COME LOTTARE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE?

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COME LOTTARE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE?

 

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COME LOTTARE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE?

della Commissione Donne della Federazione Esteri del Partito Comunista

 

Nella giornata dell’eliminazione della violenza contro le donne, la commissione Donne invita i comunisti della Federazione Estero alla riflessione: occorre considerare la violenza contro le donne (e non solo contro le donne) come una questione collettiva che riguarda ognuno di noi, poiché è una barbarie alimentata dai capitalisti neoliberisti – che non fanno altro che contare i lividi e i femminicidi – e anche dalle borghesi dello stesso ceppo che non fanno che rivendicare l’uguaglianza con questi capitalisti neoliberisti.

 

I. MARXISMO? FEMMINISMO?

 

Il marxismo ha prodotto sconvolgimenti storici dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in poi che hanno cambiato la vita di miliardi di esseri umani, uomini e donne, mentre il femminismo finora ha prodotto esclusivamente campagne di opinione che riguardano solo Stati Uniti ed Europa e solo una parte appartenente alle classi medie o elevate della popolazione femminile. Ha contribuito a cambiare non i rapporti di forza fra sfruttatori e sfruttati (che nei decenni del boom femminista sono drasticamente peggiorati a danno degli sfruttati, anche se di questo comunque non è responsabile il femminismo) bensì la retorica del discorso politico dominante: ha ingoiato per poi digerire una certa ideologia femminista dando spazio a certe donne purché si comportassero da brave borghesi.Ed al marxismo aggiungiamo il leninismo attraverso due donne importanti come Aleksandra Kollontaj, prima donna ad essere alla testa di un ministero, ad essere ambasciatrice, per la quale la dittatura del proletariato non poteva essere attuata se non con la partecipazione delle lavoratrici e Nadezda Krupskaja, che pone le basi del sistema educativo che mira all’alfabetizzazione del popolo russo, all’organizzazione di un sistema dalle elementari alle superiori con scuole gratuite aperte a tutti, nelle quali si diffonde l’abitudine di risolvere insieme, con sforzi comuni, i problemi a cui sono confrontati gli alunni.

 

II. LA VIOLENZA

 

La violenza che permane dalla preistoria comporta varie definizioni: la forza impetuosa e incontrollata, un’azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà e un continuativo maltrattamento, una minaccia, una persecuzione di comportamento. Le società sono cambiate però permangono le gravidanze incessanti, il ratto, le sevizie, le percosse, le torture, gli stupri, la chiusura, gli sfregi, le mutilazioni, i femminicidi.La Convenzione di Istanbul organizzata dal Consiglio d’Europa, entrata in vigore il 1° ottobre 2023, definisce la violenza contro le donne come ricadente in quattro forme chiave: fisica, sessuale, psicologica ed economica.

Detto questo, la violenza non deve essere il destino di nessuno. Però, dato che esiste e può essere istituzionalizzata, può anche essere quasi d’istinto usarla come reazione a quell’azione.

Farò un primo esempio tra le attività partigiane del passato: quella dell’attacco di via Rasella a Roma il 23 marzo 1944 alla cui organizzazione ha partecipato la compagna Carla Capponi: tipico atto di resistenza contro le forze di occupazione nazista. Morirono 33 soldati nazisti con lo scoppio di una bomba, le rappresaglie organizzate da Kappler assistito dai nazisti Priebke e Hass e dal fascista Caruso furono terribili: 335 italiani morirono, furono assassinati metodicamente con una pallottola in testa nelle Fosse Ardeatine. Bisognava non attaccare le forze di occupazione? Nonostante il dilemma etico posto dalla questione, che dovrebbe far riflettere sulla necessità di prevenire diplomaticamente le guerre, rispondere positivamente avrebbe significato la smobilitazione e disorganizzazione della Resistenza partigiana.

Un altro esempio: in Francia durante la Seconda guerra mondiale, gli statunitensi sbarcano in Normandia nel mese di giugno 1944: vengono considerati i liberatori. Solo che gli storici hanno evidenziato al minimo 3.600 stupri tra giugno ’44 e giugno ’45 (cioè 10 al giorno!) anche se le donne non osavano sporgere denuncia. Qualche sindaco ha comunque deciso di denunciare gli oltraggi. L’esercito statunitense ha deciso a sua volta di condannare a morte certi soldati (una sessantina secondo la giustizia americana, 111 secondo lo storico francese di origini africane Léo Pitte). Una storica ha scoperto negli archivi che, per arruolare i soldati per l’Europa, non si era affatto insistito su una battaglia per la libertà bensì su “un’avventura erotica in un paese popolato di donne insaziabili”. Per difendere le mogli o le figlie da queste orde mandate dal comando in cerca delle loro ‘medaglie di carne bianca’, certi uomini sono morti sotto i colpi o con una pallottola. Era proprio un regime di terrore da parte non di liberatori bensì di conquistatori. Per tornare ai soldati statunitensi, quasi sempre ubriachi e armati, quasi tutti i condannati a morte erano neri; qualche bianco è stato condannato all’ergastolo. Le donne che avevano denunciato erano state istigate ad accusare solo i neri. Più del 40% delle denunce era infondato.

Ogni 6 giugno si festeggia lo sbarco in Normandia ma non si spende una parola né sullo stupro delle normanne né su quello che subivano i neri nell’esercito segregazionista e razzista degli Stati Uniti d’America.

 

III. ESEMPI DI DONNE IN LOTTA CONTRO LA VIOLENZA

 

Due esempi individuali di donne in lotta contro uno stupratore.Artemisia Gentileschi (1593-1656): fu abusata, umiliata e torturata durante il processo contro il suo stupratore che durò 9 mesi da marzo a novembre 1612. Il suo stupratore era un amico di suo padre, Orazio Gentileschi, che l’ha stuprata nel 1611 nella bottega invece di insegnarle la prospettiva. Eppure è riuscita a diventare una delle rare pittrici del XVII secolo, è riuscita a rovesciare il suo destino che voleva che si sposasse con lui, diventando l’artista che voleva essere. Suo padre la aiutò durante il processo. Tra le opere significative il quadro che si intitola Susanna e i vecchioni, un tema religioso che dipinse più volte. È un tema biblico che narra la storia di una giovane moglie che non cedette al ricatto dei due vecchioni che chiedevano favori sessuali per non rivelare un suo presunto tradimento del marito con un giovane. In uno dei quadri, probabilmente retrodatato, Susanna ha le sembianze di Artemisia Gentileschi e un vecchione ha quelle dello stupratore, Agostino Tassi e l’altro quelle del padre. Secondo una lettera, pare che gli rimproverasse anche la sua onnipresenza.

Franca Viola, nata nel 1947: è la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore con un erede mafioso che aveva lasciato. Il 26 dicembre 1965, lui decide di rapirla, violentarla, lasciarla a digiuno, rinchiuderla. Dopo 8 giorni, contatta i genitori che fingono di accettare le nozze riparatrici. Invece, la diciottenne viene liberata dalla polizia. Per legge, avrebbe dovuto sposarlo se no era solo una ‘svergognata’. Durante il processo, la difesa tenta di screditarla affermando che era fuggita di casa in modo consenziente. Il colpevole è condannato a 11 anni di carcere, ridotti a 10 in appello. Uscito dal carcere, si sposa con una ragazza conosciuta per corrispondenza. Muore ucciso da due colpi di lupara. Per quanto riguarda la legge, solo nel 1996, lo stupro sarà riconosciuto in Italia come un reato contro la persona invece di un oltraggio alla morale. Franca Viola si sposa con un amico d’infanzia, Giuseppe Ruisi, che non ha paura di eventuali rappresaglie da parte del mafioso. La sua storia segna una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne in Italia.

 

IV. L’ORGANIZZAZIONE COLLETTIVA

 

Un esempio di resistenza collettiva contro una dittatura e violenze di ogni tipo viene dalle indiane del Guatemala che negli anni’80 lottano contro la dittatura sanguinaria di Efrain Rios Montt (1926-2018) durata due anni nel 1982-83 e applaudita dall’amministrazione Reagan per i progressi dei diritti (!!) e poi contro i progetti delle miniere. 440 paesini sono rasi al suolo, 10.000 indiani sono massacrati, alcuni gettati dall’elicottero nell’oceano Pacifico, 200.000 vittime di una guerra civile. Il 93% dei crimini sono stati fatti dallo Stato. Eppure nel 1985 Rios Montt viene decorato dal Pentagono. Nel 1999, il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchù insieme ad altri militanti sporge denuncia presso la giustizia spagnola contro Rios Montt ed altri per genocidio, terrorismo e tortura, però il Guatemala rifiuta di estradarlo. Nel 2012 lui nega le accuse perché non poteva essere sul campo di battaglia (come se non avesse potuto dare lui gli ordini!). Poi i suoi avvocati fanno applicare la legge di riconciliazione nazionale. Ci saranno altri tentativi tutti falliti. Muore nel 2018 a casa sua  durante un nuovo processo per genocidio. La colonizzazione interna permanente nel XX secolo delle ricche terre del Nord del Guatemala è stata contrastata dalla forza e dall’originalità dei movimenti delle donne come Actoras de cambio, ad esempio. Durante il genocidio del 1982-83 le indiane hanno subito stupri e altre violenze sessuali di massa, eppure sono state capaci di testimoniare durante il processo della dittatura e hanno senza tregua creato procedimenti eccezionali per combattere il patriarcato maya, il patriarcato coloniale e l’estrattivismo, che consiste nel trasformare in capitale i beni della natura. Bisogna rendere un ‘femminaggio’ (invece di un omaggio) a queste donne che difendono insieme il territorio-terra e il territorio-corpo.Il Festival organizzato da Actoras De Cambio è uscito dal pensiero e dalla pratica della giustizia convenzionale e si è concentrato sul processo per creare una pratica politica nuova intitolata la Giustizia come Guarigione. L’obiettivo è stato quello di sviluppare un nuovo contesto sociale nel quale la vergogna e la colpa ricadevano sugli autori dei crimini. In questo festival, delle donne intervengono nella comunità con teatro, musica, cerimonie e toccano i corpi per mostrare al pubblico la colpa e la vergogna (per cacciarle dalle loro vite), lo stupro di guerra, tutti responsabilità degli uomini che li hanno commessi. Donne dei villaggi e di città, indigene e bianche, giovani, lavoratrici, femministe, nonne, attrici di teatro, musiciste, vicine, hanno creato uno spazio collettivo sicuro per parlare e rompere il silenzio. Una delle militanti di Actoras de cambio, riassume così la loro politica: lo stupro è uno strumento di guerra, è un atto di femminicidio e forse di genocidio. Lo stupro di guerra distrugge l’identità di una comunità e soprattutto distrugge l’identità e l’anima delle stesse donne superstiti. Però nessuno ne parla. È certo per questo che lo stupro è impiegato come arma di guerra: perché distrugge profondamente tutta la rete sociale e assicura l’impunità totale dei suoi autori maschili. Nel suo perverso immaginario patriarcale, la società intera lo considera come un atto vergognoso di cui le donne sono responsabili, e non come un crimine contro l’umanità elaborato dall’esercito. Il silenzio non è neutrale. Il silenzio fa sì che l’esperienza delle donne sparisca dalla memoria collettiva. Cancellare la memoria collettiva dell’esperienza della sofferenza significa togliere alle donne la possibilità di esistere e di ricostruirsi, e permette la continuazione dei crimini sessuali e la distruzione del corpo delle donne.

Ritrovare la memoria delle donne è un gesto profondo e radicale che permette alle donne del Guatemala di esistere, guarire, rendere pubblica la verità e creare le condizioni perché i crimini sessuali non continuino. Questo significa per loro la giustizia. Incredibilmente potente, usare il toccare i corpi per una realtà concreta del trauma e della visione del presente e del futuro che coinvolge tutte e tutti.

Con quest’ultimo esempio, vediamo che uno stato dittatoriale e neoliberale che si fa avanti fin dall’inizio degli anni ‘80 nel migliore dei casi chiude gli occhi sulle violenze private contro le donne (quelle patriarcali) e nel peggiore dei casi usa, anzi rafforza, le violenze (quelle politiche ed economiche) per il suo unico profitto. E queste indiane dalla forza incredibile e dalla creatività originale sono riuscite a creare una giustizia come guarigione durante il processo e anche durante un Festival unico senza l’aiuto ovviamente delle sorelle statunitensi.

 

V. UN ESEMPIO DI LOTTA DALLA SPAGNA

 

Prima di continuare con la cultura della protezione e l’educazione contro la cultura dello stupro, passiamo la parola alla compagna Margarita con un esempio attuale: quello di un’associazione di Denia, in Spagna in cui milita Margarita. 

Il 25 di novembre si celebra la Giornata Mondiale di Lotta contro la Violenza di Genere.

Qualcuno di voi sa già che qui a Denia sto in una associazione che si occupa dell’argomento. Tra le nostre attività sta quella di informare sul tema alla cittadinanza e molto specialmente ai giovani. Organizziamo diversi eventi: dai semplici interventi nelle scuole, aiutandoci con dei giochi, chiacchiere, test, disegni sia su carta che con la creazione di veri murales sulle pareti del centro scolastico, ecc., alla presentazione di persone direttamente implicate con questa lotta, come poliziotti, psicologi, assistenti sociali, che informano e interloquiscono con i ragazzi utilizzando libri, slides, video e altro.

Il nostro fiore all’occhiello è una regista spagnola, Mabel Lozano, che ha vinto il premio Goya, equivalente del Leone di Venezia, per i suoi documentari sulla violenza sulle donne e la tratta. Ci ha preso in simpatia e da diversi anni viene sempre a Denia con un nuovo documentario che presenta alla cittadinanza e, al giorno seguente, riunisce gli adolescenti dei tre istituti pubblici e dopo la proiezione d’un documentario specifico per loro, inizia una bella chiacchierata, anche provocatoria, con botta e risposta insieme agli studenti, che risulta molto coinvolgente ed efficace.

Con l’arrivo delle nuove tecnologie, ai soliti problemi si sono aggiunti altri due temi fondamentali tra i giovani con i quali bisogna fare molta attenzione: la pornografia e la cattazione in Internet. Si è confermato che i ragazzini di 8 anni già guardano porno dal telefonino. Sono praticamente inutili tutti gli accorgimenti che prendono i genitori; i fanciulli sono molto bravi ad aggirarli e trovano sempre il modo. Il problema è che la visione di questi video fa credere ai bimbi che il sesso sia sempre cosí e interiorizzano un’idea sbagliata dei rapporti di coppia; di conseguenza nei casi peggiori i maschi agiscono in modo molto prepotente e, quello che è più duro, le femmine accettano di essere manipolate e abusate, completamente sottomesse. Purtroppo queste relazioni tossiche si intavolano molto presto e le conseguenze le troviamo poi nelle notizie di cronaca.

L’altro problema è la cattazione di minori, specialmente ragazzine, per la pornografia online attraverso i siti frequentati da loro. Questi criminali si insinuano nelle loro chat, magari spacciandosi per coetanei e subdolamente incominciano a fare amicizia con la vittima, chiedendole fotografie all’inizio innocue, per poi aumentare le richieste man mano. Quando finalmente ottengono la foto osé, possono tranquillamente pretendere altre sempre più spinte, perché ormai la ragazzina è in trappola, minacciata di informare i loro genitori e di pubblicare le foto in rete, cosa che purtroppo viene comunque effettuata, perché si tratta di un mercato molto proficuo, che chiede sempre materiale nuovo. Ci sono ragazzine che fanno queste cose volontariamente, incluso in modo esibizionista, in cambio di ricariche telefoniche o regali, senza capire a cosa vanno incontro, poiché una volta pubblicata la foto, non esiste praticamente modo di cancellarla e può fare il giro del mondo. Spesso queste immagini sono consegnate “in segreto” al vero fidanzatino di turno, se non le scatta lui personalmente, il quale magari per trionfalismo o vendetta, la gira agli amichetti, che le pubblicano a loro volta e così il danno è fatto. Per cercare di risolvere questi problemi bisogna impartire un’educazione sessuale seria, non quella statunitense avvelenata di pedofilia; informare i ragazzi sulle insidie del web e soprattutto educarli ad una presa di responsabilità delle loro azioni, di rispetto verso gli altri e di loro stessi. I giovani hanno bisogno di regole chiare e giuste per una crescita sana e consapevole.

 

IV. CONTRO LA CULTURA DELLO STUPRO: PROTEZIONE & EDUCAZIONE

 

La cultura dello stupro descrive una società in cui la violenza è considerata attraente e la sessualità quindi assume modalità violente. Tali modalità assumono commenti sessuali, palpeggiamenti, torture e stupri e comprende anche la giustificazione di tali violenze contro le donne e la loro presentazione come fatti normali.Così come Thomas Sankara rivoluzionario marxista descriveva la prostituzione come “la sintesi tragica e dolorosa di tutte le forme di schiavitù femminile”, si può dire lo stesso della pornografia di cui abbiamo già discusso. Entrambe fanno parte di questa cultura dello stupro in cui vige la mercificazione del corpo femminile che si ritrova così nelle piattaforme di uteri in affitto come nelle guerre e non solo nelle dittature.

Prima di passare a quello che si potrebbe fare per educare contro la violenza, vorrei parlare di un ultimo fatto del passato: la strage del Circeo e l’analisi che ha fatto Pier Paolo Pasolini poco tempo prima di morire, il 2 novembre 1975.

C’è un fatto di cronaca tragico a San Felice Circeo, stazione balneare del Lazio. Tra il 29 e il 30 settembre 1975, tre giovani di 19, 20 e 22 anni che provenivano da famiglie agiate della borghesia romana e vicini agli ambienti neofascisti e missini rapiscono, drogano, torturano, stuprano due ragazze di 17 e 19 anni. Queste ragazze venivano dal quartiere popolare della Montagnola. Si conoscono qualche giorno prima e i ragazzi, additati come “fascisti e parioli”, le invitano ad una festa. Dopo esplicite avance sessuali, rifiutano di seguirli. I ragazzi si arrabbiano, uno tira fuori la pistola e vengono portate in una villetta. Si ritrovano i loro corpi nel bagagliaio di una macchina: Rosaria Lopez che faceva la barista era già morta annegata nella vasca da bagno, l’altra, una studentessa, si salva fingendo di essere morta dopo una sprangata in testa. Sono ritrovate grazie ai rumori che faceva quando i carabinieri aprono il bagagliaio.

La sopravvissuta Donatella Colasanti è morta nel 2005 a causa di un cancro: non smetterà mai di chiedere giustizia. C’è stato un processo nel 1976 con due condanne all’ergastolo, però ci sono tentativi di evasione, fughe, altri rapimenti ed uccisioni di donne.

Nel coro di indignazione subito si analizza questo delitto come una contrapposizione tra ricchi e poveri, destra e sinistra; le due ragazze di borgata vergini erano cadute nella trappola di tre mostri che incarnavano il maschilismo di destra. Peraltro, si trattava di ragazzi ricchi che si sentivano tutelati da un certo senso di impunità garantito dalle istituzioni. Questa è l’analisi più diffusa del fatto di cronaca nera.

E l’8 ottobre, sul Corriere della Sera, una voce si stacca da questo coro e fa tutt’altra analisi clamorosamente dissonante. L’articolo si intitola: “Il mio Accattone in Tv dopo il genocidio”. Accattone è il suo primo film uscito nel 1961. La storia si svolge tra i reietti del sottoproletariato ai margini della periferia romana, tra ladruncoli, prostitute, adolescenti senza famiglie. Sfruttava un mezzo di produzione di massa quale il cinema per mettere in contraddizione la cosiddetta morale borghese. Nel 1975 avviene la prima televisiva del film.

Dato che conosceva sia gli ambienti fascisti che le famiglie delle ragazze, vede nella strage del Circeo il segno della deriva antropologica che sta travolgendo tutti i giovani dell’epoca, senza distinzione di classe. Secondo Pasolini, “tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione.” Il regista aveva rimarcato i notevoli mutamenti avvenuti nella società italiana innescati dalla “nuova barbarie” del boom economico. La società che aveva filmato in Accattone non esisteva più. Il genocidio di cui parla consiste nell’omologazione che la società borghese capitalista, la società dei consumi di massa impone; è un’opera di mercificazione della cultura che nasconde una tendenza antidemocratica.

Tutti i politici e gli intellettuali, da Moravia a Maraini si scatenano contro di lui. In una lettera a Italo Calvino, spiega chiaramente il suo proposito:

“Se a fare le stesse cose fossero stati dei ‘poveri’ delle borgate romane, oppure dei ‘poveri’ immigrati a Milano o a Torino, non se ne sarebbe parlato tanto in quel modo. Per razzismo. Perché i ‘poveri’ delle borgate o i ‘poveri’ immigrati sono considerati delinquenti a priori. Ebbene i ‘poveri’ delle borgate romane e i ‘poveri’ immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e fanno effettivamente […] le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli: […]. I giovani delle borgate di Roma fanno tutte le sere centinaia di orge (le chiamano ‘batterie’) simili a quelle del Circeo; e inoltre, anch’essi drogati. L’uccisione di Rosaria Lopez è stata molto probabilmente preterintenzionale (cosa che non considero affatto un’attenuante): tutte le sere, infatti, quelle centinaia di batterie implicano un rozzo cerimoniale sadico. L’impunità di tutti questi anni per i delinquenti borghesi e in specie neofascisti non ha niente da invidiare all’impunità dei criminali di borgata. […]. Cosa dedurre da tutto questo? Che la ‘cancrena’ non si diffonde da alcuni strati della borghesia (romana) (neofascista) contagiando il paese e quindi il popolo. Ma che c’è una fonte di corruzione ben più lontana e totale. Ed eccomi alla ripetizione della litania. È cambiato il ‘modo di produzione’ (enorme quantità, beni superflui, funzione edonistica). Ma la produzione non produce solo merce, produce insieme rapporti sociali, umanità. Il ‘nuovo modo di produzione’ ha prodotto quindi una nuova umanità, ossia una ‘nuova cultura’ modificando antropologicamente l’uomo (nella fattispecie l’italiano). Tale ‘nuova cultura’ ha distrutto cinicamente (genocidio) le culture precedenti: da quella tradizionale borghese, alle varie culture particolaristiche e pluralistiche popolari. Ai modelli e ai valori distrutti essa sostituisce modelli e valori propri (non ancora definiti e nominati): che sono quelli di una nuova specie di borghesia. I figli della borghesia sono dunque privilegiati nel realizzarli, e, realizzandoli (con incertezza e quindi con aggressività), si pongono come esempi a coloro che economicamente sono impotenti a farlo, e vengono ridotti appunto a larvali e feroci imitatori. […]. Il fenomeno riguarda così l’intero paese.”

Ed ecco la conclusione dell’articolo del Corriere: “Il genocidio ha cancellato per sempre dalla faccia della terra quei personaggi. Al loro posto ci sono quei loro ‘sostituti’, che, […] sono invece i personaggi più odiosi del mondo. Ecco perché dicevo che Accattone, visto come un reperto sociologico, non può che essere un fenomeno tragico.”

 

VII. IL CASO INGLESE DI SARAH EVERARD

 

Prima di continuare con le strutture e l’educazione, la parola a Debora che vi presenta il caso recente di Sarah Everard in Inghilterra.Nel suo intervento la compagna Enza ha documentato come Pasolini già nel 1975 con lungimiranza si accorse che la cultura della violenza come un cancro si diffondeva già allora all’interno della società del consumo. Questa società produce rapporti umani basati sulla mercificazione, sul consumo e sull’edonismo, e la violenza che ne risulta è il risultato della totale sottomissione, di ogni classe. Alla stregua di questa analisi vorrei riproporre un caso di femminicidio avvenuto in Gran Bretagna nel 2021, quello di Sarah Everard, il quale destò all’epoca molto scalpore, principalmente perché il carnefice fu un poliziotto, Wayne Cousins membro della Met police (la polizia londinese). Sarah Everard tornava da una visita a casa di un’amica quando fu avvicinata dal carnefice, il quale dopo essersi identificato come poliziotto simulò l’arresto di Sarah per contravvenzione delle norme della pandemia. Dopo essere stata messa in macchina dal poliziotto Sarah fu ritrovata morta, strangolata dopo essere stata violentata, dopo vari giorni, in un atto premeditato (il poliziotto aveva pianificato il delitto ma scelto a caso la vittima).

Il caso provocò giustamente scalpore e rabbia e in molti esigevano dalla polizia l’ammissione di responsabilità dell’intera istituzione. È innegabile che il carnefice utilizzò il suo ruolo all’interno della polizia, il quale facilitò l’atto di violenza, ed è innegabile che i comportamenti di Cousins furono appoggiati dai suoi colleghi, i quali lo avevano soprannominato scherzosamente ‘lo stupratore’, e condividevano immagini e video misogini con lui. Lo stesso Cousins fu tra l’altro colpevole di esposizione indecente, ma fu coperto dai colleghi, i quali decisero di ignorare le accuse. Proprio in quel periodo altri due poliziotti sempre a Londra furono accusati di aver posato per un ‘selfie’ con i cadaveri di due vittime di accoltellamento, Bibaa Henry e Nicole Smallman in un atto di disprezzo.

È certo che all’interno della polizia il potere che viene consegnato agli ufficiali viene abusato: gli incidenti di misoginia, omofobia e razzismo dilagano all’interno di questa istituzione. Dopotutto la polizia non è altro che la mano armata del capitale, e difende i valori del sistema capitalista al quale appartiene (infatti alla veglia che si organizzò per Sarah Everard ci furono molte donne vittime di repressione). Però non bisogna dimenticare le radici sociali del problema: la misoginia è un problema esclusivo dell’istituzione della polizia? Ovvio che no. Difatti il comportamento così repulsivamente macabro dei due poliziotti colpevoli di aver posato per il selfie accanto alle donne morte a me ricorda innumerevoli altri casi in cui gente in pericolo viene filmata piuttosto che aiutata, certo con l’aggiunta di un’inquietante misoginia e disprezzo verso il genere femminile, tanto da pensare che il loro corpo violentemente ucciso fosse oggetto di scherzi.

Il punto di vista che io vorrei proporre e che credo anche le compagne Enza e Margherita appoggino, è che ridurre la tragedia della morte di Sarah Everard alla responsabilità di una ‘mela marcia’ all’interno della polizia è sbagliato. Il problema è istituzionale, ma soprattutto sociale e culturale. E per arrivare a questa conclusione basta osservare le “norme di condotta” che le donne londinesi avevano nel 2021 e tuttora sono tenute ad osservare per “dissuadere” stupri, violenze fisiche e verbali. Molte londinesi infatti dopo che il delitto divenne di conoscenza pubblica, parlarono di un vero e proprio codice di comportamento da seguire, che comprende regole come: camminare solo su strade principali, illuminate e popolate, anche a costo di dover allungare il tragitto; fingere di parlare al telefono con un familiare o amico nel taxi, o per strada se si pensa di essere pedinate; in caso di appuntamento con un uomo inviare ad un amico o amica il luogo e l’ora dell’appuntamento e l’orario di ritorno; camminare con delle chiavi in mano, che possono servire da arma di difesa in caso di attacco. Camminare di fretta, ma non correre. La realtà sociale di queste donne è marcata dal pericolo e dalla paura. Questo è indice di un’oppressione che funziona non solo al livello della polizia come istituzione, ma che nasce al livello sociale e culturale (e poi, certo, trova terreno fertile all’interno di un’istituzione basata sulla gerarchia e sull’imposizione della forza). Altro indice delle radici culturali del problema è la continua colpevolizzazione delle vittime: quante volte abbiamo sentito frasi come “vestita così cosa si aspettava?” “cosa faceva a quell’ora camminando al buio?” “Ma perché non ha subito denunciato la violenza?”. Le ultime immagini di Sarah Everard sembrano indicare che effettivamente lei seguiva questi comportamenti, era infatti al telefono, come mostrato dalle registrazioni delle telecamere CCTV; nel suo caso, questo non servì a proteggerla.

Sappiamo bene come il corpo della donna all’interno del nostro sistema di produzione non è altro che un oggetto di merce, oggettificato sui tabelloni pubblicitari e in tv, nei concorsi di bellezza e nei programmi di sport in cui alle donne è permesso parlare solo se ipersessualizzate. L’industria del porno normalizza non solo la violenza contro le donne ma anche il loro sfruttamento. Tutto all’interno di questo sistema di produzione è volto all’utilizzo della donna come merce. E cosa si fa con la merce? La si vende, la si compra, la si usa. Questo cancro non va quindi regolamentato, ma sradicato dalla coscienza della società tramite la rieducazione. Se questa mercificazione delle donne non si ferma, nessun regolamento potrà mai fermare la violenza di genere, come si è visto nel caso di Londra, in cui paradossalmente la Met police decise di implementare più membri della polizia per le strade, ignorando il fatto che le donne londinesi ormai non sentono di essere protette neanche dalle forze dell’ordine. Dal nostro punto di vista, il sistema di potere che vige all’interno di un sistema patriarcale trova nei princìpi del neoliberismo (competizione spietata, accumulo e quindi possesso), una terra fertile in cui crescere.

 

VIII. COME CONTRASTARE LA VIOLENZA

 

Sulla scia di questo cambiamento antropologico dell’imitazione della violenza dei dominanti per soddisfare nella violenza i desideri egoistici, cerchiamo comunque di trovare i modi per contrastarla, anche perché non tutti gli uomini si comportano in quel modo né tutte sono sorelle delle borghesi di stampo USA o UE. Quali dovrebbero essere le strutture?Per sviluppare una vera cultura della protezione, della solidarietà verso le vittime, bisogna innanzitutto lottare contro le disuguaglianze e tutti i processi di dominazione, fare prevenzione e, dato che le vittime sono tante, bisogna identificarle, tutelarle e curarle. Fino ad ora, tutto questo era ignorato dalla medicina. Non c’è una formazione specifica in psichiatria ad esempio. Secondo la psichiatra francese Muriel Salmona, bisogna cominciare con il rivelare i numeri e gli autori delle violenze e ormai è risaputo che nell’80% degli incesti l’autore è tra i membri vicini della famiglia e la maggior parte delle violenze subite dalle donne è dovuta al marito, partner o ex. Per identificare le vittime, è necessaria la formazione. A causa della cultura dello stupro e della propaganda contro la vittimizzazione, le donne vengono colpevolizzate. E invece, se non reagiscono è perché subiscono uno stress post traumatico. Il cervello si blocca, è in uno stato di siderazione per non provare né dolore né emozione di fronte alla persona che conoscono. Può succedere anche con le bambine e i bambini vittime di un padre, uno zio o un nonno. Bisogna dire loro che non reagire di fronte ad una violenza è una cosa normale. Le vittime non parlano perché sono in uno stato di shock (la stessa cosa per i migranti). Quindi, c’è la necessità assoluta di formazione nel campo della medicina, della polizia, della scuola, ecc. Le altre necessità sono la creazione di un centro d’emergenza e di accoglienza delle donne e dei loro figli su tutto il territorio, lo sviluppo di cure (le più precoci possibili per evitare la psichiatrizzazione ulteriore). E bisogna ribaltare questa società in cui trionfa l’individuo dai desideri egoistici da soddisfare a qualunque costo. Per le alunne e gli alunni non bastano lezioni di empatia in Francia o di affettività in Italia se non c’è empatia o affettività per le lavoratrici e i lavoratori del settore della scuola e di tutti i settori in generale.

L’educazione contro la violenza a scuola e nella società in generale:

Per Mikhail Kalinin (1875-1946), che diresse l’Unione Sovietica dal 1919 al 1946, c’erano dei compiti fondamentali nell’educazione socialista (come lo spiega in un discorso del 1940) per tutta la società:

suscitare il desiderio di aiutare al massimo grado la nostra lotta di classe”.Il socialismo deve creare “una nuova produttività del lavoro molto più elevata. Il comunismo implica una produttività del lavoro superiore a quella capitalista” […] “sia nella quantità che nella qualità”.

è necessario innanzitutto lavorare secondo le nostre capacità, imparare a salvaguardare il bene pubblico; e quando noi avremo prodotto sufficientemente e imparato ad economizzare i frutti del nostro lavoro, allora potremo dare a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

educare tutti i lavoratori dell’URSS nello spirito di un patriottismo ardente […] di un amore che non dà quartiere al nemico e che, quando si tratta della patria, non retrocede davanti a nessun sacrificio”.

L’educazione allo spirito collettivo ha bisogno, per essere il più efficace possibile di essere adattata al lavoro pratico. In altri termini, l’educazione allo spirito collettivo deve farsi concretamente”.

La cultura ci è indispensabile come l’aria che respiriamo: tutta la cultura da quella più elementare, indispensabile a tutti gli uomini a quella che viene chiamata ‘cultura’. […] è un indice del grado di sviluppo di un uomo. […] è indispensabile al progresso […] Significa anche pulizia nell’officina e nella propria casa. […] deve avere per obiettivo, ad esempio, che i rubinetti non perdano acqua, che non vi siano più cimici negli appartamenti, ecc.”

In Francia, c’è il piano Langevin-Wallon, elaborato nel 1944 nell’ambito del Consiglio Nazionale della Resistenza. Per Langevin e Wallon, lo scopo della democratizzazione della scuola e le condizioni per attuarla poggiavano su due principi indissociabili: esigenza di giustizia sociale e esigenza di cultura.Il concetto di uguaglianza delle opportunità consiste nel poter accedere alle situazioni di dirigenza se si merita, qualunque sia l’origine sociale. Spetta all’individuo farlo magari schiacciando gli altri. Invece, nel piano di Langevin & Wallon, si privilegia l’innalzamento continuo del livello culturale dell’insieme del paese. Per loro, c’è la necessità che la Scuola non si pieghi né si adatti alle esigenze socio-economiche; bisogna che anticipi sulle evoluzioni. Non ha una funzione di riproduzione bensì di prospettiva. Non bisognava separare l’Homo sapiens dall’Homo faber per proporre il massimo di virtualità a tutti (Teoria-tecnica-pratica). Non si tratta di far esplodere i migliori talenti inducendo la massa a conformarsi ma di sviluppare e formare tutti. Chi erano Langevin e Wallon?

Paul Langevin (1872-1946) fisico, filosofo, pedagogo e uomo politico francese, era sempre stato vicino alle idee comuniste, influenzato dai suoi genitori che erano stati testimoni oculari della sanguinosa repressione della Comune di Parigi. La giustizia sociale era la sua bussola.

Henri Wallon (1879-1962) psicologo, medico, professore, uomo politico francese difende la parte del biologico e del sociale nella costruzione della personalità. Si iscrive al Partito Comunista come Langevin.

Inutile dirvi che questo piano non è purtroppo mai stato attuato perché i ministri comunisti sono tutti fuorusciti dal governo nel ’47 per via della guerra fredda. Continua comunque ad influenzare gli insegnanti in mancanza dei vari ministri dell’Educazione.

Un marxista pedagogo da (ri)scoprire: Lev Vygostki (1896-1934)

Nel 1926, Lev Vygotski scrive: “La psicologia ha bisogno del suo proprio ‘Capitale’”. Per lui, l’essenza della psiche umana è da cercare nei rapporti storici in cui si produce, ciò che fa di noi un essere umano è da cercare nelle strutture sociali. Per lui, il linguaggio, l’aspetto affettivo nello sviluppo dell’intelligenza hanno un ruolo primordiale nella relazione con gli altri.

Come diventare un uomo sociale? Come appropriarsi il genere umano? Per Lucien Sève, comunista francese, si nasce Homo Sapiens poi si diventa uomo. La difficoltà sta nel come sottrarsi all’alienazione sociale, al maltrattamento perpetuo delle élite. L’alienazione sociale esiste dalla culla alla bara.

I bambini e gli adolescenti meritano solo i banchi a rotelle ormai rottamati poiché inutili?

I lavoratori meritano solo i macchinari in disuso che li inghiottiscono?

I vecchi che sarebbero in decrescita allorché sono in rinnovo costante delle loro capacità meritano di essere rinchiusi in una struttura in cui si muore a fuoco lento?

Come è scritto in una nota del Capitale, “ogni uomo si guarda prima nello specchio di un altro uomo”. La socializzazione è fondamentale. Bisogna confrontarsi con i saperi, incontrare la parola scritta che trasforma il pensiero, incontrare “l’arte, matrice sociale della sensibilità”, secondo Vygotski.

Questo marxista aveva per obiettivo di innalzare il livello culturale del pubblico rendendo disponibile un’educazione di qualità con il migliore della cultura russa e internazionale. Così aveva voluto Krupskaja quando aveva riunito una squadra di esperti per alfabetizzare la popolazione includendo i bambini speciali.

Quindi “Comunismo o catastrofe!” per Lucien Sève.

Il comunismo è una forma di società superiore di cui il principio fondamentale è il pieno e libero sviluppo di ogni individuo” per Karl Marx (Il Capitale capitolo 22 – 1867), il che esclude totalmente che un desiderio sia soddisfatto anche con la violenza.

 

“Non si nasce donna, lo si diventa.”

Simone de Beauvoir

 

“Si nasce Homo Sapiens poi si diventa uomo.”

Lucien Sève

 

“In una società, il grado di emancipazione della donna è la misura naturale del grado di emancipazione generale.”

Charles Fourier (citato da Marx & Engels ne La sacra famiglia)

“Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.”

Karl Marx e Friedrich Engels (Manifesto del Partito Comunista in Proletari e comunisti 1848)

 

“La donna libera dall’uomo, entrambi liberi dal capitale.”

Camilla Ravera

 

“Il comunismo è una forma di società superiore di cui il principio fondamentale è il pieno e libero sviluppo di ogni individuo.”

Karl Marx (Il Capitale capitolo 22 – 1867)

 

“Non dimenticate mai che basterà una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in questione. Tali diritti non sono mai acquistati. Dovrete rimanere vigilanti per tutta la vostra vita.”

Simone de Beauvoir

 

“Se alcune correnti femministe contestavano questo quadro di pensiero eterosessuale. L’allineamento del sesso, del genere e del desiderio […] è richiesto da una matrice eterosessuale dominante. Ma questa norma eterosessuale è costantemente sfidata e sovvertita. Sono formata, vincolata dalle norme del genere ma questo ‘io’ non è interamente determinato da esse.”

Judith Butler

 

La dignità appartiene alle donne. Le donne che vivono in un mondo di odio sanno molto bene che i loro traumi non sono riconosciuti, che le loro emozioni vanno dissimulate.

 

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1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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