“LA POLITICA È UNA COSA TROPPO IMPORTANTE PER LASCIARLA FARE AI POLITICI”

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“LA POLITICA È UNA COSA TROPPO IMPORTANTE PER LASCIARLA FARE AI POLITICI”

La frase sul “pilota automatico” alla guida dell’Italia fu espressa da Mario Draghi nell’ormai lontano 2013, quando era alla guida della BCE. La stessa frase sembra risuonare oggi nelle sue parole alla discussione al Senato sulla fiducia al suo Governo.

In questo discorso possiamo leggere in trasparenza il suo programma, che già potevamo intravedere, prima, nel percorso che ha portato alla caduta del Governo Conte II, poi nella lista dei ministri presentata e in ultimo nell’appoggio (quasi) unanime che ha raccolto in Parlamento.

Cerchiamo di capire però cosa è e cosa non è questo pilota automatico.

«Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, … ».

Questa è la collocazione internazionale irreversibile in cui il nostro Paese viene messo. Ma è una novità questa? Diremmo proprio di no. Questa scelta la classe dominante italiana l’ha già fatta anni fa, quando ha messo il pareggio di bilancio in Costituzione, quando ancor prima ha accettato la Costituzione europea, ma si potrebbe risalire ancora più in là, fino all’entrata nel sistema dell’euro e finanche nel famigerato divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro.

Ma occorre capire perché è successo questo: quali sono gli interessi che hanno premuto per questa collocazione? Come in tutti i processi storici, ci sono forze che ne condividono in pieno le motivazioni, altre parzialmente e altre che ne vengono trascinate per impossibilità ad opporsi.

Certamente possiamo delineare un “gradiente” che va dalla borghesia monopolistica, a quella che, indipendentemente dalla stazza, ha forti propensione all’export e, scendendo giù giù, fino a quella meno forte, meno “innovativa”, meno protetta rispetto alla crisi. Non è tanto la dimensione dell’impresa a caratterizzare questi interessi, ma la collocazione rispetto alle filiere internazionali. Una piccola impresa del nord est, perfettamente integrata nella filiera produttiva tedesca ha grande interesse a permanere nell’UE, anche se poi deve litigare rispetto alla suddivisione dei profitti coi colleghi d’oltralpe. Anche i grandi colossi finanziari legati alle banche francesi hanno tutto l’interesse a stare in questo conglomerato, anche se poi devono evitare di essere completamente sopraffatti ed essere ingurgitati.

Ma è la seconda parte della frase che è degna di nota e dà il senso dell’orientamento di Draghi:

«… significa condividere la prospettiva di una Ue sempre più integrata che approderà a un bilancio comune.»

In particolare Draghi ammonisce: l’Italia dovrà rafforzare il rapporto «strategico e imprescindibile con i partner con i quali la nostra economia è più integrata», nell’ambito di un governo che «sarà convintamente europeista e atlantista».

«La pandemia ha rivelato la necessità di perseguire uno scambio più intenso con i partner con i quali la nostra economia e più integrata.» E ciò comporterà «la necessità di meglio strutturare e rafforzare il rapporto strategico e imprescindibile con Francia e Germania».

Il Sole 24 Ore del 18 gennaio fa una breve sintesi di questi rapporti:

«La Germania è il primo partner commerciale, 127,7 miliardi di euro l’interscambio commerciale nel 2019 (58,1 miliardi l’export italiano, 69,6 miliardi l’import). Con la Francia l’interscambio è di 80,9 miliardi (434 miliardi export, 37,5 miliardi import), oltre 2mila imprese di ciascun paese appartengono a investitori dell’altro Stato. Tra Francia e Italia ci sono fusioni societarie rilevanti (casi più recenti sono Fiat-Psa e EssilorLuxottica, St nei semiconduttori). Nelle banche è la Francia a possedere istituti italiani. Ci sono collaborazioni tra Italia e Francia nell’industria navale, nei satelliti, nei missili. Restano molte aree in cui Francia e Germania premono per rafforzare l’integrazione, dall’elettronica all’aeronautica.»

Anche sul capitolo istruzione e ricerca Draghi cita solo Francia e Germania, come esempi da seguire.

È un caso che gli USA non vengano nominati se non per un riferimento d’obbligo? Draghi dice:

«L’avvento della nuova amministrazione Usa prospetta un cambiamento di metodo, più cooperativo nei confronti dell’Europa e degli alleati tradizionali. Sono fiducioso che i nostri rapporti e la nostra collaborazione non potranno che intensificarsi.»

Speriamo per lui che Draghi l’abbia detto solo per galateo istituzionale, perché se ci crede davvero, avrà delle bruttissime sorprese!

Quindi, tornando all’inizio del nostro discorso, altro che “pilota automatico”! Queste sono scelte fortissime politiche che l’Italia non è riuscita mai a fare, da Prodi a Berlusconi, fino ai due governi Conte.

E questo spiega perché i ministeri che contano siano stati affidati ai tecnici che non risponderanno di nulla ai propri elettori e danti causa. La cosiddetta politica, intesa come insieme dei politici (politics), viene del tutto commissariata e avanza invece la politica come organizzazione scientifica finalizzata al raggiungimento di obiettivi anche non condivisi, ma sufficientemente forti da potersi imporre attraverso l’applicazione pratica di un insieme di principi che finiscono per dare vita a protocolli o procedure di intervento (policy). Non è un caso che in italiano non abbiamo la possibilità di definire con termini diversi i due concetti di politica, mentre ce l’abbia l’inglese.

La politica è una cosa troppo importante per lasciarla fare ai politici, si potrebbe sintetizzare, parafrasando la celebre frase di Georges Clemenceau: “La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari.

L’Italia viene collocata in un contesto europeo in posizione predominante. Ne fa testimonianza il riferimento agli altri paesi:

… «occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro».

Cosa delinea tutto questo? Due cose fondamentali.

Primo, la crisi pandemica deve essere sfruttata per ricollocare il capitalismo italiano in una fascia alta dell’imperialismo europeo, al pari di Francia e Germania e l’area mediterranea può e deve diventare un’area di “influenza” privilegiata italiana.

Secondo, non si parla degli USA per quanto riguarda l’economia, ciò può voler dire fare una barriera alla pervasività statunitense in politica estera, barriera che può essere eretta solo in collaborazione coi due giganti europei. D’altro lato non si parla (per prudenza?) dei rapporti al di fuori dell’orizzonte occidentale. Cina e Russia, per non parlare del resto del mondo, non esistono neanche nel discorso di Draghi. Tutto ciò va nella direzione di quello che è stato chiamato un “ritrinceramento” della cittadella europea, soprattutto dopo la Brexit. Nel prossimo scontro tra USA e il resto del mondo fuori dall’occidente che ne sarà della navicella europea? Già la Merkel, per quanto in uscita, ha continuato a porre paletti allo scorso G7: «le sanzioni non hanno funzionato con la Russia», la Cina «da un lato è un concorrente, dall’altro ne abbiamo bisogno». Cartina di tornasole sarà la soluzione del completamento del North Stream 2, il raddoppio del gasdotto che va direttamente dalla Russia alla Germania, a cui si oppongono strenuamente gli USA.

Del resto, che Draghi non sia stato chiamato per svendere un tanto al chilo gli interessi dell’Italia (intendendo per “Italia” la sua parte dominante) è apparso subito chiaro, bensì per ricollocarla in una posizione di arroccamento delle classi dominanti. Non dimentichiamo che Draghi col suo famoso “what ever it takes” eresse un argine fortissimo all’euro e ai debiti nazionali, facendo sì che il ricorso al MES fosse superfluo e infatti non si attuò. Insomma l’Italia non può finire in serie B. Non conviene né al capitalismo italiano, né a quello tedesco o francese. La commozione che si è avvertita nella chiusura del suo discorso, quando ha citato “l’amore per l’Italia”, è sincera. Si tratta di capire cosa è per lui e il suo gruppo “l’Italia”.

Quello di Draghi è il ragionamento di un banchiere, che guarda agli asset forti, capisce quali sono gli altri attori che hanno gli stessi interessi, individua le minacce sistemiche e quelle transitorie, i settori da dismettere e quelli da rafforzare, individua la mission principale … e si regola di conseguenza. Né più né meno di ciò che insegnano i manuali. Nulla per cui gridare al miracolo.

Dal discorso di Draghi è chiaro che non finiremo come la Grecia, o almeno le correnti che lo hanno portato al governo si opporranno strenuamente.

Il punto però è: come finiremo?

Quali saranno i costi in termini di ristrutturazione generale dell’economia:

«Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.»

Traduciamo: lacrime e sangue. Ma, attenzione, non è cattiveria, è l’unico modo che ha il capitalismo per riformarsi, in parte cannibalismo, in parte abbandono per strada dei deboli, nonostante quello che si proclama. È una logica di cambiamento ed evoluzione che si fonda sempre e comunque sulle forze del mercato senza mai metterle in discussione.

Per adesso è stata distribuita la “farina” nelle piazze, come facevano i sovrani durante le carestie per evitare le sommosse, ma ora la farina sta finendo e si dovranno pagare i conti. La gente morirà di inedia a uno a uno, cosa che passerà senza grandi proteste, a meno che …

… a meno che non si riesca a comprendere quello che ci si prepara, dopo che la vecchia politica che mediava (della politics) si è dissolta, ora avanza la policy dei tecnocrati che non guarda in faccia nessuno, ma solo i bilanci trimestrali.

… a meno che non ci sia una opposizione sociale e di massa che capisca quello che sta succedendo e non voglia fare la fine della rana bollita che muore piano piano senza rendersene conto.

… a meno che non nasca una nuova politica per le classi oppresse, che sappia elaborare strategia, tattica e mettere in campo organizzazione.

Per questo il Partito Comunista ha lanciato la proposta per il 27 febbraio di una manifestazione nei territori, non solo per “mostrare la bandiera”, ma per dire ai lavoratori italiani che devono comprendere con precisione cosa si sta preparando, devono unirsi in base ai loro interessi e non di quelli della classe dominante che li userà come cadaveri su cui arrampicarsi e costruire la nuova fortezza Italia.

Questa volta davvero, come non mai, i lavoratori devono farsi classe dirigente nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nella società per proporsi come l’unica forza che può interpretare gli interessi del popolo italiano, che non può arrendersi a una prospettiva di un futuro governato dai tecnocrati al servizio di chi domina e ha sempre dominato ed è il vero responsabile della situazione in cui si trova il paese.

Caro Draghi, il nostro “amor di patria” è diverso, anzi è opposto al tuo.

La nostra patria è quella dei lavoratori e non quella delle banche.

2 Comments

  1. Luigi ha detto:

    Grazie compagni,
    Illuminanti come sempre. A volte penso che il destino della rana bollita sia inevitabile, la pigrizia di quanti trovano ogni giustificazione per restare attaccati a netflix, playstation ecc… è sconcertante.
    Ferma restando la necessità del nostro lavoro politico.

  2. Luigi ha detto:

    C’è da chiedersi cos’è più scandaloso:
    se la provocatoria ostinazione dei potenti a restare al potere
    o l’apolitica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza.

    Pier Paolo Pasolini

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