di Piero Bergonzini
Tutto si può dire di José “Pepe” Mujica meno che non abbia avuto una vita piena. Di lontane origini italiane e basche con i nonni emigranti in Uruguay, agricoltore e ciclista dilettante da giovane, si appassionò ben presto alla politica. E fu una passione travolgente che lo ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
La sua traiettoria è molto simile a quella del suo compagno e amico Lula. Entrambi di umili origini, nella lotta politica e sindacale trovarono una ragione di riscatto, sperimentando sulla loro pelle la repressione delle dittature militari-imprenditoriali sudamericane. Di seguito vennero a patti con il capitale fino ad assumere importanti responsabilità di governo, dove si distinsero, pur nei limiti delle democrazie borghesi, per promuovere riforme popolari e di stampo progressista.
Pepe, all’inizio, fu probabilmente il più rivoluzionario dei due. Marxista-leninista, partecipò alla lotta armata con i Tupamaros, venne ferito, fu arrestato quattro volte, due volte riuscì ad evadere ma trascorse alla fine quasi 15 anni in prigione, dove venne anche torturato, e fu liberato solo grazie all’amnistia che fu concessa nel 1985 con la fine della dittatura. Lula no, lui non è mai stato comunista, ma affrontò da sindacalista i generali allora al potere in Brasile, e per questo pure lui, anche se per meno tempo, finì dietro alle sbarre. Sventuratamente ebbe però la possibilità di recuperare in tarda età visto che, nonostante da politico sia sempre rimasto all’interno delle compatibilità imposte dal capitale, passò quasi due anni in galera tra il 2018 e il 2019 (540 giorni), vittima di un golpe mediatico giudiziario che riuscì ad impedirgli, momentaneamente, di assumere per la terza volta la responsabilità della Presidenza della Repubblica brasiliana.
Da Presidenti, Pepe per un solo mandato dal 2010 al 2015, Lula per tre mandati (dal 2003 al 2010 e dal 2023 fino ad oggi), come dicevamo, sono rimasti all’interno dei limiti imposti dalle democrazie borghesi, ma hanno promosso politiche redistributive e i diritti civili. Pepe in particolare viene ricordato dalla sinistra globalista per la legge sull’aborto, i matrimoni omosessuali e la legalizzazione della cannabis. Entrambi però hanno anche (e soprattutto!!!) ridotto drasticamente la povertà e le disuguaglianze dei rispettivi Paesi, così come hanno sostenuto, pur se con qualche momentaneo episodio di amnesia, i governi progressisti e rivoluzionari dell’America Latina.
Se oggi volessimo sommariamente riassumere con una parola la loro traiettoria politica, Lula di certo verrà ricordato per la “quantità” (e magari – come dimostra il pacchetto da quasi 5 miliardi di dollari di investimenti cinesi in Brasile sottoscritto a seguito della sua recente visita a Pechino – il bello deve ancora venire), Pepe per la “qualità”, in particolare a partire dal celeberrimo discorso che pronunciò, guarda caso proprio a Rio de Janeiro nel 2012 in occasione dell’Assemblea delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile. Fu allora che cominciò a riporre nell’armadio il gessato grigio da Presidente e salì idealmente sul suo vecchio maggiolone azzurro per tornare nella sua casa in campagna alle porte di Montevideo, indicando la possibilità, magari pure la necessità, ma certamente anche la bellezza, di un’esistenza fraterna, forse frugale, ma di sicuro piena e felice. Lontano dalla globalizzazione e dalla competizione economica esacerbata, per riscoprire le relazioni umane più autentiche.
Oggi, in occasione della sua morte, mentre il mondo progressista in generale tributa a Pepe Mujica i giusti onori (soprattutto ahimè mettendone in risalto la figura di eroe dei diritti civili) e una frangia minoritaria (e rancorosa) del dissenso gli rinfaccia un presunto tradimento dei principi rivoluzionari, questo triste evento può essere l’occasione per apprezzarne la traiettoria umana e politica con maggior serenità ed equanimità. Penso che Pepe Mujica sia rimasto fedele ai suoi ideali ma, proprio per aver appreso e introiettato i principi marxisti-leninisti, in particolare l’analisi concreta della situazione concreta, considerando da una parte l’impossibilità di continuare una strategia rivoluzionaria e dall’altra l’assoluta necessità di lenire le piaghe del sottosviluppo delle popolazioni sudamericane, decise di togliersi l’eskimo del rivoluzionario per indossare temporaneamente il doppiopetto. Per poi tornare, prima di andarsene, da dove era venuto, nella sua amata fattoria. Con l’orgoglio di lasciare, per quanto nelle sue possibilità, questo pianeta un po’ meglio di come l’aveva trovato e la speranza, forse anche la certezza che, dopo la sua morte, la battaglia per la giustizia sociale continuerà e che in tanti raccoglieranno il suo testimone e potranno fare anche di più e meglio.