La prima violenza contro le donne è violenza di classe.

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La prima violenza contro le donne è violenza di classe.

di Monica Perugini*

Anche in questo 25 novembre, da comuniste e comunisti, ribadiamo come la violenza contro le donne sia violenza di classe. Marginalizzazione sociale, espulsione dal mondo del lavoro, disoccupazione, precarietà  e ancora femminicidi, abusi, maltrattamenti, sfruttamento costituiscono i vari fotogrammi di una violenza che aumenta in modo esponenziale quanto più il potere capitalistico gestito dalle classi dominanti, aumenta la propria forza, fino ad imperare in modo assoluto,  senza trovare adeguato contrasto da parte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici e della classe sfruttata nel suo complesso.

L’abruttimento che sta caratterizzando l’attuale fase sociale e politica, infatti, è la diretta conseguenza dello strapotere espresso  dei grandi gruppi  economici che governano le  complessive dinamiche sociali,  comprese  quelle etiche, valoriali e  morali che pongono , tutte, al primo posto il denaro. Uno strapotere non ancora contrastato in modo adeguato dalle lotte delle classi oggi subalterne, private degli strumenti di lotta che partito e sindacato di classe, per decenni, avevano rappresentato dapprima come contrasto e poi argine  contro la progressiva erosione dei diritti e l’abruttimento delle  complessive condizioni sociali e civili.

In una simile situazione, dove i rapporti di forza sono nettamente a favore della classe capitalistica internazionale   e dove la sopraffazione del più forte sul più debole diviene elemento ordinario di gestione  di rapporti e relazioni,  l’imbarbarimento colpisce chi, nel breve lasso di una generazione, è tornato ad essere il soggetto più debole.

Così la donna viene espulsa per prima dal mondo del lavoro,  nemmeno cerca più un’occupazione perché sa di non trovarla;  viene ricacciata a svolgere un ruolo principalmente domestico che non rileva come lavoro e risente fortemente di una condizione di emarginazione ed isolamento; non fa più parte integrante del movimento operaio e di lotta e quindi non è più in grado di rivendicare con forza e sostanza quei diritti scoiali e civili che hanno reso la nostra una società migliore proprio grazie alle conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.

La discesa è ancora più repentina in un contesto che vede la progressiva proletarizzazione di ceti sempre più ampi di lavoratori che non hanno alcuna coscienza di classe e che nutrono diffidenza verso coloro che già  vi appartengono e che, a loro volta, sono divisi e in contrapposizione dall’appartenenza a culture e stili di vita diversi che, alla faccia delle politiche di integrazione, non hanno mai avuto l’opportunità di conoscersi e di unirsi in una comune battaglia. L’abruttimento culturale porta inevitabilmente con se’ il ritorno della più becera  concezione esistente, quella  sul ruolo che la donna riveste nei contesti sociali e familiari.

In un simile contesto, le donne che appartengono alle fasce più deboli e fragili delle società vivono quotidianamente la violenza della povertà dettata dalla mancanza di lavoro e della marginalizzazione e molto spesso quella fisica, che si sviluppa fra le mura domestiche e che quasi sempre nessuno conosce.

Il  ritorno dell’idea della donna oggetto coinvolge (non tanto) sorprendentemente le giovani generazioni non interessate a percorrere la strada dell’acquisizione di una coscienza di classe, ammaliate dai valori di una cultura di massa decadente che si esaurisce nel vicolo cieco dei riti di massa.

Violenze, femminicidi, compravendita di corpi che spesso si trovano ormai morti, come accaduto nella macabra vicenda delle presunte “schiave del sesso”  naufragate o pochi chilometri dalle coste italiane,  non si contano più e sulla gravità dell’accaduto si rischia di cedere alla retorica ed agli ennesimi depistaggi mediatici  orditi  da un potere che tutto manipola a proprio fine.

In questa giornata abbiamo il coraggio di riaffermare che solo l’emancipazione della classe lavoratrice porterà ad una società dove discriminazioni fra i generi non ce ne potranno essere, dove l’accesso al lavoro sarà paritario così come rispettoso delle peculiarità e dei diritti, dove servizi sociali, sanitari, di accesso all’istruzione ed alla cultura saranno garantiti da presupposti e convinzioni non svendibili e nemmeno camuffabili.

Oggi in Italia un governo servo obbediente di ogni volere esprime il padronato, sfrutta antichi riferimenti partitici legati alla  sinistra, per convincere a forme di accoglienza, rispetto, tolleranza che non servono ad  altro che a scatenare tempeste mediatiche aventi il  solo scopo di coprire le vere contraddizioni fra capitale e lavoro e condurre ad un risultato opposto rispetto a quello propagandato, ovvero al progressivo peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari e, prime fra tutte, al loro interno delle donne.

Non ci troverete al fianco di chi si appassiona per le denunce che potenti hanno fatto, fuori tempo massimo e spesso in modo connivente, contro altri potenti: ci troverete con le precarie, con le donne delle cooperative delle pulizie che popolano uffici pubblici e privati per salari che si aggirano attorno all’euro all’ora, con le giovani costrette a formule come “garanzia giovani” ovvero a lavorare per € 400 mensili per 40 ore settimanali, con le molte donne immigrate in lotta contro la nuova schiavitù rappresentata dalle sempre più numerose cooperative sorte per sfruttare  una  nuova, disperata forza lavoro a poco prezzo, con le studentesse dei centri professionali che  lavorano gratuitamente con le procedure dell’alternanza scuola/lavoro e con le donne che lottano per salvaguardare i pochi servizi sociali rimasti, dai consultori agli ospedali, dai servizi scolastici a quelli extrascolastici come le mense e i trasporti, che rivendicano come debba essere soppressa per legge sull’obiezione di coscienza  dei medici antiabortisti nelle strutture pubbliche che di fatto impediscono l’IVG o la rendono una procedura avvilente e sempre più precarizzata.

Il 25 novembre, ricordando il sacrificio delle sorelle Mirabal, militanti del movimento operaio che lottavano contro la dittatura, ribadiamo dunque come la violenza che ancora oggi colpisce le donne delle classi popolari, sia quella di classe.

* Responsabile nazionale donne Partito Comunista

 

 

 

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