Il decreto sicurezza è legge ma di sicuro c’è solo la repressione

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Il decreto sicurezza è legge ma di sicuro c’è solo la repressione

Il 7 Novembre il Senato ha approvato il Decreto legge Sicurezza e Immigrazione con 163 sì, 59 no. Il 28 dello stesso mese, anche la Camera approva con 396 sì e 99 no.

Un importante risultato per il Ministro Matteo Salvini che di fatto, vede il suo decreto correre veloce verso la conversione in legge. Garantita maggiore sicurezza e pugno duro verso l’immigrazione irregolare. Ma forse sarebbe meglio dire tanta repressione e poca sostanza. D’altronde, la lotta agli immigrati è stata da sempre il cavallo di battaglia della Lega, di cosa ci si meraviglia? Tutto piuttosto prevedibile. Il partito del Carroccio ha basato tutta la sua campagna elettorale su questo, Salvini praticamente la sua carriera politica. Il Movimento 5Stelle non ha mai nascosto di prediligere, in fatto di immigrazione, una politica filo salviniana.

Una sinistra italiana completamente devastata e ormai lontana dalla classe lavoratrice, ha facilitato la vittoria di movimenti e partiti che oggi producono decreti come questo. La situazione non era certo rosea prima di Salvini, con Minniti e il PD che, in tutti i sensi, hanno preparato il terreno per il peggioramento attuale.

Il DL Salvini prende forma con 40 articoli che vanno dall’immigrazione alle pratiche di lotta per la difesa del posto di lavoro, per il diritto alla casa, per il miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. La prima parte è composta da 14 Articoli dedicati al tema immigrazione che spaziano dalla quasi cancellazione del sistema pubblico SPRAR fino alla compilazione di una lista di paesi “sicuri”.

Cancellazione del permesso di soggiorno umanitario, ovvero, un particolare permesso che veniva rilasciato a coloro che, pur non essendo idonei per la protezione internazionale, dimostravano una grave situazione umanitaria. Il permesso aveva una durata di 2 anni e consentiva l’accesso al servizio sanitario e ai progetti di inclusione sociale. Il permesso di soggiorno umanitario verrà sostituito da 5 tipi di permessi: 1) permesso “per protezione sociale” (1 anno rinnovabile); 2) “per calamità” (6 mesi rinnovabile); 3) “per casi speciali”; 4) “per cure mediche” (1 anno rinnovabile), 5) “per atti di particolare valore civile” (solo su indicazione del Ministero dell’Interno). Va da sé che la cancellazione del permesso di soggiorno umanitario rischia di portare tantissimi immigrati titolari di tale permesso verso l’irregolarità e il lavoro nero. Realtà questa già presente in Italia con il caporalato, ma a forte rischio aumento con gli effetti del decreto e futura legge.

Viene poi esteso il prolungamento nei Centri per il Rimpatrio, da 90 a 180 giorni e amplia i reati che potrebbero portare alla revoca della protezione internazionale. In particolare, violenza sessuale, spaccio di droga, rapina, resistenza a pubblico ufficiale. Un richiedente asilo condannato in I grado potrebbe vedere non solo la sospensione della sua richiesta ma, dopo decisione della Commissione Territoriale, l’ordine di lasciare il territorio nazionale. Qualsiasi ricorso, se non riconosciuto come ammissibile, non avrà il gratuito patrocinio.

Il migrante che decide di tornare per un breve periodo nel proprio paese, rischia di non poter entrare più in Italia con revoca della protezione umanitaria. Per lo Stato questa sarebbe una contraddizione in quanto il suo spostamento andrebbe in contrasto con la storia personale da lui raccontata durante il colloquio con la Commissione.

Il superamento del Sistema SPRAR (Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) che verrà riservato solo ai titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati. I richiedenti asilo verranno destinati nei grandi centri (CARA, centro accoglienza richiedenti asilo, CAS, Centri Accoglienza Straordinaria).

Revoca della cittadinanza italiana per reati con finalità di terrorismo o eversione dell’ordinamento costituzionale. L’ottenimento della cittadinanza, inoltre, prevede l’obbligo della conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello B1.

Esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo, I che i richiedenti asilo non si possono iscrivere all’anagrafe e non possono quindi accedere alla residenza.

Questi, in generale, sono le disposizioni concernenti il tema immigrazione all’interno del decreto. In più, il maxi emendamento presentato durante il dibattito in Senato, ha portato ad una lieve modifica del decreto (in peggio, s’intende), con l’aggiunzione dell’articolo 7bis che di fatto prevede l’istituzione di un elenco di paesi sicuri (redatta da Ministero Esteri, Interno, Giustizia e con la collaborazione di enti internazionali) e con l’articolo 10 si parla di “area sicura” all’interno di paesi non presenti nella lista. Il richiedente che proviene da uno di quei paesi della lista dovrà dimostrare di avere gravi motivi che giustificano la sua richiesta di asilo; colui che invece, proviene da una paese assente nella lista potrà vedere la sua domanda rigettata qualora dovesse esistere una zona del suo paese d’origine definita “sicura”. Ancora, l’articolo 12bis prevede l’avvio di un monitoraggio sull’andamento dei flussi ai fini di chiusura delle strutture di accoglienza temporanea e l’obbligo per le cooperative sociali di pubblicare trimestralmente sui propri portali digitali, l’elenco dei soggetti ospiti.

Cosa viene fuori da tutto ciò? Una bomba sociale. Perché il conseguente rischio di irregolarità che coinvolgerà tanti individui, andrà ad ingrossare le file di quelle persone vittime dello sfruttamento del caporalato, indigenti e senza fissa dimora. Più di 140.000 persone titolari di permesso di soggiorno umanitari rischiano la marginalità.

L’ottimismo del Ministro, poi, riguardo i rimpatri cozza con la realtà. Mancano gli accordi con i paesi d’origine (quello con la Tunisia prevede non più di 40 rimpatri a settimana) e al momento, gli incontri avvenuti con diversi governi africani non hanno portato ad accordi concreti.

Ma questa bomba sociale non riguarderà solo i migranti. Tanti lavoratori, italiani e non, operanti nel settore dell’accoglienza, rischiano i propri posti di lavoro. Almeno18mila. Una categoria quella degli operatori sociali, fortemente osteggiata dallo stesso governo (che la vede come parte di quel business sull’immigrazione) e priva di una vera rappresentanza sindacale. Oltre all’eterno problema dei ritardi negli stipendi e spesso sfruttati con turni al limite dell’umano, adesso rischiano di non avere più un lavoro. Eppure quello degli operatori e assistenti sociali, è una professione che occupa una grande importanza all’interno della società.

La riduzione, prevista nella legge di bilancio, del costo per l’accoglienza giornaliera di un singolo migrante, da 35 euro a 26 euro fino a 19 (dipende dal numero di migranti ospitati nei centri), prevede secondo il Governo un risparmio di 400 milioni nel 2019, di 550 nel 2020. Al migrante verrà dato un pocket money di 2,50 euro giornaliero più una ricarica telefonica di 5 euro.

Dove si andrà a risparmiare? In servizi di integrazione fondamentali per chi è ospite nei centri. Non avendo più accesso a tali servizi in virtù del decreto sicurezza, queste persone non potranno più avere accesso ai corsi di lingua italiana, ai percorsi di inserimento lavorativo e a tutte le altre attività volte ai percorsi di inclusione sociale presenti nelle strutture CAS. Verrà ridotta la presenza del medico e quella del mediatore, così come quella degli operatori. A rischio anche gli operatori degli Sprar che probabilmente caleranno di numero.

La scelta di preferire i grandi centri (dove la criminalità organizzata ha sempre fatto BUSINESS), a realtà come quelle degli Sprar, non cammina certo di pari passo con il termine sicurezza. Perché se si sacrifica un sistema pubblico, obbligato a rendicontare tutto e (come ampiamente dimostrato) fondamentale nei percorsi di integrazione, si rischia di creare ancora più emergenza sociale.

Anche gli operatori delle Comunità per Minori stranieri rischiano di non avere più un lavoro. Se per tutto questo tempo la categoria di lavoratori del sociale non si è mai organizzata davvero a livello sindacale, adesso sarebbe il caso di farlo. Perché se per molto tempo ci si è impegnati soprattutto nella difesa dei diritti dei migranti (cosa di per sé giusta), ci si è anche dimenticati di quei fondamentali diritti che ogni lavoratore dovrebbe difendere a spada tratta. D’altronde, come ci si può impegnare nella difesa dei diritti altrui, se non si è in grado di difendere i propri?

Ma è nella seconda parte del decreto legge dove si evidenzia tutta la portata di questo attacco rivolto all’insieme della classe lavoratrice nel nostro paese, andando a colpire le forme e le pratiche di lotta e resistenza. Non a caso la mannaia repressiva si ritorce sui principali fuochi di conflittualità, dove negli ultimi anni si sviluppano lotte e organizzazione di settori del proletariato, dalla lotta per il diritto alla casa al settore della logistica, caratterizzato quest’ultimo da una forte presenza di manodopera immigrata protagonista di lotte che hanno portato alla conquista di diritti e salario attraverso pratiche che da adesso saranno punite anche con il carcere per diverse anni e la privazione della cittadinanza per il lavoratore immigrato coinvolto e i suoi familiari.

Ma non si tratta solo della logistica naturalmente, possiamo parlare ad esempio di qualsiasi settore dove i lavoratori subiscono il costante ricatto della delocalizzazione, la chiusura, il licenziamento di massa o politico, l’esternalizzazione, le false cooperative ecc.

L’occupazione delle fabbriche e terreni, da sempre per il movimento operaio una delle forme di lotta più significative e incisive, sarà punita da adesso con la reclusione fino a 4 anni per chi organizza e 2 anni per chi occupa fisicamente, venendo addirittura autorizzata anche l’intercettazione telefonica. Stesso discorso vale per qualsiasi immobile o proprietà e, come già osservato in precedenza per la circolare del 1° settembre scorso, questo si relaziona, con l’estesa attuazione repressiva, dei piani di sgomberi e sfratti senza alcuna garanzia per quei proletari, italiani e non, sottopagati, precari o disoccupati, impossibilitati a pagare un affitto o un mutuo, in assenza di una politica abitativa da parte del governo, dando così una stretta ad una forma di lotta che attacca la speculazione e la rendita immobiliare di palazzinari, grandi imprese, enti ecclesiastici, banche e istituti finanziari.

Viene reintrodotto anche il reato di blocco stradale, un’altra pratica di lotta diffusa del movimento operaio, ad esempio in occasione degli scioperi con i picchetti, che era stato depenalizzato a sanzione amministrativa mentre adesso viene prevista una pena che va dai 2 ai 6 anni per i partecipanti che può arrivare a 12 per gli organizzatori. Un reato che sarà esteso a qualsiasi manifestazione considerata “non autorizzata”, con l’estensione (persino a ospedali e presidi sanitari) anche dell’area di applicazione  del DASPO urbano istituito da Minniti per chi commetti reati relativi all’ordine pubblico.

Pertanto da un lato si consegna manodopera immigrata al lavoro nero, incrementando ulteriormente il livello di ricattabilità e sfruttamento a vantaggio della competizione a ribasso su diritti e salari della classe lavoratrice, dall’altro si semina ulteriormente la divisione al suo interno fino a colpirla con la mannaia della repressione e prevenzione di ogni tipo di lotta e di organizzazione per rivendicare i propri diritti proseguendo l’attacco già in atto dai precedenti governi alla democrazia all’interno nei luoghi di lavoro, alla rappresentanza sindacale e al diritto di sciopero.

Tutto questo non può esser separato, come alcuni tendono a fare, dall’azione complessiva del governo relegandolo solo ad una parte, ossia alla Lega di Salvini. Ne è, invece, parte integrante il M5S nella conduzione di un’opera di sterilizzazione del conflitto, attraverso la distrazione di massa, separando e contrapponendo settori della classe lavoratrice e degli sfruttati, insieme a roboanti annunci di provvedimenti presentati come “a favore del popolo” e “dei lavoratori” ma che in realtà riducono al minimo le rivendicazioni, offrono niente più di qualche briciola (quando va bene), non intaccano per nulla la sostanza di tutta la precedente legislazione filopadronale e antioperaia, senza alcun recupero di diritti, salario e posizioni, mentre al contempo si estende l’attacco antipopolare attraverso la demagogia e l’inganno aggregando in senso interclassista e nazionalista le classi popolari alla coda degli interessi della borghesia.

Diventa evidente come, giocando sui nomi, questo decreto trasformato in Legge non riguarda l’immigrazione, ossia non si toccano le cause dell’emigrazione forzata, guerre e saccheggio di cui la borghesia italiana è pienamente tra gli artefici, ma l’immigrato colpendo in particolar modo il lavoratore immigrato che si organizza con la sua classe e sotto il mantello della propaganda si colpisce la lotta e l’organizzazione di classe di tutti i lavoratori. Non riguarda la sicurezza, che non può di certo esser garantita con tali provvedimenti, ma solo in un sistema dove tutti hanno la possibilità di lavorare, in modo stabile, sicuro, con pieni diritti e un salario dignitoso, di avere una casa, sanità e istruzione gratuita, sport e cultura per il tempo libero, ecc.

Come in precedenza già dichiarato dal segr. gen. del Partito Comunista, Marco Rizzo, «La sicurezza non c’entra nulla, il decreto Salvini è un regalo ai potenti con una durissima stretta repressiva sulle lotte sociali. Dietro l’abbaglio del contrasto all’immigrazione, si nasconde il vero volto di questo governo, completamente al servizio del grande capitale. Se una lotta diventa reato e toglie la possibilità anche ai tuoi familiari di avere la cittadinanza, chiunque ci penserà due volte prima di lottare per i propri diritti. Una chiara dimostrazione di come la Lega strumentalizzi la lotta tra poveri a tutto vantaggio dei capitalisti».

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