Riapertura librerie: nuova trappola per i librai indipendenti

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Riapertura librerie: nuova trappola per i librai indipendenti

In una conferenza stampa il presidente del Consiglio anticipa dal 14 Aprile, quindi a più di due settimane dalla fine del blocco e molto prima della riapertura di alcune attività produttive, la riaperture delle librerie e di diversi settori connessi al mondo dell’editoria. Questa notizia arriva dopo che da settimane si rincorrono richieste di una maggiore attenzione al mondo dell’editoria e della cultura, oltre che appelli sentimentalisti e romantici, probabilmente deleteri.

In una nota diffusa dall’Associazione Editori Indipendenti, ad esempio, si chiedeva di non lasciar da soli soprattutto le piccole librerie e i piccoli editori, molti dei quali sono ad un passo dalla chiusura per l’impossibilità di far fronte a questa crisi, con strumenti di sostegno statali inesistenti e l’esclusione dalla sospensione nel pagamento tributi.

Di fronte al fatto che le associazioni di categoria, sia degli editori che dei librai, non sembra siano state interpellate, questa apertura delle librerie appare quanto mai grottesca, e poco comprensibile. Difatti la LED (Librai Editori Distributori) ha raccolto subito centinaia di realtà in disaccordo con questa presa di posizione con un appello sul web, e aperto un dibattito nel quale i favorevoli appaiono soggetti con posizioni già dominanti sul mercato.

Ci si chiede a cosa possa servire la riapertura di piccole o grandi librerie quando gli spostamenti dei cittadini “non produttivi”, finora, sono stati davvero minimi e da più parti, dai tecnici agli amministratori locali, la riduzione degli stessi viene definita come una delle migliori tecniche per ridurre il contagio. Il clima che vivono molti territori è teso e le comunità di cittadini si stringono, anche se non sempre in maniera virtuosa, nella gestione delle uscite e nel mantenimento delle regole sul distanziamento. L’eventuale apertura porterebbe un senso di astio, la ricerca di un colpevole in eventuali nuovi contagi che ricadrebbe su una specifica fetta di persone, facilmente accusabili di volere dei comfort maggiori in una situazione in cui a molti si chiedono sacrifici (per intenderci, vediamo cosa è accaduto attorno alla questione dei runner o alle uscite con figli). Sarebbe inoltre un altro peso sulle spalle di forze dell’ordine e volontari di vario tipo, che dovrebbero nel caso gestire una mole di lavoro maggiore in una situazione ancora emergenziale.

Risulta difficile che i lettori cosiddetti “forti” sentano la necessità di acquistare libri, avendo già in queste settimane sicuramente trovato delle soluzioni alla contingenza. Oltre l’acquisto on-line sui maggiori stores, che per gli addetti ai lavori non è manna dal cielo ma un regalo spesso a multinazionali che, tra le altre cose, non fanno della trasparenza sulle vendite la propria stella polare (vedi Amazon), una grandissima quantità di piccole librerie ha sviluppato modi per tenersi in contatto coi propri lettori, mettendo su un servizio di consegna a domicilio in totale sicurezza, o offerte nell’acquisto di formati digitali.

Un altro punto da non sottovalutare è l’assenza, purtroppo, di presidi librari su tutto il territorio, soprattutto nei piccoli comuni. Per eventuali acquisti, quindi, un eventuale lettore “forte” dovrebbe necessariamente spostarsi con mezzi pubblici o propri, con conseguenti difficoltà e aumento della possibilità di contagio. Viene da sé che, verosimilmente, il numero di clienti che vorrà approfittare della possibilità sarà davvero bassa. E che scaturirebbero una serie enorme di controversie attorno ai requisiti di “stretta necessità” e a spostamenti oltre gli attuali “200 metri” consentiti.

D’altra parte i librai che decidessero di riaprire avrebbero contro una serie di fattori.

Se è vero che molti restano esclusi dalla sospensione dei tributi, gli esercenti con dipendenti avrebbero potrebbero usufruire degli ammortizzatori sociali, insufficienti al limite dell’elemosina, ma che al momento dell’apertura non sarebbero più dovuti (oppure no?). Con queste coperture, allargate o rimpolpate, i proprietari di librerie, piccole o molto piccole, avrebbero potuto tirare in parte un sospiro di sollievo. Per molte librerie, inoltre, il blocco imposto aveva portato ad accordi con i proprietari dei locali. Una contrattazione privata per raggiungere trattamenti conciliatori laddove non c’erano altre indicazioni certe dal Governo. Nel momento della riapertura questi accordi che fine farebbero? Potrebbero essere utilizzati dai proprietari per pretendere il “giusto”, legittimo, senza sconti?

Vista poi la chiusura totale da un mese a questa parte, tutta la filiera di produzione e distribuzione nel campo dell’editoria avrebbe un bel lavoro da fare per riprendere le fila del lavoro e correre alla riorganizzazione per la riapertura, altrimenti le librerie avrebbero anche ben poco da tener su senza poter essere sicuri della celerità di una consegna e con le immani difficoltà nelle richieste di nuovi ordini che si accavallerebbero, eventualmente.

A questi problemi si aggiungerebbe anche una lotta fratricida, un conflitto tra “poveri”. Da una parte le librerie che tenterebbe il tutto per tutto dall’altra chi non aprirà per non andare incontro a un massacro economico. Difatti per raggiungere dei livelli accettabili di guadagno sulle vendite, il numero delle stesse, con le attuali condizioni di blocco degli spostamenti, sarebbe irraggiungibile e in ogni caso i librai dovrebbero fare ulteriori sacrifici, immani, per non “chiudere bottega”.

Altro punto importante sta nella vera natura delle piccole librerie, che va oltre il mero profitto. La maggior parte di queste si regge – sopravvive in realtà – sull’apertura ad eventi anche di altri enti e associazioni, presentazioni di libri, incontri con artisti e scrittori, manifestazioni collaterali nelle quali rendere il proprio un presidio di cultura, o semplicemente nel rapporto uno-a-uno col lettore che si accompagna nella scelta del libro con riflessioni, ricerche e consigli (perché per l’acquisto compulsivo e asettico, quello che probabilmente tanto piacerebbe ai grandi gruppi monopolistici anche dell’editoria, ci sono gli Autogrill e i Centri Commerciali, ci sono gli stores digitali e la loro concorrenza sleale alle piccole realtà.). Sarebbe impossibile, quindi, per queste rialzarsi, ripartire. Perché impossibile sarebbe organizzare alcun evento, visto il permanere delle norme di distanziamento sociale. Nel giro di un paio di mesi, ma forse anche meno, le già normalmente esigue entrate si assottiglierebbero sempre più.

Ed è qui che interviene il piano, l’unico che il Governo e l’Europa sono riusciti a concepire: le aperture di credito. Per i soggetti succitati, e purtroppo anche per alcuni editori o librai o presunti intellettuali, aprire nuove linee di credito con istituti bancari sarebbe la naturale decisione, una semplice mossa per restare aperti ed eliminare il problema. Quando invece sarebbe l’inizio della fine per molti lavoratori del settore. Indebitarsi ulteriormente, aggiungere altri prestiti alle scadenze e ai tributi, non è la soluzione. Continuare ad affidarsi alle banche, mettendo nelle loro mani il futuro della propria attività, è un cappio al collo per i lavoratori del settore (perché anche i piccoli librai sono per primi lavoratori nel proprio spazio). Un cappio al collo messo da un Governo, ma in realtà da tutti i governi degli ultimi anni, che ha un interesse nel rispetto e nel sostegno al mondo della cultura prossimo allo zero, e con una mera iniziativa propagandistica e vuotamente simbolica sta gettando in pasto al mercato più sfrenato altri lavoratori, sempre più schiacciati verso il basso rispetto alla loro originaria “appartenenza” ad un ceto medio impoverito dalla crisi degli ultimi anni e in balìa della crisi attuale.

In seguito a queste riflessioni, è evidente come non ci sia alcuna direzione strategica reale in questa possibilità di riapertura. Anche il semplice considerarla una scelta “simbolica” è uno schiaffo a tutti i lavoratori del settore che sono veri, in carne e ossa, e hanno bisogni veri, non simbolici. Piuttosto, pare che si sia tirato ai dadi per scegliere quali lavoratori e quali settori mandare per primi al macero. E la scelta, non ci stupisce, è ricaduta sui lavoratori delle aziende produttive finora “non essenziali” (carne da macello di Confindustria che non sa stare con le mani in mano e freme per la ripresa delle attività contro qualsiasi evidenza sanitaria e tecnica) e sui lavoratori dell’editoria, che in questo mese hanno dovuto reinventarsi da soli, abbandonati completamente a loro stessi. Il calo delle vendite dei libri in quest’ultimo mese è considerevole (ADEI stima un calo fino al 65% nel mese di Luglio e poi un 10% stabile di calo almeno fino ad Ottobre) ma a queste stime vanno aggiunti i risvolti che avranno 16 mln di copie in meno solo degli Editori Indipendenti. L’ultimo rapporto AIE sullo stato del libro in Italia ci dice, tra le altre cose, che alla chiusura delle piccole realtà si contrappone spesso l’affidamento di piccole libri a franchising e catene. Se a questo aggiungiamo che il mercato delle librerie indipendenti rappresenta ancora più della metà del totale giro d’affari sul libro, e che molte di queste si reggono anche con le vendite on-line ma come una delle opzioni di multi-canalità scelta anche dai lettori “forti” (a differenza di quelli “deboli” che scelgono anche la “prossimità” e la convenienza economica per i propri acquisti), capiamo come uno scenario del genere potrebbe presto far scivolare tanti “piccoli” nelle grinfie delle catene, con un conseguente accentramento su pochi nomi di una più grande fetta di mercato, che in un periodo di contrazione rischierebbe di portare ad una socializzazione delle perdite a scapito degli ultimi della lista.

Viene da chiedersi, allora, visto che finora in questa crisi il mondo del libro era stato completamente dimenticato, come mai sia stato considerato come cavia della prima linea in una battaglia solitaria già persa prima di iniziare. Nessuna attenzione, quindi, alle piccoli librerie, ai piccoli artigiani del libro, ai lavoratori veri, un disinteresse che non fa altro se non agevolare sempre di più la presa di tutto il mercato da parte dei magnati dell’editoria, già con le spalle coperte da gruppi mastodontici e ramificati in vari settori, capaci di cadere in terra sempre con le quattro zampe.

Mariano Mastuccino

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