che sapevano e si preparavano all’arrivo di una pandemia dobbiamo menzionare anche Banca Mondiale e tre fra le maggiori Compagnie di Riassicurazione (le Assicurazioni che assicurano le Assicurazioni): Swiss Re Capital Markets, Munich Re e GC Securities. Secondo la società elvetica,
«studi recenti suggeriscono che il costo globale annuo di una pandemia moderatamente grave potrebbe ammontare a circa 570 miliardi di dollari, ovvero lo 0,7% del reddito mondiale. Se lasciata incontrollata, una grave pandemia, come l’influenza spagnola del 1918, potrebbe uccidere milioni di persone e costare fino al 5% del PIL mondiale. Mentre le epidemie sono inevitabili, le pandemie sono perlopiù prevenibili se affrontate tempestivamente. Tuttavia, esiste un divario finanziario critico tra i pochi fondi disponibili per molte economie vulnerabili e quanto effettivamente costa l’efficace limitazione della diffusione di un’epidemia. Per questo, al fine di consentire ai paesi vulnerabili di rispondere efficacemente alle epidemie, nel 2017 è stato sviluppato il Pandemic Emergency Financing Facility (PEF)»[14].

Un vero e proprio fondo fiduciario di intermediazione finanziaria creato nel maggio 2016 in collaborazione con l’OMS per affrontare le pandemie (non per prevenirle).Ma la classe dominante è previdente e si occupa anche di simulare scenari per far sì che le autorità pubbliche e la società civile siano preparati in caso di emergenza. Tra i numerosi esercizi condotti negli ultimi anni[15] occorre citarne due. Quello riportato il 26 settembre 2019 dalla Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, secondo la quale il 18 settembre, in preparazione dei Giochi Militari Mondiali che si sarebbero tenuti a Wuhan il mese successivo, è stata organizzata un’esercitazione di risposta alle emergenze simulando due situazioni: l’arrivo di bagagli con materiale nucleare e l’arrivo di un passeggero infettato da… un nuovo Coronavirus!

Ma gli Stati Uniti non potevano mancare all’appello ed esattamente un mese dopo, precisamente il 18 ottobre 2019, il Johns Hopkins Center for Health Security, in collaborazione con i filantropi della Bill and Melinda Gates Foundation e il World Economic Forum, ha organizzato la simulazione di una pandemia fittizia proprio di Coronavirus (Event 201) a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo imprenditoriale, accademico e politico provenienti da tutto il mondo con il fine di rafforzare il partenariato pubblico/privato durante la risposta a una grave pandemia, creando collaborazioni con i mass media e con le società proprietarie delle piattaforme social.

Visti i risultati ottenuti, a cosa servano realmente queste simulazioni è una domanda aperta. O forse retorica. Queste simulazioni, infatti, sono basate su delle analisi della realtà a dir poco scadenti. A ottobre 2019, mentre organizzava l’Event 201, l’università Johns Hopkins (insieme alla Nuclear Threat Initiative, all’unità di intelligence del settimanale The Economist e con la collaborazione dell’Open Philanthropy Project, della fondazione Bill & Melinda Gates e della fondazione Robertson) presentava un rapporto per valutare la preparazione e la capacità di ogni paese ad affrontare il rischio biologico[16]. Una fotografia della situazione che doveva servire a capire quali sarebbero stati i punti di forza e di debolezza di ogni paese in vista della prossima pandemia.

Ma confrontando la classifica stilata con quella per numero di decessi attribuiti al SARS-CoV-2 al 31 dicembre 2020, il quadro è a dir poco desolante. Il paese meglio preparato, ovviamente, sarebbe dovuto essere gli Stati Uniti, che però, su 186 nazioni, è quindicesima per numero di decessi attribuiti alla COVID-19. Ancora peggio per la seconda classificata, il Regno Unito, addirittura quarta nel conteggio dei morti durante il primo anno. L’Olanda, posizionatasi terza in teoria, è trentottesima nella pratica. L’Italia, trentunesima nella preparazione, si piazza sesta nella prova pratica. Complessivamente, una semplice correlazione tra la classifica stilata dagli esperti e quella stilata dal SARS-CoV-2 ci indica che il numero dei morti registrati nel primo anno di pandemia cresce all’aumentare della preparazione per evitarli[17]. Un controsenso che dovrebbe quantomeno indicare lo scarso valore di tali analisi e delle raccomandazioni che contengono. La scienza, insomma, è un’altra cosa.

 

[1] Le considerazioni che seguono sono tratte da A. Bartoloni, Critica marxista della vaccinazione COVID, Transeuropa, cap. 2.

[2] Wendong Li et al., Bats are natural reservoirs of SARS-like coronaviruses, in «Science», 28 ottobre 2005, doi: 10.1126/science.1118391.

[3] Wuze Ren et al., Difference in receptor usage between severe acute respiratory syndrome (SARS) coronavirus and SARS-like coronavirus of bat origin, in «Journal of Virology», 15 febbraio 2008, doi: 10.1128/JVI.01085-07.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Xing-Yi Ge et al., Isolation and characterization of a bat SARS-like coronavirus that uses the ACE2 receptor, in «Nature», 30 ottobre 2013, doi: 10.1038/nature12711.

[7] Vineet D. Menachery et al., A SARS-like cluster of circulating bat coronaviruses shows potential for human emergence, in «Nature Medicine», 9 novembre 2015, doi: 10.1038/nm.3985.

[8] Ibid.

[9] Yi Fan et al., Bat Coronaviruses in China, in «Viruses», 2 marzo 2019, doi: 10.3390/ v11030210.

[10] Hongying Li et al., Human-animal interactions and bat coronavirus spillover potential among rural residents in Southern China, in «Biosafety and Health», 9 novembre 2019, doi: 10.1016/j. bsheal.2019.10.004

[11] Ibid.

[12] Bryan Walsh, The World Is Not Ready for the Next Pandemic, in «Time», 15 maggio 2017.

[13] Bill Gates, The next epidemic is coming. Here’s how we can make sure we’re ready, 27 aprile 2018. Cfr. gatesnotes.com.

[14] Closing the gap: The Pandemic Emergency Financing Facility – rapid funding to help vulnerable economies halt major pandemic outbreaks, a cura di Swiss Re. Cfr. swissre.com.

[15] Soltanto nel Regno Unito, le simulazioni condotte con la partecipazione del Servizio sanitario nazionale dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2019 sono sedici. Fonte Public Health England, 19 maggio 2021 (cygnusreports.org). Per quanto riguarda gli Stati Uniti, una rassegna è contenuta in: Bill Gates, Come prevenire la prossima pandemia, La nave di Teseo, 2022, pp. 282-307.

[16] Global Health Security Index. Building collective action and accountability, ottobre 2019. Cfr. ghsindex.org.

[17] La classifica dei paesi per numero decrescente di decessi attribuiti al SARS-CoV-2 (rapportato al numero di abitanti) utilizzata in questa comparazione è tratta da ourworldindata.org. In questa classifica, i primi paesi sono quelli dove si muore di più. Al contrario, nella classifica presentata nel Global Health Security Index i primi paesi sono quelli più preparati (dove, quindi, si dovrebbe morire di meno). La correlazione tra le due classifiche è di 0,55, il che significa che al crescere della posizione in una classifica cresce anche la posizione nell’altra. In altre parole, a un miglioramento nella preparazione aumenta anche il numero di morti.

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1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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