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Il circo dell’ipocrisia

*Commento di Marco Rizzo, Segretario Generale del Partito Comunista

L’Articolo 18 è nella legge 300 del 20 maggio 1970. Lo Statuto dei diritti dei lavoratori.

Già nel 1966 era stata varata una legge sui licenziamenti individuali.

La 604 che conteneva il divieto per i padroni di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo (tranne che nelle piccole imprese). Nel caso di licenziamento illegittimo, il padrone aveva la possibilità di scegliere tra la riassunzione ed un risarcimento (5/12 mensilità). Di fatto la legge consentiva ai padroni, previo il pagamento di qualche mensilità, di licenziare anche senza giusta causa o giustificato motivo.

Con l’art. 18 invece, in presenza di un licenziamento illegittimo, diveniva possibile solo la riassunzione del lavoratore nel posto di lavoro, anche se questo continuava a non valere per le aziende inferiori a 15 dipendenti.

L’art. 18 ha significato oggettivamente una tutela reale per la stragrande maggioranza dei lavoratori. Non è un caso che negli anni ci abbiano provato in molti a combatterlo. Dal Partito Radicale, che nel 2000 raccolse le firme per un referendum per abrogarlo (che finì senza quorum e senza maggioranza), al Governo Berlusconi che nel 2001 presentò una legge con modifiche all’Articolo 18, che provocò la grande manifestazione del marzo 2002, con 3 milioni di lavoratori a protestare a Roma.

Su quel solco nel 2003, Guglielmo Epifani, segretario della CGIL, promosse la raccolta di 5 milioni di firme contro la modifica dell’art. 18 per arrivare al 2012, col decreto “Salva Italia” del Governo Monti in cui i colpi all’articolo sono forti: la reintegra sul posto di lavoro è praticamente sostituita con un risarcimento tra le 6 e le 24 mensilità (votarono a favore centrosinistra e centrodestra). Ma è nel 2014 che si arriva al famigerato Jobs Act di Matteo Renzi.

È la fine dell’art. 18.

Votano a favore la stragrande maggioranza dei parlamentari del PD, tra cui Bersani e molti ex sindacalisti della CGIL, tra cui lo stesso Epifani, quello che nel 2003 raccolse le firme per difenderlo. Arriviamo ad agosto 2018, con Di Maio ed i cinque stelle che si dimenticano completamente di quello che hanno promesso in campagna elettorale sull’art. 18 e quei campioni di Liberi ed Uguali che ne chiedono il ripristino con un emendamento al “Decreto Dignità” a firma Epifani e Bersani (gli stessi che ne avevano votato la fine quando erano nel PD) e con lo stesso PD che si astiene, avendo però la faccia tosta di criticare i 5 stelle per la loro incoerenza. Insomma i “ladri” dell’art. 18 criticano le “guardie” (ora passate anch’esse dall’altra parte). Un vero e proprio circo dell’ipocrisia che ci rafforza nella nostra critica all’antipolitica dei 5 stelle, alla miseria del PD e a questa finta sinistra.

2 Comments

  1. Luigi ha detto:

    Mi ribolle il sangue e parlo seriamente, inoltre la letargia dell’italiano medio che li vota mi fa venire le vertigini. L’ indifferenza ignorante ha raggiunto profondità impensabili malgrado l’incremento degli strumenti di comunicazione.

    • Giulio ha detto:

      Sono d’accordo con te. C’è troppa gente che vota senza controllare la storia dei candidati, così personaggi che non hanno nulla di Sinistra si sono aggiudicati scranni in parlamento per grazia divina; molti di quelli che si siedono in parlamento tra le fila del PD o LeU sono persino padroni, finanzieri o manager. Roba da matti! Su Bersani e Veltroni stendo un velo pietoso.

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