Etiopia, una guerra volutamente incompresa

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Etiopia, una guerra volutamente incompresa

Nella foto di copertina: La politologa Aster Carpanelli assieme a Fabio Massimo Vernillo, segretario regionale del Partito Comunista e Matteo Di Cocco, responsabile comunicazione del Partito Comunista presenti alla conferenza, Roma, 20 Novembre 2022.

 

di Nicoletta Fagiolo

 

Il comitato della comunità Amhara in Italia ha tenuto il 20 Novembre 2022 a Roma una conferenza sul tema Aggiornamenti e riflessioni sulla politica contemporanea in Etiopia, seguito da un pranzo Etiope e un mercatino per raccogliere fondi per venir incontro agli urgenti bisogni di centinaia di migliaia di sfollati nella regione Amhara, alcuni sradicati dalle loro case sin dal Novembre del 2020, quando questa guerra recente è cominciata.

L’evento è stato organizzato dal giurista Melash Zeleke e dall’esperta di relazioni internazionali Aster Carpanelli, entrambi membri del comitato organizzativo, assieme a Dorrore Wondosen Kebede, Frehiwet Girma e Zerihun Gebre.

La giornalista per Affari Italiani e esperta dell’Etiopia Marilena Dolce assieme a Aster Carpanelli hanno aperto la conferenza ricordando il contesto storico dell’attuale guerra e il ruolo del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPFL) negli ultimi tre decenni della storia del paese.

Nel 1991 Mengistu Haile Mariam fu rovesciato dal Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (EPRDF), una coalizione di movimenti politici su base etnica in cui il TPLF assunse una posizione dominante.

Per quasi tre decenni, dal 1991 al 2018, il TPLF ha mantenuto una roccaforte dittatoriale in Etiopia, meglio descritta come federalismo etnico o etno-fascismo, un sistema oppressivo, violento che il giornalista eritreo Elias Amare ha equiparato ai bantustan sudafricani.

Abiy Ahmed, arrivato al potere in seguito a tre anni di massicce sollevazioni popolari, ereditando questo calice avvelenato ha promesso di porre fine all’era della politica basata sull’etnia in Etiopia: nel dicembre 2019 i principali partiti basati su etnie regionali – tre partiti costituenti dell’EPRDF, il Partito Democratico Oromo (ODP), il Partito Democratico Amhara (ADP) e Movimento democratico dei popoli dell’Etiopia meridionale (SEPDM) – si sono uniti nel nuovo Partito della prosperità. Il TPLF ha invece rifiutato di aderire al partito di nuova costituzione.

Numerosi tentativi di stabilire un dialogo con il TPFL sono stati intrapresi invano dal governo di Abiy Ahmed in seguito al loro rifiuto dell’agenda di riforma.

Il nuovo premier ha avviato le riforme politiche ed economiche con notevole zelo e rapidità record, invocando un’unità sinergica – medemer in amarico – che ormai fa parte del lessico quotidiano degli etiopi. Sul piano regionale Abiy ha stabilito la pace con l‘Eritrea e un riavvicinamento alla Somalia. L’élite al potere del TPLF, nonostante i suoi trent’anni di crimini contro i diritti umani, è stata in gran parte lasciata sola e si ritirò nella regione del Tigray nel 2018. Il Consiglio regionale del Tigray ha quindi sorpreso il governo Etiope quando annunciò che avrebbe tenuto elezioni parlamentari regionali nel 2020, nonostante il governo federale e il consiglio elettorale avevano già rinviato le elezioni per un periodo massimo di 12 mesi a causa della crisi sanitaria.

Il 9 settembre 2020 il Consiglio regionale del Tigray è andato avanti e ha organizzato le elezioni per il parlamento regionale da 190 seggi. Il TPFL è stato dichiarato vincitore e successivamente ha dichiarato che non avrebbe più riconosciuto il governo federale.

Il 3 novembre il TPFL apre il fuoco contro le caserme militari dell’esercito nazionale Etiope, a Mekelle, dove si trovava l’arsenale più importante dell’esercito federale, ma attaccando anche le caserme dell’esercito nazionale ad Adigrat, Agula, Dansha e Sero, sempre nella regione del Tigray.

Un articolo della BBC sulla crisi del Tigray in Etiopia: Come un soldato è sopravvissuto a uno scontro a fuoco di 11 ore, fornisce un resoconto straziante del destino dei soldati dell’esercito nazionale, la Forza di difesa nazionale etiope (FDNE) attaccati e colloca fino a 10.000 il numero dei prigionieri politici. Molti soldati sono stati inviati oltre il confine regionale nella regione Amhara per unirsi ai campi per sfollati interni, migliaia di altri furono uccisi o tenuti in cattività per servire lo sforzo bellico del TPLF.Il 4 novembre 2020 il primo ministro Abiy Ahmed, avendo fino a quel momento rifiutato l’uso di un intervento militare, ha inviato truppe nel Tigray. «L’Etiopia ha intrapreso un’azione militare legittima nella sua provincia del Tigray per preservare l’unità e la stabilità del paese», ha dichiarato il presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat a seguito di una riunione dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) nel dicembre 2020, sottolineando che la campagna militare dell’Etiopia nella sua provincia del Tigray era “legittima per tutti gli stati”. Nonostante queste dichiarazioni dell’UA e dell’IGAD in seguito all’attacco delle caserme da parte del TPLF la stampa e la diplomazia occidentale, ribaltando i fatti, presenterà invece la situazione come un attacco del governo di Abiy contro il Tigray.

La diffamazione martellante del governo di Abiy e dell’Eritrea comincia da parte del TPLF. Questa narrazione ingannevole sulle origini del conflitto ha anche portato ad abbracciare una politica poco efficace nei successivi processi di pace: Marilena Dolce in proposito ricorda nell’articolo Etiopia, Tigrai: uno scontro che l’Occidente fatica a comprendere del Aprile 2021 una testimonianza anonima di un diplomatico dell’Unione Europea : «Certo l’Italia avrebbe potuto essere più presente nella questione del Tigrai. Però abbandonare il mainstream non è semplice…neppure l’Unione Europea l’ha fatto. Hanno detto invece che per fermare il massacro nel Tigrai, le parti, (ndr, TPLF e governo federale) avrebbero dovuto mettersi intorno a un tavolo per discutere. Senza capire che era come chiedere al governo di Madrid, attaccato militarmente dalla Catalogna, di sedersi al tavolo e trattare. Poi va anche detto che nella UE ci sono molte persone che conoscono bene i vecchi rappresentanti del TPLF che erano al governo con Meles Zenawi (ndr, primo ministro etiopico, dal 1991 alla morte, 2012). Gente considerata l’intellighenzia del Paese da cui per tanti europei è difficile prendere le distanze.»  

Marilena Dolce,  anche esperta di analisi delle fonti primarie quali foto o registrazioni, ha svelato il falso in più di una notizia su questa guerra: «clamoroso il caso della giovane “Monna Liza”, per la stampa occidentale vittima e simbolo degli abusi dei soldati etiopici, che successivamente si è scoperto essere una combattente del TPLF ferita durante l’attacco del 4 novembre al Comando Nord.»

Secondo il TPFL Axum sarebbe stato nel Novembre del 2020 teatro di un massacro costato la vita ad un centinaio di civili, ma secondo Marilena Dolce è una notizia falsa, anche se riportata da Amnesty International: «Un filmato dalle televisioni locali, messo in onda durante il festeggiamento, mostra moltissime persone davanti alla chiesa di Santa Maria di Sion a Axum, proprio il 30 novembre, giorno seguente a quello del presunto massacro; per non dire del prete ortodosso, presunto testimone oculare dei massacri di Axum e dell’incendio della sua stessa chiesa, che in realtà̀ non era un prete ma un signore di Boston ingaggiato nel ruolo. (…) Inoltre l’immagine postata sui social, che mostrerebbe i morti di Axum allineati sul terreno, è in realtà̀ una foto che si riferisce a un attacco di Boko Haram in Nigeria.»

Francesca Ronchin, autrice del recente libro IpocriSea, Le verità nascoste dietro ai luoghi comuni su immigrazione e ONG, giornalista, reporter e contributor di Panorama ha ricordato i tanti esempi di disinformazione attorno a questa guerra che vanno dalle accuse prive di fondamento secondo cui il governo etiope stava bloccando tutte le comunicazioni, gli aiuti umanitari o l’ingresso di giornalisti nella regione del Tigray; l’inversione degli autori e delle vittime nel massacro di Mai Kandra; il ruolo dell’Eritrea che fu anch’essa attaccata dal TPLF nel Novembre del 2020; l’omissione sul ruolo storico di 27 anni di governo del TPFL.

In un recente viaggio in Etiopia nel luglio scorso Francesca Ronchin ha potuto verificare il reclutamento forzato di bambini da parte del TPLF e la devastazione estrema nelle zone Afar e Amhara, aree del conflitto ignorate da gran parte dei media.

Francesca Ronchin ha poi sottolineato il ruolo poco corretto dell’attuale Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedoros Adhanom Ghebreyesus. In un suo articolo recente in proposito la Ronchin scrive: «Tra i principali alfieri di questa narrativa, da due anni, proprio il Dr. Tedros, come viene comunemente chiamato nonostante sia il primo numero uno della sanità a non avere una laurea in Medicina. Un pensiero fisso, il Tigray, che da mesi gli sta talmente a cuore da dichiarare apertamente in più occasioni che la questione “lo tocca personalmente”, da inserirlo nel corso di conferenze stampa dedicate all’Ucraina, da ricorrere persino al tema del razzismo pur di dirottare l’attenzione mediatica sulla regione. Una preoccupazione la sua che potrebbe essere legittima se il ruolo che ricopre non imponesse assoluta imparzialità. Il codice deontologico dell’organizzazione mondiale della sanità infatti impone ai propri indipendenti totale imparzialità, di astenersi dall’esprimere le proprie opinioni nonché dal prendere parte ad azioni politiche in grado di interferire con le politiche e gli affari di governo (sezione 5.8, parte 94, p.33-34).»(…)

«Non solo. Dopo aver gridato al mondo di essere vittima di pulizia etnica e di una crisi umanitaria, curiosamente il TPFL ha trovato le risorse e le energie per attaccare le regioni circostanti Amhara e Afar provocando migliaia di morti e milioni di sfollati interni. Le dichiarazioni delle agenzie ONU inoltre hanno confermato il sospetto che i primi responsabili della crisi umanitaria in Tigray fossero proprio le presunte vittime. Il responsabile di USAID in Etiopia Sean Jones lo aveva ammesso già nel settembre 2021, interi magazzini di aiuti umanitari destinati ai civili erano stati saccheggiati dai ribelli del TPFL e lo scorso agosto, il portavoce ONU Stephane Dujarric aveva accusato sempre il TPLF di aver rubato 570 mila litri di carburante essenziale per le operazioni umanitarie del World Food Program proprio in Tigray. Di questo però sui media internazionali non si è praticamente parlato.»

Francesca Ronchin ha anche sviluppato il tema della strumentalizzazione della parola genocidio dalla parte del TPLF notando che su twitter il hashtag #Tigray genocide era già diventato virale sin dal 4 Novembre 2020, quando il conflitto non era ancora cominciato.

La ricercatrice e regista Nicoletta Fagiolo ha sottolineato un blueprint ricorrente nelle azioni e nei mezzi usati da stati imperialisti, pescando il termine coniato nel 2018 del ex-agente della CIA e oggi attivista Ray McGovern, di MICIMATT, il complesso Militare-Industriale-Congressuale-Intelligence-Media-Academia-Think-Tank-per spiegare la rete gigantesca a disposizione del deep state degli Stati Uniti d’America, cresciuta in modo sproporzionato dal MIC (complesso industriale militare) che il Presidente degli Stati Uniti d’America Dwight D. Eisenhower denunciò come un pericolo crescente per la democrazia nel suo discorso di addio del 1961.

Fagiolo ha fatto notare come l’accusa, infondata, nell’ottobre 2022 da parte di Pramila Patten, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale nei conflitti, che Vladimir Puttin stava dando il viagra ai suoi soldati per usare lo stupro come arma di guerra in Ucraina è lo stesso copione che fu usato dall’amministrazione Obama in Libia contro Muammar Gheddafi.

Manifestazione #nomore a Washington D.C., USA, 11 Dicembre 2021.  

 

Fagiolo ha ricordato che durante la recente crisi Etiope è nato il movimento  #nomore per contrastare la dirompente disinformazione, e ha citato il rapporto del medico e attivista americano eritreo Simon Tesfamariam, uscito del maggio 2021  Disinformazione nel Tigrai, Fabbricando consenso per una guerra secessionista: Tesfamariam vi identifica i principale protagonisti, giornalisti e accademici, che spingono per politiche di cambio di regime e le loro rispettive think tank /media per le quali lavorano, come Alex de Waal (World Peace Foundation), William Davison (International Crisis Group), Matt Bryden (Sahan Research), Martin Plaut (Eritrea Hub) o Mirjam van Reisen (EEPA, (Europe External Program with Africa).

Fagiolo ha evocato che 10 milioni di congolesi sono morti sotto il regno coloniale del re belga Leopoldo II. Invece dal 1996, cioè dalla prima invasione da parte del Uganda e del Ruanda del Congo (all’epoca Zaire) a oggi 12 milioni di Congolesi sono morti e i massacri continuano a livello quotidiano nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Il paese ha anche 5,5 milioni di sfollati. In una recente intervista dell’attivista Etiope Hermela Aregawi ad uno scrittore attivista Ruandese Claude Gatebuke, Gatebuke fa un parallelismo avvincente fra la crisi Etiope e quella nella Repubblica Democratica del Congo: il Ruanda di Paul Kagame e il suo partito il FPR (Il Fronte Patriottico Ruandese) svolge in Africa centrale il ruolo che ha avuto il TPFL, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, in Etiopia e nel Corno d’Africa.

Come il TPFL anche il Ruanda di Paul Kagame è un regime fantoccio che fa le guerre proxy, per procura, degli Stati Uniti d’America, e recentemente anche per la Francia dove in Mozambico soldati Ruandesi sono presenti a Cabo Delgado (contro il parere della SADC, la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale), in Sudan, in Centrafrica, ma soprattutto nell’occupazione dell’est del Congo dal 1996 via delle finte ribellioni, dalla prima nel lontano 1996, l’AFDL,  che fu camuffata come una ribellione Congolese contro Mobutu e in seguito cambiando acronimi : RCD-Goma, CNDP, M23, ADF. Queste aggressioni Ruandesi (e Ugandese, l’Uganda infatti è stata condannata dalle Corte internazionale di giustizia per le sue prime aggressioni) sono ampiamente documentate dai rapporti del Panello degli Esperti ONU sin dal 2001.I massacri continuano ogni settimana nell’est del Congo ma l’aggressione e l ‘occupazione Ruandese viene occultata dal MICIMATT, invece si parla di lotte etniche comunitarie, di decine di gruppi armati e recentemente, dal 2014, anche fabbricando un improbabile pericolo jihadista, come cause principali di questa guerra, che ormai perdura da un quarto di secolo. Il gruppo di estremisti Tutsi della dittatura di Paul Kagame in Ruanda oggi, prima di attaccare il Congo nel 1996 (all’epoca Zaire), invasero il Rwanda nel 1990 dall’Uganda. Questo colpo di stato appoggiato da USA-UK-Uganda in Ruanda dal 1990 al 1994 è stato venduto al mondo come un genocidio Tutsi: questa narrazione falsa, ma egemonica e istituzionalizzata da ormai 25 anni, sta oggi crollando di fronte alle rivelazioni di archivi storici, studi sociologici, testimonianze e ricostruzioni storiche e giuridiche.

Perciò chiunque oggi svela realtà storiche scomodo sul regime di Kigali e/o i suoi sostenitori viene bollato come “negazionista”: recentemente in Francia è stato depositata un’istanza per negazionismo da parte di tre ONG rinomate contro lo storico franco-Camerunense Charles Onana, esperto della geopolitica dei Grandi Laghi.  Una petizione è stata lanciata in Inglese e Francese a sostegno della libertà di ricerca storica di Charles Onana. Il giurista Melash Zeleke, ricordando che l’Etiopia è il secondo paese più popoloso dell’Africa, con oltre 117 milioni di abitanti, in cui si parlano oltre 80 lingue, ha focalizzato il suo intervento sul sistematico genocidio degli Amhara e le sofferenze subite da loro in particolare negli ultimi due anni.  Zeleke ha evocato la pacifica storia che le comunità Amhara hanno avuto con le altre comunità Etiope prima dell’avvento del regime del TPLF e chiede che la politicizzazione dell’identità tribale cessi in nome di un paese multietnico e pacifico. Il seme del tribalismo, e dunque la causa dei conflitti etnici estesi attuali, è stato piantato in Etiopia con l’avvento al potere dell’EPRDF nel 1991 e l’adozione di una costituzione a base etnica. Secondo Zeleke è lo stato amministrato da un sistema federalista di tipo etnolinguistico che ha alimentato le tensioni e gli scontri generando una politica repressiva. Zeleke cita il Professore di Addis Abeba Belaku Atnafu Taye che sottolinea come non è il federalismo per se ad essere alla radice del problema, ma le forme della struttura federale (su basi etnica) unita alla politicizzazione dell’identità tribale: «Tre paesi africani (Etiopia, Sudafrica e Nigeria) hanno scelto una forma di governo federale per accogliere la diversità etnica. La struttura federale nigeriana è quella di dare legittimità al territorio rispetto all’etnia distribuendo il nucleo della popolazione di ciascun gruppo etnico in diversi stati e quindi la struttura federale della Nigeria aiuta a evitare la cristallizzazione dell’identità etnica attorno a un particolare territorio. I costituenti sudafricani hanno respinto le rivendicazioni di alcuni gruppi etnici allo status di autogoverno sulla base della loro identità etnica distintiva, mentre l’organizzazione dello stato etiope è fondata sul federalismo etnico, che utilizza i gruppi etnici come unità di autogoverno. (…) L’etnia stessa (o la nostra naturale differenza) non può essere fonte di conflitto. Allo stesso modo, la costituzione ghanese vieta severamente qualsiasi partito politico organizzato sulla base dell’identità etnica

Gli interventi alla conferenza hanno tutti mostrato i danni che una narrativa geopolitica semplificata, o peggio, volutamente falsa, può recare a obbiettivi di giustizia e pace. I recenti accordi di pace tra il governo federale dell’Etiopia e il TPLF, firmato il 2 Novembre 2022 a Pretoria, in Sud Africa, e l’incontro fra il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi con il ministro degli Esteri ruandese Vincent Biruta a Luanda in Angola questo fine novembre 20022 per arrivare a un cessate il fuoco, difficilmente potranno contribuire a ristabilire la pace se permettono a gruppi armati di dialogare alla pari con governi legittimi. In fondo alla sala della conferenza sono appese foto di tre giornalisti Etiopi: Gobze Sisay e Temesgen Desalegn di recente ripetutamente arrestati in condizioni brutali e rilasciati solo pagando alte somme di denaro e l’anziano storico e giornalista Tadiuos Tantu ancora detenuto, perseguitati solo perché non si arrendono nell’allertare sulla sorte della popolazione Amhara nell’attuale crisi. Non sono gli unici civili a subire tali soprusi sotto l’attuale governo di Abiy, ma esempi lampanti di individui che lavorano per tramandare fatti, analisi e opinioni sugli eventi vissuti, gli unici spunti per tracciare una storia più veritiera, e dunque anche le basi per una pace duratura.

 

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