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Ombre sulla pace in Colombia

A scrutinio ormai completato il 51,2% dei Colombiani si è espresso contro l’accordo di pace siglato tra le FARC-EP e il governo colombiano nella consultazione referendaria di ieri. Un referendum segnato dalla scarsa affluenza, al di sotto della metà degli aventi diritto e da un esito imprevisto che, per soli 65 mila voti, rovescia tutte le previsioni della vigilia. Il sì è risultato vittorioso in tutte le regioni coinvolte in questi decenni dagli scontri tra guerriglieri e forze armate colombiane, mentre il no ha prevalso nettamente nelle grandi città, che hanno pesato maggiormente in termini di voti.

Lo scenario che si apre adesso è molto incerto, nonostante sia il governo colombiano che gli alti comandi delle FARC abbiano sempre detto che il processo di pace è ormai irreversibile, la destra di Uribe da sempre contraria all’accordo fa pesare la sua inaspettata vittoria referendaria. Per chi conosce la storia della Colombia non sarebbe la prima volta che un processo di pace venga interrotto, come accadde nel 1984 e nel 1998, casi in cui la disponibilità alla pacificazione da parte delle FARC-EP si è sempre convertita in nuovi e più violenti attacchi verso l’esercito popolare comunista. (per una sintesi della storia dell’accordo e dei precedenti qui)

Intanto dall’America Latina si leva qualche prima voce di riflessione critica sull’accordo. Dal Cile i rodriguisti del Movimento Patriottico Manuel Rodriguèz, erede politico del FPMR, la formazione politica militare di stampo marxista-leninista, che combatté il regime di Pinochet prima come braccio del PCC poi allontanandosi da questo, con una lettera ai compagni delle FARC-EP nella quale ricordando la solidarietà e l’amicizia decennale tre le organizzazioni, «con umiltà» e consapevolezza che si tratta di «accordi presi da rivoluzionari che per oltre 50 anni sono stati sotto le armi, e qualsiasi decisione merita il rispetto di noi rodriguisti» fanno pesare tutti i loro dubbi. «Tutti noi rivoluzionari – si legge nella lettera – vogliamo la pace, ma la pace a cui aspiriamo è una pace con giustizia sociale, così come lo erano le richieste iniziali che il processo di pace aveva. Sinceramente negli accordi di pace, non riusciamo a vedere la giustizia sociale mentre vediamo la gioia di tutte le classi dirigenti dell’America Latina, che celebrano l’accordo con il chiaro intento di generare più profitti per le multinazionali […] Ci affliggono molti dubbi e certezze in alcuni casi. Le forze armate colombiane legate a traffico di droga, paramilitarismo e comando subordinato agli Stati Uniti, non hanno alcuna modifica […] Il modello economico della Colombia, che è una parte fondamentale dell’Alleanza del Pacifico, non cambia affatto, per questo motivo i capitalisti, tra cui i cileni sono felice con l’accordo […] In questo senso con grande rispetto, abbiamo più dubbi che certezze nel cambiamento di tattica nella lotta delle FARC-EP.»

L’esito del referendum voluto dal presidente colombiano Juan Manuel Santos pesa come un macigno sulla sua figura politica, e in caso di caduta da parte del governo, potrebbe lasciare spazio a quelle fazioni colombiane che non vogliono il processo di pace, o in ogni caso chiamare ad una diversa ponderazione delle condizioni, rendendolo più sfavorevole ai guerriglieri. Non è un caso che i media internazionali stiano da ore insistendo proprio su questo, sostenendo che i colombiani non hanno bocciato il processo di pace ma quelle che vengono considerate posizioni troppo arrendevoli da parte del governo colombiano nei confronti della formazione dei guerriglieri, ossia l’accordo Santos-Timochenko. E forse in un contesto in cui la volontà di pacificazione appare generale e a livello internazionale tutto il continente si è espresso favorevolmente, basti pensare alla mediazione cubana e al sostegno vaticano sull’accordo, il finale potrebbe purtroppo essere proprio quello della compressione ulteriore dei margini dell’accordo. Perché in ogni caso gli imperialisti hanno sempre cercato una cosa ben diversa dalla pace: la resa.

 

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