Sul giornale Pravda (n. 83 (30870) il 2-5 agosto 2019) del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) è comparso un importante e significativo articolo a firma del membro del CC Viktor Truškov, relativo alla solidarietà tra capitalisti contro la classe operaia con riferimento al caso degli scioperi vietati alla Lukoil di Priolo (Sr) su richiesta dell’ambasciata russa in Italia al ministro degli interni Salvini con ordine eseguito dal Prefetto di Siracusa Luigi Pizzi (leggi qui comunicato della federazione locale del Partito Comunista). L’articolo è stato ripreso e rilanciato dal nostro partito fratello del Partito Comunista Operaio Russo (RWCP), che raccogliamo e mettiamo integralmente a conoscenza della classe lavoratrice del nostro paese, ed in particolare degli operai e operaie del Polo petrolchimico siracusano.
Esso mette in luce il corretto approccio che i comunisti e i lavoratori di tutto il mondo devono tenere nei confronti della borghesia dei propri paesi e i loro governi. Dimostra come, al di là del paese di appartenenza, i proletari sono uniti dagli stessi interessi di classe che sono inconciliabili con quelli dei capitalisti. Bisogna pertanto respingere le trappole e inganni che mirano a dividere e indebolire i lavoratori trascinandoli al rimorchio degli interessi della borghesia, qualunque siano le forme con cui essi si presentano, dotanto invece la classe operaia della sua unità e indipendenza nella comune lotta internazionale per rovesciare il capitalismo nei rispettivi paesi.
L’articolo è corredato da un commento del c. Tyulkin, Primo segretario del CC del Rot Front,* che sottolinea le contraddizioni che attanagliano il PCFR, che nonostante ospiti articoli così validi, poi nella pratica politica si dimostra collaterale alle politiche borghesi putiniane.
(Traduzione a cura del dip. Internazionale del Partito Comunista).
Notizie del genere sono estremamente rare sui media mondiali. In effetti, per un lettore o un telespettatore non molto politicizzato, può apparire sensazionale la notizia che, per ordine del vice-premier e ministro degli interni dell’Italia, Matteo Salvini, è stato deciso di vietare lo sciopero in una raffineria petrolifera in Sicilia, di proprietà … della società “Lukoil”. Motivo del divieto è stata la richiesta … dell’ambasciatore russo a Roma. Il rappresentante plenipotenziario della Federazione Russa si lamentava del fatto che le proteste degli operai italiani, impiegati nell’impianto di proprietà di una delle più grandi società russe, recano un serio danno all’immagine dell’azienda e le hanno già causato perdite per alcuni milioni di euro.
La CGIL, di cui fa parte il sindacato degli operai della raffineria di Priolo, si è rivolta al tribunale. Durante il processo è stata mostrata anche la lettera dell’ambasciatore della Federazione Russa al vice-premier italiano, nella quale l’autore faceva presente che «la parte russa cerca sempre di garantire condizioni di massimo favore alle aziende italiane operanti nella Federazione Russa».
Questo non banale fatto ha messo in luce molti altri aspetti sostanziali del capitalismo, sia russo che mondiale, che non possono non essere considerati nell’elaborazione della strategia e della tattica del PCFR, soprattutto in relazione al potere statuale russo e all’oligarchia nazionale.
In primo luogo, anche adesso, quando nel mondo capitalistico è iniziata la consueta spartizione del pianeta, che inasprisce bruscamente la concorrenza tra compagnie transnazionali (e «Lukoil» indubbiamente lo è) e stati, come sempre emerge in prima linea la solidarietà di classe dei predatori, quando i lavoratori salariati cercano di contrastarli. Certamente, il Ministero degli Interni italiano, vietando lo sciopero nella raffineria siciliana, esprimeva non solo la solidarietà borghese ai padroni di «Lukoil», ma allo stesso tempo difendeva gli interessi dei propri businessmen, avvertendo gli operai che non sarà loro consentito di intaccare i profitti anche dei possidenti italiani. Tuttavia, nella lettera dell’ambasciatore è detto chiaramente che il potere in Russia rispetta le regole del capitale globale. Ne consegue che, nel secolo della globalizzazione all’americana, il mondo non è affatto unipolare, ma in esso, come sempre, vi sono due poli: la borghesia e il proletariato.
In secondo luogo, la sciocchezza, largamente diffusa, che in politica estera il Cremlino pratichi una linea di difesa degli interessi nazionali, non ha nulla a che vedere con la realtà. Il Cremlino e il suo inquilino principale difendono solo gli interessi che rispondono alla natura predatoria del capitale. Non è casuale che l’ambasciatore, probabilmente su incarico se non dell’entourage di Putin almeno del suo governo, abbia scritto che il potere in Russia crea le condizioni di maggior favore per il capitale straniero e non per gli operai russi, da questo sfruttati. Nei riguardi del capitale internazionale la linea degli «statalisti» putiniani non si distingue in nulla da quella dei neoliberali nostrani, poiché sia gli uni che gli altri non sono nient’altro che compradores. Per questo il popolo lavoratore di Russia e il PCFR, che ne deve rappresentare gli interessi, non hanno alcuna ragione di sostenere la politica estera del Cremlino.
In terzo luogo, sia in politica estera che in politica interna, l’attuale regime russo tutela non il popolo, non gli interessi nazionali, ma i portafogli di coloro che sfruttano sia il lavoro salariato che le ricchezze naturali della Russia. Non è un caso che l’ambasciatore, nella sua qualità di rappresentante del regime attuale, si rattristi del fatto che Alekperov (padrone di Lukoil, ndr) e i suoi accoliti, a causa dello sciopero nella cittadina italiana di Priolo, abbiano perso alcuni milioni di euro. Ne consegue che la crescita annua dei redditi dei miliardari in dollari con residenza russa è determinata prevalentemente non dal loro talento economico, ma dall’instancabile cura che lo stato borghese dedica alle loro sostanze. Alla fine dell’anno scorso, il patrimonio complessivo dei 98 maggiori ricconi russi ammontava a 421 miliardi di dollari, quasi il livello di tutte le riserve auree e valutarie della Banca Centrale di Russia, mentre la metà della popolazione lavoratrice della Russia percepisce una retribuzione nominale, cioè al lordo delle tasse, pari a 34.335 rubli, che la costringe a infilare la testa nel capestro debitorio. Tuttavia, l’ambasciatore, a nome del potere federale, in sostanza ricorda al vice-premier italiano che il regime attuale non appoggerà gli scioperanti russi, scontenti dei bassi salari. In considerazione di ciò, come ci si può meravigliare che il patrimonio dei miliardari russi in dollari superi i risparmi di tutti i cittadini della Russia, depositati nelle banche del nostro paese? Il caso italiano ancora una volta conferma che non ci può essere pace tra sfruttati e sfruttatori, né tra gli ulivi, né tra le betulle.
Occorre ricordarlo ancora, perché la notizia del divieto di sciopero in Italia su richiesta dell’ambasciatore russo è comparsa nei giorni in cui Mosca risuonava di proteste contro il regime, organizzate dai liberali. Ad un primo esame, tra questi eventi non c’è nessun legame, ma solo al primo. Ricostruiamo: ancora un paio di mesi fa, alle manifestazioni dei liberali partecipavano non più di 1000-2000 persone. Anche il 27 luglio sono arrivati gli stessi 1000-2000 moscoviti. Gli altri sono scesi nel centro della capitale spinti dal malcontento per la politica economico-sociale del potere. Le cause principali della loro rabbia sono il deficit di giustizia sociale, in primo luogo e il peggioramento della crisi creata dal regime, in secondo luogo.
I liberali cercano di approfittare della situazione socio-politica, che sta cambiando nel paese e della concentrazione della rabbia popolare. La borghesia in modo sempre più evidente teme il crollo dell’attuale regime e perciò porta capitali fuori dalla Russia, nonostante il basso prezzo della forza lavoro, creato dal regime. Non è meno significativo che dal paese fugga non solo il capitale, ma anche chi lo possiede. La maggior parte degli oligarchi che hanno lasciato il paese, fino a ieri statalisti di taglio putiniano, non appena messo piede sul suolo straniero, si affretta a dichiarare la propria solidarietà con i liberali. I parvenus del capitale hanno iniziato a staccarsi dai parvenus al potere.
La borghesia è, probabilmente, quasi pronta a spianare la strada ai liberali con tendenza al brunismo non solo per la Duma cittadina di Mosca, ma anche per il Cremlino, pur di conservare l’onnipotenza della proprietà privata per almeno altri due decenni, ma questo non significa che il popolo lavoratore sostenga questa intenzione. Il malcontento per la caduta del salario reale e la crescita dei prezzi, per la mancanza di prospettive e il regime poliziesco e l’irritazione accumulata sono ciò che ha portato all’azione alcune migliaia di moscoviti il 27 luglio. Non hanno motivo di sostenere i liberali, che non porteranno giustizia e non difenderanno i poveri. È emblematico che propongano di sostituire la raccolta di firme con il contributo in denaro. Non nascondono neppure la loro smania che, grazie a questo, al potere siedano solo sacchi di denaro.
Per quanto riguarda le lettere di rappresentanti statali ufficiali della Russia a ministri, vice-premier e premier degli stati borghesi europei e d’oltreoceano con richieste di vietare gli scioperi nelle aziende russe all’estero, questi lo faranno il giorno stesso in cui riusciranno ad arrivare al potere politico. Già adesso si inchinano davanti all’Occidente e ai suoi idoli e c’è anche chi, sfacciatamente, propone di trasformare la Russia in uno stato degli USA.
Quindi, per la classe operaia e per tutti i lavoratori del nostro paese, sono ugualmente nemici sia l’attuale regime che i liberali che cercano di scalzarlo senza attendere una crisi a livello nazionale. Il sostegno a qualsiasi settore della borghesia, siano gli «statalisti» alla Putin o i liberali di qualsiasi specie e colore, equivale a una prevedibile sconfitta della classe operaia e una crescita del suo sfruttamento e della sua oppressione. Per i salariati e sfruttati del lavoro, sia fisico che intellettuale, sono praticabili solo l’eliminazione della dittatura del capitale e l’instaurazione del proprio potere, del potere operaio. Il PCFR è chiamato ad essere alla testa di questa lotta e deve esserlo. Questo è il lascito di Marx, Engels, Lenin, Stalin, questo è il volere dei caduti per la nostra Patria Sovietica.
Viktor TRUSHKOV
__________________________________
* Questo eccellente e molto tempestivo articolo è stato pubblicato sulla “Pravda” (№ 83 (30870) 2—5 agosto 2019) nella terza colonna «Fronte Operaio» dal suo consueto autore, Viktor Trushkov, dottore in scienze filosofiche. Bisogna riconoscere che Viktor Vasilievich è uno dei pochi analisti, rimasti nelle fila del PCFR e tra i redattori della “Pravda”, che possono essere definiti marxisti e a cui si può esprimere rispetto per il lavoro svolto sul tema del movimento operaio con la rubrica “Fronte Operaio”. Al tempo stesso bisogna esprimere all’autore compassione, come uomo e come studioso, perché i suoi materiali sono obbligati a concludersi con pii desideri di come dovrebbe essere il PCFR. In forza della disciplina di partito e della sua posizione subordinata nell’organo principale del partito, Trushkov non può dichiarare che l’odierno PCFR e la sua dirigenza agiscono in modo direttamente antitetico alla teoria marxista-leninista. Più semplicemente, Zyuganov & Co. fanno dei lavoratori non dei combattenti, ma dei mendicanti e li mantengono nell’illusione della possibilità di vittoria in elezioni oneste in condizioni di ordinamento borghese e nella fiducia verso certi programmi di misure inventate di miglioramento del capitalismo. Per non parlare del fatto che il PCFR sempre più apertamente sostiene Putin come presunto presidente patriota, ostacolato dai malvagi liberali del governo. Anche in questo articolo Viktor Vasilievich proclama che “solo con la liquidazione della dittatura del capitale e l’instaurazione del potere operaio è possibile risolvere radicalmente la questione a vantaggio dei lavoratori e delle masse sfruttate” e, ancora una volta, implora il partito, sostenendo che il PCFR può e deve essere alla testa di questa lotta. “Questo è il lascito di Marx, Engels, Lenin, Stalin, questo è il volere dei caduti per la nostra Patria Sovietica”.
Come si suol dire, beato chi ci crede, la speranza è l’ultima a morire. Ma quale speranza, quando hanno tirato fuori il “limite per la rivoluzione” già nel secolo scorso?
Per altro, l’articolo è opportuno e utile, leggetelo.
Viktor Tyulkin, Primo Segretario del CC di ROT FRONT