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LA CRISI NERA CHE AVVOLGE GLI USA

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LA CRISI NERA CHE AVVOLGE GLI USA

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

 

Pubblichiamo alcuni estratti (Prefazione e Capitolo 6) del prossimo libro di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli, intitolato La terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas, unitamente ad un breve estratto di Giacomo Gabellini dal titolo Stati Uniti: la spesa per interessi fa esplodere il debito.
Si tratta di contributi utili per comprendere la crisi nera in cui si ritrova la “tigre di carta” costituita dall’imperialismo statunitense.
Bastonare il cane che affoga.

 

Prefazione

 

Agiscono delle tendenze generali e costanti nella politica internazionale, dal 3000 a.C. e dall’affermarsi delle società classiste in gran parte del globo per arrivare ai nostri giorni?L’imperialismo statunitense continua nella sua lotta per il dominio planetario, iniziata nel 1940-45?

Può scoppiare nei prossimi anni una terza guerra mondiale che coinvolga sul piano militare le principali potenze del globo, proprio a causa di tale orientamento generale e bipartisan dei circoli dirigenti e del deep state di Washington?

Dov’è la principale forza di resistenza alla tendenza USA verso la guerra e l’egemonia mondiale?

Quattro questioni cruciali a cui cercheremo di dare una risposta, ora più che mai necessaria: del resto proprio Karl Marx, ancora nell’ottobre del 1864 e nel suo celebre indirizzo inaugurale della Prima Internazionale, aveva indicato che le classi operaie “devono capire i misteri della politica internazionale”, sottolineando simultaneamente che la lotta per una nuova “politica estera è una parte della lotta generale per l’emancipazione della classe operaia”.

 

Capitolo sesto

Il piano Marshall cinese e l’“ipotesi Nantes”

 

Vige la regola dell’“essere o non essere”, nell’amletica epoca delle armi di sterminio.

Perfino il moderato e filo borghese Karl Jaspers aveva del resto intuito, sin dal 1958, e nel suo libro dal titolo La bomba atomica e il futuro dell’umanità che, nel breve come nel lungo periodo, “la bomba” aveva posto il genere umano di fronte a un’alternativa secca, con un aut-aut formidabile: “o l’intera umanità sarà fisicamente distrutta” (autodistrutta per la precisione) “o l’uomo deve trasformare la sua condizione etico-politica”.[1]

Come si è visto nel precedente capitolo, la creazione progressiva di una mutua deterrenza e di uno stallo atomico tra le grandi potenze denominato MAD, la mutual assured destruction descritta con efficacia dall’allora ministro della difesa americano Robert McNamara nel settembre del 1967, collegata all’assenza di pretese di dominio mondiale o continentale da parte dell’Unione Sovietica (Russia, dal 1992) e della Cina Popolare costituirono i due fattori principali che evitarono dal 1945 al maggio 2023 lo scoppio di una terrificante guerra atomica nucleare, con il derivato “inverno nucleare” che avrebbe fatto crollare le temperature terrestri e reso sterile la terra per almeno una decina di anni, a causa della polvere radioattiva scagliata nell’atmosfera dai giganteschi funghi atomici che si creerebbero inevitabilmente in giro per il mondo.

La portata catastrofica di un flagello atroce ma fin troppo umano venne progressivamente percepito come una novità epocale che, come miracolo di specie purtroppo con un segno ipernegativo, almeno apriva la mentalità e le emozioni collettive alla genesi di una nuova fase dell’umanesimo e della coscienza di specie di matrice marxista, contraddistinta ovviamente dalla certezza dell’imprescindibilità dell’ecosistema terrestre per la riproduzione dell’homo sapiens ma, soprattutto, dalla precisa individuazione politica di coloro che si possono definire attraverso la categoria dei “fuorilegge dell’umanità”.

Fuorilegge dell’umanità come Liz Truss, primo ministro britannico verso la fine del 2022; quest’ultima prima di entrare in carica si era già detta pronta, se chiamata a farlo dalle circostanze, a utilizzare l’arsenale nucleare del Regno Unito.[2]

Oppure fuorilegge potenziali dell’umanità come il presidente Joe Biden e i più alti vertici delle forze armate statunitensi: alla fine di ottobre del 2022 questa ristretta élite ha pubblicato un documento di strategia di sicurezza nazionale, nel quale l’imperialismo americano si tolse persino il limitatissimo e precedente auto-divieto ad usare per primi l’arma atomica, al cosiddetto first strike e al primo colpo nucleare con tutte le tremende ricadute in un eventuale futuro.

Oppure un feroce fuorilegge come Volodimir Zelensky, presidente ucraino dal 2019: quest’ultimo ha dichiarato pubblicamente il 6 ottobre 2022 che “per escludere la possibilità dell’uso di armi atomiche da parte della Russia, la Nato doveva colpire prima degli attacchi nucleari” (ipotetici, esistenti solo nella mente di Zelensky) con la “pressione” (Zelensky) di un reale attacco nucleare a stelle e strisce.[3]

Più in generale, fuorilegge dell’umanità risulta la frazione militarista e bellicista dell’imperialismo decadente del ventunesimo secolo, la sezione dei falchi più accesi del capitalismo occidentale e, soprattutto, statunitense: il “partito della guerra” che, come ha notato giustamente Doug Bandow, anche prima dell’intervento russo in Ucraina “voleva attaccare Mosca”.[4]

Progetti statunitensi di attaccare la Russia ex Unione Sovietica risalgono già dal luglio del 1945, come si è già notato: ma per le ragioni sopra esposte non sono mai stati messi in pratica e trovarono il loro rovescio, solo mentale e solo ideologico, nella teoria di una parte del movimento trotzkista tesa a un attacco nucleare preventivo dell’Unione Sovietica contro l’imperialismo americano e i suoi alleati, come affermò ripetutamente la corrente posadista della Quarta Internazionale tra il 1961 e il 1980.[5]

Torniamo ora ad esaminare il presupposto del “fattore Malvinas” applicato agli Stati Uniti: tra il 2023 e il 2030 l’economia americana entrerà in una recessione di gravità paragonabile a quella degli anni Trenta del secolo scorso, alla “grande depressione” ma senza lo strumento – ormai logoratissimo da quasi un secolo di utilizzo sempre più massiccio – del salvifico intervento pubblico e parastatale, come nel caso della Federal Reserve?

Riteniamo che la risposta a tale domanda sia positiva.

Gli Stati Uniti di recente hanno infilato ben due recessioni di seguito, rispettivamente nel 2010 e nel 2022.

L’America ha visto inoltre crescere nel 2022 il suo debito statale fino a 31.000 miliardi di dollari ed esso risulta pari a quasi il 120% del suo prodotto intero lordo, contro i soli 9.200 miliardi di deficit del 2007.[6]

Gli Stati Uniti all’inizio del 2022, secondo le stime amichevoli del Fondo Monetario Internazionale, avevano inoltre accumulato un volume complessivo di debito pubblico e privato pari a 226.000 miliardi di dollari, ossia circa dieci (10!) volte il prodotto interno lordo del paese nello stesso anno.[7]

La Federal Reserve americana ha ammassato a sua volta nelle sue casseforti migliaia di miliardi di titoli del debito pubblico americano, pagandoli con dollari statunitensi: uno scambio, quindi, di (quasi) carta straccia, grazie ai quantitative easing praticati dalla Federal Reserve dopo il 2010 e fino a oggi: non a caso il bilancio della Federal Reserve è aumentato dagli 860 miliardi di dollari nel 2007 ai circa 4.500 miliardi del 2016, tra l’altro in continua crescita.

Per di più la bilancia commerciale americana ha registrato nel corso del periodo (2000-2021) l’accumulazione di un deficit spaventoso, equivalente a circa 12.000 miliardi di dollari e a metà della ricchezza prodotta sul suolo statunitense, mentre nel corso del solo anno 2022 il disavanzo annuale in via di esame risultava pari a quasi mille miliardi di dollari.

Come insegna infine l’esperienza del capitalismo mondiale dal 1824-25 fino ad oggi, per due secoli lo scoppio periodico di crisi economiche si è rivelata una costante inevitabile all’interno del ciclo a spirale del processo di produzione capitalistico: non c’è ragione alcuna di credere che gli anni compresi tra il 2023 e il 2030 faranno eccezione a tale regola generale della formazione economico-sociale capitalistica.

Tutti i dati a disposizione all’inizio del 2023 portano dunque a concludere che il debito sovrano statunitense andrà verso il default nel giro di pochi anni, a meno di assistere a un intervento su scala gigantesca della Cina accompagnata simultaneamente da una profonda riforma (progressista e pacifista) dell’intera struttura del capitalismo americano: il “punto di ebollizione” nella grande “vasca” del mondo occidentale risulta ormai molto vicino al salto di qualità.

In caso di  (futura ma sicura) imminenza ravvicinata della bancarotta del debito federale degli USA, si apre un campo di potenzialità politico-sociale al cui interno emergono quattro diverse varianti ed alternative:

–         ipotesi di una guerra nucleare “mirata” contro Iran, Corea del Nord e (forse) Cina;

–         opzione della sconfitta e repressione massiccia delle proteste popolari con intervento massiccio di Guardia Nazionale ed esercito in terra americana, magari legittimato anche da un attentato, vero o presunto, sul suolo statunitense;

–         ipotesi rivoluzione: sollevazioni popolari gigantesche negli USA, vittoria del movimento di massa anticapitalista nel paese nordamericano;

–         “ipotesi Nantes”: compromesso planetario tra Cina (e i BRICS-plus) e gli USA.

Sempre data per certa (futura, ma sicura) l’imminenza della bancarotta del debito sovrano degli USA nel giro dei prossimi sei/sette anni, quale delle quattro variabili è più probabile che si realizzi?

Dipenderà principalmente dai rapporti di forza politico-sociali sussistenti in quella fase stessa. E visto che non siamo indovini, a questo punto si deve passare all’identikit dell’“ipotesi Nantes”, finora quasi sconosciuta e che deriva il suo nome dall’editto di Nantes del 1598, con il quale il re francese Enrico IV regolarizzò la posizione dei protestanti francesi (ugonotti) concedendo loro libertà di culto in tutto il paese, con l’eccezione di Parigi, e garantendo loro come pegno dell’accordo raggiunto alcune piazzeforti armate, tra cui La Rochelle, creando pertanto un semistato autonomo nella Francia di quel periodo.

L’“ipotesi Nantes” non è altro che uno scenario (potenziale e non-inevitabile) di compromesso planetario tra i due contraenti principali (anche se non certo unici), e cioè da un lato la frazione meno reazionaria ed aggressiva della borghesia statunitense, supportata da un’ampia fascia delle masse popolari del paese, e dall’altro la direzione del partito comunista cinese, mandatario politico dei produttori diretti del gigantesco paese asiatico.

A tale ipotesi fecero fugacemente riferimento G. Chiesa e P. Cabras quando, in un loro interessante libro, notarono che “il modello americano, per altro, mostra crepe talmente evidenti che nemmeno il Mainstream, impegnato allo stremo, con il suo straripante esercito di propagandisti, riesce a nascondere il disastro incombente. La Banca centrale europea, invece di assumere gradualmente una strategia autonoma e differente rispetto a quella di Wall Street, chiedendo con fermezza l’istituzione di nuove regole per la finanza mondiale, segue la scia di Washington, quando dovrebbe ormai essere evidente che occorre venire a patti non solo con i popoli europei, ma con la Cina, il Giappone, il Brasile, l’India. Certo che, per evitare il peggio, occorre salvare gli Stati Uniti e Gran Bretagna dalla bancarotta in cui si trovano, ma non ci sarà salvataggio possibile se non attraverso un negoziato mondiale che certifichi nuovi rapporti di forza”.[8]

Durante tutta una prima fase di durata, in caso di un suo ipotetico avvio reale, l’“ipotesi Nantes” inevitabilmente avrebbe come suoi elementi costitutivi una serie di cardini e oggetti specifici di progettualità/praxis politico-sociale, in parte condensabili nel già elaborato “piano Tobin/Stigliz/Krugman”. Esso consisteva nel:

–         salvataggio, pilotato e oggetto di una mediazione preventiva, del debito sovrano statunitense da parte dell’apparato statale cinese. Un flusso enorme di denaro pubblico si dirigerebbe da Pechino a Washington, in cambio di precise contropartite dalla sponda americana;

–         processo immediato e su vasta scala di disarmo da parte del governo statunitense, a partire dalle basi militari all’estero/guerre stellari/occupazioni USA di paesi stranieri (seconda contropartita), oltre ad atti concreti di distensione/disarmo verso il governo cinese, a partire dalle zone “calde” di Taiwan e della penisola coreana;

–         processo di risanamento su larga scala del bilancio statale degli USA, con una matrice realmente riformista e “neoroosveltiana” di sinistra. Oltre al taglio drastico delle spese militari si potrebbe avviare la riduzione delle spese per i farmaci (Stiglitz), un aumento  accelerato dell’imposizione fiscale sui ricchi e sulle multinazionali, tale da riportarli ai livelli vigenti negli USA durante gli anni 1945/1970 (sempre Stiglitz), il rientro in patria/tassazione dei circa duemila miliardi di dollari lasciati attualmente all’estero dalle multinazionali statunitensi, una super-Tobin tax (dell’1%) imposta negli USA e nel resto del mondo sulle transazioni finanziarie nel sistema banco centrico, sia “normale” che “ombra”;

–         controllo strettissimo e un processo graduale di riduzione al minimo livello della “finanza ombra”, della massa gigantesca di derivati apparsi negli USA e nel mondo occidentale dopo il 1971/80;

–         progressiva creazione di una nuova moneta internazionale di riserva/riferimento, con un “paniere” che comprenda oltre al dollaro lo yen, la sterlina, l’euro, il rublo, lo yuan cinese e la rupia indiana, avendo come base le riserve aurifere. In altri termini si torna alla vecchia proposta avanzata da Keynes a Bretton Woods, modificata per adeguarsi alla nuova situazione mondiale, oppure ancora prima “lo scenario monetario possibile, una moneta paniere basata sulle principali valute del pianeta, proposto dal politico e banchiere italiano, Luigi Luzzati, nel corso della prima guerra monetaria del secolo tra Sterlina e Dollaro, la crisi del 1907. Il 15 novembre 1907, sul viennese Neue Freie Presse, Luzzati propose “una conferenza internazionale di pace contro la lotta per l’oro” dove si auspicava, a chiare lettere, un direttorio di banche centrali sotto forma di una Commissione Monetaria Internazionale permanente, per redimere le controversie sull’oro e regole fisse di compensazione monetaria tra stati”; [9]

–         riforma del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, imponendo “solo” ai due istituti di applicare ai paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo i tassi cinesi attuali, l’assenza di ingerenze politiche nei paesi in via di sviluppo e la concentrazione di buona parte dei fondi erogati nei settori strategici delle infrastrutture, oltre che in agricoltura, sanità ed educazione;

–         moratoria decennale sulla restituzione e gli interessi pagati dai paesi più poveri alle banche occidentali e al FMI/Banca Mondiale, con limitati “danni economici” al sistema finanziario compensabili anche grazie alla Tobin-tax;

–         grazie anche alla “Tobin-tax”, un piano d’emergenza, finanziato innanzitutto da Cina e Stati Uniti, al fine di ridurre in tempi rapidissimi le morti per inedia e malattie facilmente curabili (morbillo, malaria, dissenteria, ecc.) nel Terzo mondo, iniziando dalla proposta di Stiglitz di garantire a tale area i farmaci salvavita “necessari a prezzo di costo”;[10]

–         risoluzione immediata (e più che matura) del conflitto arabo-israeliano, con il riconoscimento di uno stato palestinese ed un flusso gigantesco di aiuti economici internazionali a quest’ultimo, pari almeno a quello ottenuto finora da Tel-Aviv per mano americana, con la precisa contropartita del riconoscimento della sicurezza/frontiere/integrità dello stato ebraico da parte di tutte le nazioni ebraiche;

–         inizio della riconversione su larga scala della struttura produttiva statunitense, oltre che mondiale, verso l’“economia verde” e le fonti energetiche rinnovabili, il risparmio energetico ed il riciclo quasi totale delle materie prime, la riduzione delle emissioni di carbonio, l’auto ecologica, ecc.;

–         come suggerito sempre da Stiglitz, in un suo libro del 2006, La globalizzazione che funziona, si può iniziare a limitare sensibilmente il segreto bancario e a creare un crescente controllo sui “paradisi fiscali” (Svizzera, Cayman, Bahamas, Guerseney, ecc.) sparsi per il pianeta anche per ottenere una seria lotta alla corruzione, al traffico di droga e al crimine organizzato su scala internazionale con tutta una serie di misure “riformiste-forti” internazionali.

Come aveva notato N. Roubini ancora il 20 settembre del 2011, si potrebbe avere un cambio di modello di riferimento nel capitalismo mondiale prendendo come esempio Singapore, visto che il ricercatore USA era convinto che proprio “Singapore – che ha avuto imprese di proprietà statale e una forte regolamentazione abbinata al libero mercato – sia un’economia che possa essere al riparo dagli shock globali”.[11]

Del resto si tratta di un modello alternativo di capitalismo che, senza successo, era stato proposto nel lontano periodo compreso tra il 1945 ed il 1948 dall’ala sinistra del partito democratico e dal suo leader di allora, H. Wallace: forse i tempi diventeranno finalmente maturi?

In ogni caso le misure proposte/proponibili, quasi tutte inevitabili se (se…) si adotta su scala planetaria l’“ipotesi Nantes”, non sono certo di matrice rivoluzionaria ed espropriatrice ma invece un serio programma “riformista-forte” che potrebbe essere accettato da una parte della stessa borghesia statunitense in un caso di totale emergenza, oltre che in una certa misura già enucleato da tempo dai due sopracitati studiosi americani, J. Stiglitz e P. Krugman: anticomunisti,  certo, ma coscienti della gravità della crisi capitalistica negli USA e decisamente intenzionati a promuovere l’attuazione di un riformismo su vasta scala.

Krugman ha affermato con decisione, dalle pagine dell’anticomunista New York Times e già  nel corso del 2011, che “una parte troppo grande della ricchezza e del talento degli Stati Uniti è stata usata per escogitare e vendere complessi sistemi finanziari – sistemi che hanno la tendenza a far saltare l’intera economia. Mettere fine a questo stato di cose farà sicuramente male all’industria della finanza. E allora?”[12]

A sua volta J. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, aveva proposto sempre nel 2021 quattro semplici, ma incisivi “consigli” all’amministrazione Obama “al fine di ridurre drasticamente il debito pubblico statunitense.

1.     Abrogare immediatamente i tagli alle tasse per i più ricchi, sia quelli di Bush Junior sia quelli prorogati dall’attuale amministrazione.

2.     Fine alla guerra in Afghanistan e in Iraq “che non hanno migliorato la nostra sicurezza” e stanno costando migliaia di miliardi di dollari.

3.     Investimenti per lo stimolo all’occupazione. “Mettere le persone al lavoro può costare soldi, ma farà crescere le nostre entrate fiscali nel medio periodo” alleviando il deficit.

4.     Riforma del Medicare. Secondo la legge attuale le grandi case farmaceutiche fissano i propri prezzi, eliminare questa disposizione consentirebbe al governo di negoziare con Big Pharma da una posizione di forza risparmiando 1000 miliardi in dieci anni con i nuovi contratti”.[13]

Fin dal lontano 1972, inoltre, James Tobin (altro economista premio Nobel, statunitense e anticomunista) aveva già proposto una tassa che avrebbe dovuto colpire, seppur in maniera assai contenuta, tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine e contemporaneamente procurando un flusso di entrate da destinare alla comunità internazionale.

L’aliquota proposta era bassa, tra lo 0,05 e l’1%, ma con un tasso dello 0,1% la tassa Tobin garantirebbe già  ora ogni anno all’incirca 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale necessaria ad oggi per sradicare in tutto il mondo la povertà estrema, e ad un livello dell’1% potrebbe fare acquisire alle casse statunitensi più di mille miliardi di dollari all’anno: in buona parte utilizzabili dalle (attualmente disastrate) finanze statunitensi, almeno fino al termine del periodo di transizione necessario per ridurre al minimo grado possibile il sistema dei derivati e della finanza-ombra. In altri termini, il “virus” stesso (in via di scomparsa) aiuterebbe per una sorta di contrappasso a curare, almeno per alcuni anni, la “malattia” da esso provocata al sistema capitalistico occidentale.

A sua volta un caso eventuale di un successo parziale della prima fase dell’“ipotesi Nantes” aprirebbe il campo a un secondo periodo di sviluppo dell’opzione planetaria in via d’esame, con obiettivi assai più ambiziosi quali:

–         lo sradicamento totale delle ignobili morti per inedia, mancanza di acqua potabile e malattie facilmente curabili, e cioè la moderna Auschwitz che affligge la nostra specie;

–         l’eliminazione quasi totale delle armi atomiche nel nostro pianeta, e quella completa delle altre armi di sterminio di massa, chimiche e batteriologiche, dell’“incubo Hiroshima” che affligge dal 1945 la nostra specie;

–         la sempre più forte riduzione dell’effetto serra e del grado d’inquinamento del nostro pianeta, dell’“infarto ecologico” che dal 1945/60 affligge la nostra specie.

Tre obiettivi assolutamente riformisti ed in buona parte compatibili con lo stesso processo di riproduzione/accumulazione capitalistico: ma che allo stesso tempo risultano purtroppo ancora nel 2023 quasi inconcepibili, fantascientifici ed utopici, mentre invece potrebbero essere realizzati affrontando un grado serio, ma assolutamente superabile di difficoltà tecnico-finanziarie, una volta risolta la (decisiva ed ipercomplicata…) questione politica, della volontà/progettualità politica; tre obiettivi allo stesso tempo minimalistici e giganteschi, la cui realizzazione concreta permetterebbe di evitare al genere umano il pericolo concreto e sempre crescente della sua autodistruzione, oltre a restituire almeno una riproduzione materiale di base, dignità e speranza a miliardi di “dannati della terra” (Frantz Fanon).

Per avvicinarsi a risolvere via via tali giganteschi problemi serve come minimo un “riformismo forte”: non soft, è bene chiarirlo subito, né tanto meno il “controriformismo” e il liberismo mascherato che è stato adottato, quasi senza eccezioni, dalle socialdemocrazie europee e dal partito democratico statunitense tra il 1978 ed il 2023.

Gli attori e i protagonisti in positivo dell’“ipotesi Nantes” costituiscono il secondo “scatto” dell’identikit in via d’elaborazione premettendo subito che non si tratterà certo di un matrimonio d’amore, ma, viceversa, di un patto di medio periodo stipulato tra soggetti politici a volte potenzialmente conflittuali, e in precedenza avversari.

Tra gli attori emergono innanzitutto la Cina ed il partito comunista cinese, proprio perché si tratta, come ha notato lo studioso anticomunista G. Chiesa, dell’unico centro nevralgico economico-finanziario del pianeta che “appare al riparo (relativo) rispetto alla tempesta che si sta rovesciando sull’America e sull’intero Occidente”.

Infatti “la Banca centrale cinese non è indipendente dal governo cinese; lo yuan ha un corso “politico” chiaramente programmato a Pechino e svincolato dalle logiche di Wall Street. I cinesi che comandano sono marxisti e sanno che la roulette della finanza è un trucco, dove il mercato non c’entra niente. Le decisioni essenziali sono squisitamente politiche. Per questo non si sono fatti assorbire, o integrare, nel mercato globale. E perché dovrebbero?

Nei prossimi cinquant’anni – questa è la dimensione del loro tempo, mica come da noi dove il tempo si misura a trimestri – loro saranno il mercato di se stessi, mentre l’Occidente andrà in malora. Ai trucchi di Wall Street, controllati da Wall Street, preferiscono i propri. Avete mai visto una delle famose “agenzie di rating” dare un giudizio perentorio sulla borsa di Shanghai? Da noi quando Moody’s o Standard&Poors, aprono bocca, tremano le borse, crollano le quotazioni. Dovrebbero ridere tutti, se ricordassero che queste “agenzie” sono i croupiers truffaldini della roulette, gli artisti dell’insider trading i maggiordomi delle grandi banche d’investimento, i funzionari a pagamento della Grande Bisca di Wall Street. Eppure il panico si diffonde – fa parte del gioco – perché tutti devono rimanere all’interno della convenzione. Se cerchi di uscirne, sarai fatto a pezzi.

Pechino ha deciso, molto semplicemente, di non entrarci. È entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio, partecipa al gioco, ma come un visitatore pieno di soldi. La sua banca sta fuori, da un’altra parte. Usa i vantaggi di partecipare al gioco della roulette, ma non scommette che gli spiccioli. Ecco perché i giudizi delle agenzie di rating non interessano un bel niente a Pechino, se non per le ripercussioni che hanno sugli investimenti cinesi in occidente, o nel regno del dollaro. E infatti la Borsa di Shanghai si fa i fatti suoi”.[14]

Si tratta di un attore politico marxista, certo, ma che non desidera sicuramente catastrofi/guerre su vasta scala nel nostro pianeta e che, a determinate condizioni e senza voler imporre assurdi e controproducenti egemonismi in salsa han, potrebbe intervenire in soccorso degli Stati Uniti se essi virassero finalmente verso un modello realmente riformista, seppur ed ancorato a una scelta di campo capitalista. Pechino ha sia l’autorità, che la volontà politica ed i mezzi materiali per giocare un ruolo di primo piano all’interno dell’“ipotesi Nantes”: anche (ma non solo) al fine di evitare il caos planetario che deriverebbe da un default americano che prima o poi coinvolgerebbe anche la Cina, non tanto sul piano economico ma soprattutto sotto l’aspetto militar-nucleare, a dispetto della volontà/praxis del suo nucleo dirigente comunista.

Il secondo protagonista non potrebbe che diventare il partito democratico statunitense con i suoi variegati mandanti sociali, se (grosso se) esso svoltasse realmente a sinistra.

Ma è realistica una sua svolta a sinistra di tale portata, anche se “solo” riformista, del partito democratico, con a capo un Bernie Sanders o un suo più giovane emulo?

Ancora una volta, lo decideranno i rapporti di forza del momento…

Un altro attore positivo, nel caso di una svolta progressista a vasto raggio del partito democratico, dovrebbe risultare la Russia di Putin.

Aveva torto G. Chiesa quando aveva erroneamente previsto, nell’estate del 2011, che l’ipotesi per il futuro prossimo più probabile “è la Russia – lasciata a se stessa, in preda alle proprie debolezze – finisca per schierarsi con l’Occidente, contro la Cina. Più che per l’atavica paura russa del vicino gigante orientale, ciò avverrà per il groviglio d’interessi che la lega allo sviluppo capitalistico consumista che sta andando in rovina. Stiamo perciò assistendo allo strano spettacolo di un facoltoso gigolò che si affretta a comprare il biglietto per salire sul Titanic”.[15]

Riteniamo invece che Putin si sia dimostrato nell’ultimo decennio un uomo politico troppo abile e con una trama di rapporti strategici già così ben consolidati con Pechino da non poter cadere in una simile trappola, in un tale suicidio: il nucleo dirigente putiniano vedrebbe sicuramente con favore l’“ipotesi Nantes”, se Mosca ed il mondo dovranno assistere all’imminenza della bancarotta statunitense.

Per quanto riguarda l’Europa di Maastricht ed il suo asse centrale, la Germania, già da tempo la borghesia tedesca ha manifestato cauti segnali d’interesse per un asse strategico tra Berlino, Mosca e Pechino, anche con la visita a Pechino del nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz in Cina, nel novembre del 2022.

La (probabilissima) necessità di ricorrere all’aiuto finanziario cinese per sostenere i numerosi paesi pericolanti dell’area euro costituisce un secondo fattore da considerare, anche per bloccare il chiaro disegno espresso da Washington dal 2010 e finalizzato, come aveva già allora notato lucidamente G. Chiesa, a demolire la sovranità europea “attraverso l’erosione sistematica delle sovranità dei singoli paesi più deboli. Le convulsioni greche sono già state seguite da quelle irlandesi, e portoghesi. Seguiranno Spagna e Italia, in un gioco di domino che vedrà estendersi non solo il controllo della finanza mondiale sui singoli stati, ma la trasformazione dell’euro in moneta ancillare al diretto servizio del debito americano”.[16]

La Germania ha molto da guadagnare, e soprattutto moltissimo da evitare di perdere dall’avverarsi dell’“ipotesi Nantes”, anche perché potrebbe svolgere un ruolo di utile mediatore nella complessa ed intricata partita planetaria che si potrebbe aprire nei prossimi due anni, a determinate condizioni.

Per quanto riguarda inoltre paesi importanti ed emergenti come India e Indonesia, Turchia e Sudafrica, Egitto e Nigeria, Brasile e Argentina, oltre a poter impedire il caos tremendo che altrimenti esploderebbe in giro per quasi tutto il pianeta, con il derivato pericolo per il loro stesso processo di sviluppo, l’“ipotesi Nantes” consentirebbe loro di partecipare al processo di ridefinizione degli equilibri planetari e di innalzare in modo sensibile il loro status complessivo all’interno dell’arena internazionale, acquisendo allo stesso tempo l’avvio dell’ormai indispensabile processo di riequilibrio degli attuali (asimmetrici e vergognosi) rapporti di scambio tra Nord e Sud del pianeta.

Un eccellente argomento anche per i leader e le masse popolari della grande maggioranza delle nazioni del cosiddetto Terzo Mondo. Anche estrapolando dagli stati socialisti (Cuba, Vietnam, Laos, Corea del Nord), da quelli che hanno avviato un lento processo di transizione verso il socialismo (Venezuela e Bolivia) e dai paesi collocati su posizioni decisamente antimperialiste (Iran e Siria), i paesi in via di sviluppo già ora hanno apprezzato i vantaggi derivanti dal trattamento cooperativo adottato nei loro confronti dalla Cina il (“Beijing consensus”), specie se confrontato con la pratica politico-economica esercitata finora contro di essi dall’imperialismo occidentale (il “Washington consensus”).

Va infine sottolineato come gran parte della sinistra occidentale, sia di matrice socialdemocratica (anche se ormai estremamente logorata) che comunista, adotterebbero un atteggiamento di regola favorevole nei confronti dell’“ipotesi Nantes” con l’eccezione quasi totale dell’area d’estrema sinistra, nelle sue quasi infinite ramificazioni, divisioni e scissioni.

Sommando i paesi emergenti (India, ecc.) del sud del pianeta, la netta maggioranza delle nazioni povere e della sinistra occidentale con gli stati socialisti e sulla via del socialismo, non si può che concludere che l’opinione pubblica mondiale si colloca già ora potenzialmente a sostegno di un avanzato e dinamico “compromesso storico planetario” in grado almeno di evitare il caos mondiale e di iniziare almeno ad affrontare, con un minimo di concretezza, i “tre flagelli” combinati che affliggono il genere umano dall’estate del 1945: e cioè l’incubo nucleare, l’orrore permanente dello sterminio per fame/malattie curabili nel Terzo Mondo e l’infarto ecologico incombente sul nostro pianeta.

Un processo di costruzione dell’identikit di un’opzione passa tuttavia anche attraverso l’identificazione preventiva dei suoi nemici, dei “protagonisti in negativo” di una lotta che assumerà proporzioni planetarie e probabilmente di notevole intensità.

La potente ala reazionaria ed aggressiva del capitalismo statunitense, a partire dal suo complesso militar-industriale, riuscirebbe facilmente a creare una rete mondiale di lotta contro l’“ipotesi Nantes”, con i segmenti a lei affini delle borghesie occidentali e giapponesi, unendo a se i settori più reazionari degli apparati statali della rete imperialistica (oltre che ovviamente l’estrema destra e le forze razziste) e preparando, anche nel migliore dei casi, movimenti di massa più o meno estesi che denuncino la (presunta) “resa al comunismo” oltre che molto probabilmente anche atti di terrorismo su vasta scala, purtroppo facilmente prevedibili.

Seppur su un fronte ideologico e di classe opposto, anche una netta maggioranza dell’estrema sinistra occidentale purtroppo si schiererebbe con tutta probabilità contro l’“ipotesi Nantes” e ne denuncerebbe (specularmente alla destra statunitense ed europea) il carattere controrivoluzionario ed orwelliano, il suo segno di resa al “capitalismo di stato” cinese e dei BRICS, e via condannando e maledicendo.

È del resto abbastanza noto che buona parte dell’estrema sinistra, occidentale e sudamericana, si è già schierata decisamente contro il processo antimperialista e (timidamente) anticapitalistica avviato da Chavez e Maduro in Venezuela fin dal 1999, anche se i “superivoluzionari” partirono da posizioni politico-sociali a prima vista opposte a quelle della destra e della borghesia venezuelana: si tratta di un “paradigma di rifiuto” preventivo di ogni compromesso che si riproporrebbe sicuramente di fronte al potenziale scenario planetario, più arretrato di quello venezuelano dal punto di vista socioeconomico e politico, incarnato dall’“ipotesi Nantes”.

Nell’opzione in via d’esame emergerebbe sicuramente anche una “zona grigia” di forze incerte, oscillanti ed indecise, anche in presenza di una grande mobilitazione di massa a suo favore.

A tale settore di frontiera apparterrebbero quasi sicuramente:

–         la rete sionista statunitense e mondiale, anche di fronte a precise e solide garanzie di sicurezza (e finanziamenti economici su vasta scala) a favore di Israele;

–         il Vaticano. L’alta gerarchia cattolica ha via via intessuto a partire dall’inizio del Novecento, e particolarmente con l’abile finanziere B. Nogara, e la fondazione dello IOR, una fitta rete d’interconnessione economica e politica con i grandi monopoli e le multinazionali capitalistiche di quasi tutto il mondo, oltre a rimanere uno dei principali proprietari di beni immobili, terreni e case all’interno dell’Europa. La partita è indecisa, tuttavia, viste le posizioni pubbliche del Vaticano e di papa Bergoglio a favore della pace e dei poveri del Terzo Mondo, almeno a livello verbale, la necessità di tener conto dei referenti sociali della chiesa cattolica (in gran parte lavoratori, nel Sud del pianeta), la presenza di una parte del clero ancora su posizioni riformiste (come quelle della forte Teologia della liberazione sudamericana) e soprattutto la paura del caos insita nella psicologia collettiva delle alte sfere ecclesiastiche di Roma, fattori che forse potrebbero determinare il via libera della chiesa cattolica al processo di formazione dell’“ipotesi Nantes”, sempre con precise garanzie per il Vaticano e a patto che si sviluppi realmente un movimento di massa progressista, diretto almeno contro lo strapotere della finanza mondiale e i “tre flagelli”.

Il processo di costruzione di un identikit richiede anche, se non soprattutto, la focalizzazione dei mezzi materiali disponibili a sorreggere l’opzione in via d’esposizione.

A supporto dell’“ipotesi Nantes” potrebbero essere mobilitati ed utilizzati, per il solo soccorso/ristrutturazione del bilancio/economia statunitense:

–            circa duecento miliardi di dollari all’anno (per triennio) provenienti dalle casse dello stato cinese;

–         almeno trecento miliardi di dollari all’anno di entrate create da una tassazione abbastanza rigorosa, ma non certo draconiana, dei ceti ricchi e dei profitti delle multinazionali statunitensi;

–         almeno cento miliardi di dollari all’anno ottenuti grazie ai risparmi ottenibili, con relativa facilità, dalla riforma della spesa dei farmaci negli USA (Stiglitz);

–         almeno duecento miliardi di dollari all’anno provenienti dalla fine delle occupazioni americane di Siria e Iraq, (sempre Stiglitz), dalla riduzione progressiva delle basi USA e Nato all’estero e dalla fine di costosi programmi quali le Guerre Stellari e i nuovi prototipi di armi non-nucleari;

–         almeno cento miliardi di dollari all’anno (per circa un triennio) derivanti da un livello di tassazione più che modesto (il 25%) sul rientro progressivo della massa enorme di capitali lasciati volutamente all’estero dalle multinazionali statunitensi, equivalenti ad una somma uguale a circa duemila miliardi di dollari;

–         circa cento miliardi di dollari all’anno, per almeno un quinquennio, derivanti da una Tobin tax relativamente moderata sulle future transazioni finanziarie.

Tirando le somme, dai (potenziali) flussi finanziari in entrata e dai tagli mirati alla spesa verrebbe formato un “tesorone” annuo pari a circa 1.000 miliardi di dollari: una “sorgente” capace in altri termini di erogare almeno 1.000 miliardi annui per almeno un triennio, destinabili sia al lungo processo di risanamento del deficit USA sia al rilancio dell’“economia verde” del paese e del suo settore scientifico-tecnologico non destinato agli utilizzi bellici, alla riconversione progressiva del complesso militar-industriale, ecc.

Un flusso di risorse enorme e per un periodo relativamente prolungato, che eviterebbe il default e allo stesso tempo avrebbe le basi per un rilancio dell’apparato produttivo civile degli USA: con tagli finanziari assai pesanti ma non devastanti, visti gli stratosferici livelli di profitto accumulati in precedenza, perfino per il complesso militar-industriale, per la finanza USA, “Big Pharma” i super ricchi statunitensi.

Per quanto riguarda la matrice ideologica dell’“ipotesi Nantes”, essa risulta di carattere umanista oltre a ricollegarsi strettamente alla corrente più avanzata del pensiero occidentale non-comunista: e cioè a quel diffuso e radicato populismo di sinistra che, partendo da Jean Jacques Rosseau, ha interessato via via in forme diverse la progettualità/praxis di uomini politici quali T. Jefferson, Lincoln, Garibaldi, Herzen, F. D. Roosevelt e J. F. Kennedy/Ted Kennedy.

Seppur senza mettere in discussione la proprietà privata e l’intero processo di accumulazione capitalistica, tale corrente politico-culturale ha sempre espresso l’esigenza di porre in primo piano anche i bisogni materiali e culturali dei lavoratori e delle masse popolari, oltre ad avere come proprio imperativo categorico l’obiettivo dell’eliminazione della guerra e della fame dalla faccia della terra.

Ad esempio F. D. Roosevelt, seppur legato ad una ferrea scelta di campo filo capitalistica, espresse in modo sintetico l’essenza più profonda del populismo di sinistra all’interno del mondo occidentale quando, in un suo celebre discorso tenuto al Congresso degli Usa l’8 dicembre del 1941 e subito dopo l’attacco giapponese contro Pearl Harbor, enunciò la “dottrina delle quattro libertà”. Secondo tale prospettiva, lo scopo principale dell’azione politica degli Stati Uniti doveva tendere a promuovere e difendere, sia sul piano interno che internazionale, non solo la libertà di espressione e la libertà di culto, ma anche la libertà dal bisogno (= dalla fame, dalla disoccupazione, dall’assenza di tutela sociale)  e la libertà dalla paura (= dal timore del nazismo e dalla guerra, dalla ripetizione di nuove disastrose depressioni come quella degli anni Trenta, ecc.).

Certo, diventa relativamente facile per i marxisti far notare gravi debolezze del populismo di sinistra quali il mancato collegamento tra disoccupazione/guerra/miseria e dinamica di sviluppo capitalistico, oltre all’evidente asimmetria tra discorsi/enunciazioni di principio e praxis politico-sociale concreta, a partire da quella espressa dal nucleo politico diretto da F. D. Roosevelt.

Ma in questa  sede risulta molto più importante sottolineare l’antagonismo potenziale che sussiste tra il populismo di sinistra, anche se non collegato a una scelta anticapitalistica, ed il “turbocapitalismo” finanziario (Luttwak) e di Wall Street che si è via via affermato, dopo il 1971/80 e fino ai nostri giorni, su scala mondiale; e soprattutto notare, con realismo, come tale populismo di sinistra costituisca l’orizzonte più avanzato, nel breve periodo insuperabile, dei lavoratori e delle masse popolari che si orientano attualmente verso posizioni progressiste all’interno del mondo occidentale e soprattutto degli Stati Uniti, salvo una minoranza di operai già collocati su  posizioni apertamente anticapitalistiche (minoranza assai ristretta, in terra americana).

All’“ipotesi Nantes” possono essere mosse una serie di obiezioni, legittime e parzialmente giustificate innanzitutto dal fatto che essa non risulta certamente una panacea per tutti i mali mondiali e neanche una via facile, senza lotta e resistenze, verso “il paradiso in terra”.

Essa è semplicemente la migliore delle opzioni realistiche sul campo in caso d’imminente default del debito sovrano degli USA: ma non certo la migliore che si potrebbe immaginare o sperare specialmente da parte dei comunisti, nell’ipotetica presenza di un altro tipo di classe operaia (per livello di coscienza politica, per forza organizzativa e capacità di lotta) negli USA e in gran parte del mondo occidentale, in assenza (ipotetica) dell’enorme massa di armi di sterminio fino ad ora accumulate nel nostro pianeta, in assenza (ipotetica) dell’effetto domino e del caos planetario che provocherebbe una bancarotta USA, ecc.

Prima possibile critica: “A dispetto delle vostre analisi, la borghesia statunitense non potrà mai accettare la cosiddetta “ipotesi Nantes” per motivi strutturali e di classe: siamo solo nel campo delle vuote utopie e dei pii desideri”.

Senza la Cina attuale e la sua forza economico-finanziaria, la critica sarebbe giustificata: ma la Cina attuale, e la sua attuale forza economico-finanziaria, sono tutto tranne che una “vuota utopia”…

Senza l’imminente default del debito sovrano, inoltre, la grande maggioranza politica della borghesia statunitense non prenderebbe neanche per un istante in considerazione l’opzione in via d’analisi: ma il fatto e presupposto indispensabile (da verificare nella pratica…) di questo capitolo risulta proprio l’inevitabilità ed imminenza di tale bancarotta, che a nostro (magari errato, sbagliato, scorretto) parere è tutto eccetto che una “vuota utopia”.

Dato per ammesso tale presupposto, anche solo per un istante e per amor di discussione, l’élite economica e politica si troverebbe di fronte “solo” a quattro possibili scenari e varianti principali, che sono state descritte a lungo in precedenza.

Ora, è proprio una “vuota utopia” pensare che la borghesia statunitense sia cosciente dei terrificanti costi/pericoli, delle tremende conseguenze che porterebbe persino l’ipotesi di una sua “vittoria” militar-nucleare contro Iran, Corea del Nord e Cina? O di quelle, meno gravi a livello planetario ma sempre terrificanti, derivanti dalla guerra civile strisciante sul suolo statunitense?

Non è invece “vuota utopia”, pensare che la maggioranza dell’élite economica degli USA, di fronte all’imminenza di un default, scelga il male (nettamente) minore dell’“ipotesi Nantes” e la regola del “se non puoi batterli unisciti a loro”. Solo una possibilità, certo, ma non un’ipotesi fantapolitica.

Seconda possibile obiezione. “Ma quali garanzie concrete potrebbe ottenere, la borghesia statunitense, sulla tenuta della sua riproduzione come classe egemone negli Stati Uniti?”

Di fronte a (improbabili) minacce esterne, come ad esempio un (impossibile) invasione militare da parte dei “cattivi comunisti cinesi”, resterebbero “solo” centinaia di vettori e testate atomiche in mano alle forze armate degli Stati Uniti, anche molti anni dopo aver avviato il (relativamente) lungo processo di disarmo globale rispetto alle armi di sterminio.

Possibilità, non certezze; opzioni possibili non risultati scritti in modo inevitabile e deterministico nei libri mastri della Storia, ma opinioni possibili.

 

ALLEGATO

Breve estratto da “Stati Uniti: la spesa per interessi fa esplodere il debito”.

 

Sul sito L’AntiDiplomatico del 18 novembre 2023 è apparso un eccellente articolo elaborato da Giacomo Gabellini, di cui forniamo un rapido sunto e relativo allo stato disastroso – attuale e futuro – del debito pubblico statunitense.

«Già alla fine del terzo trimestre del 2023, si registrava un incremento della massa debitoria pari a un trilione nell’arco di poco più di tre mesi, e ad oltre 100 miliardi di dollari in appena cinque giorni. La situazione è tuttavia precipitata all’inizio della prima settimana di ottobre, quando si è assistito a un incremento del debito per un controvalore di 275 miliardi di dollari in appena un giorno.L’impatto complessivo è stato quantificato dal Dipartimento del Tesoro, secondo cui i costi degli interessi netti hanno raggiunto i 659 miliardi di dollari (2,5% del Pil) nell’anno fiscale 2023, con un aumento di 184 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente e di 314 rispetto al 2020 (1,6% del Pil). Il servizio degli interessi sul debito rappresenta attualmente la quarta voce di spesa del governo federale, dietro a previdenza sociale, Medicare e difesa, e davanti a Medicaid, servizi per la nutrizione, servizi per disabili, educazione primaria, trasporti, ecc.

Di conseguenza, il suo contributo risulta assolutamente determinante ad alimentare il deficit federale, che nell’anno fiscale 2023 ha raggiunto quota 1.695 miliardi di dollari, con un aumento del 23% rispetto al 2022. Il Dipartimento del Tesoro ha riconosciuto che si tratta del disavanzo più imponente da quello, pari a 2,78 trilioni di dollari, registrato nel 2021, in piena crisi pandemica da Covid-19.

Per sostenere i loro colossali deficit, «gli Stati Uniti – ha dichiarato Ken Griffin, fondatore e amministratore delegato della società di investimenti Citadel – stanno spendendo come un marinaio ubriaco». Un giudizio lapidario, ma sostanzialmente condiviso da Moody’s che all’indomani della deludente asta del 9 novembre ha rivisto l’outlook del debito statunitense, declassandolo da “stabile” a “negativo”. Nella nota diramata dall’agenzia di rating si legge che: «in un contesto caratterizzato da tassi di interesse elevati, assenza di misure di politica fiscale efficaci in un’ottica di riduzione della spesa pubblica o di incremento delle entrate, Moody’s prevede che i deficit fiscali degli Stati Uniti rimarranno molto ampi, indebolendo significativamente la sostenibilità del debito […]. La persistente polarizzazione politica all’interno del Congresso incrementa il rischio che i futuri governi non siano in grado di costruire consenso in merito a un programma fiscale mirato a rallentare il declino della capacità di sostentamento del debito».[17]

 

[1] K. Jaspers e R. Cantoni, “La bomba atomica e il destino dell’uomo”, p. 18 ed. Il Saggiatore; “Mutual Deterrence speech by Sec. of Defense Robert McNamara, 18 settembre 1967, in atomich.archive.com

[2] “Liz Truss già parla da premier: pronta all’uso dell’atomica”, 25 agosto 2022, in ilfattoquotidiano.it

[3] A. Marescotti, “Che cosa ha detto esattamente Zelensky sull’attacco preventivo della Nato alla Russia”, 11 settembre 2022, in peacelink.it

[4] D. Bandow, “US war hawks frustrated that nukes deter: but Washington’s most important duty is to protect America”, 18 aprile 2022, in cato.org

[5] E. Berch, “Posadism: the rise and fall of apocalypse communism”, 18 agosto 2020, in thenation.it

[6] M. Moretta, “Gli USA a rischio default: il problema del debito americano”, 8 febbraio 2022, in orizzontipolitici.it

[7] P. Zanetti, “Gli Stati continuano a fare debito come se non ci fosse un domani, soprattutto per le nuove generazioni”, 13 maggio 2022, in thevision.com

[8] G. Chiesa e P. Cabras, “Barack Obush”, p. 185, ed. Ponte alle Grazie,

[9] G. Bellini, “Note sulla situazione attuale”, settembre 2011

[10] J. E. Stiglitz, “La globalizzazione che funziona”, p. 133, ed. Einaudi

[11] “Roubini e Soros: negli USA sono possibili rivolte e una nuova recessione”, 28 settembre 2011, op. cit.

[12] “Doppio gioco di Goldman Sachs”, op. cit.

[13] “USA. I quatto consigli…”, op. cit.

[14] G. Chiesa e P. Cabras, op. cit., pp. 176-177

[15] Op. cit., p. 182

[16] Op. cit., p. 182

[17] G. Gabellini “Stati Uniti: la spesa per interessi fa esplodere il debito” in L’AntiDiplomatico

1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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