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Parigi anno zero?

Su Repubblica di venerdì 6 gennaio la befana ci porta un garbato articolo di Bernard-Henri Lévy, in cui il “filosofo” invoca niente di meno che il bombardamento a tappeto di Mosca. Naturalmente le sue parole non sono queste, ma come si evince dalla lettura fino alla fine del suo articolo, il senso è inequivocabilmente questo.

Sorvoliamo sugli strafalcioni storici. Il primo, disgustoso, confonde (forse a causa della sua conoscenza storica basata sul film Il nemico alle porte del suo compatriota Jean-Jacques Annaud) i combattimenti di Stalingrado con il ruolo dei reparti dei carabinieri italiani nella Prima Guerra Mondiale (vedere al proposito il film di ben altro calibro Uomini contro del nostro indimenticato Francesco Rosi). Il secondo, ridicolo, in cui trasforma la, per quanto gloriosa, sconfitta spartana alle Termopili in una vittoria.

Lasciamo perdere la sua visione geostrategica di una profondità millimetrica, quando lui, esperto politico che ha sostenuto nel 1985 i Contras in Nicaragua e il martirio della Libia nel 2011, polemizza con un dilettante della politica come Henry Kissinger.

Superiamo anche l’orrore che suscita in ogni essere umano la frase che usa: «Questa guerra, come tutte le guerre, alla fin fine è fatta di corpi che si scagliano gli uni contro gli altri. Da un lato corpi eroici che si assumono, con cognizione di causa, il rischio di morire.» Tanto ben inteso il corpo non è né il suo né quello dei suoi cari e neanche, al momento, quello dei suoi concittadini.

La sostanza è questa: cari ucraini, dovete andare a morire per salvare l’Occidente: «È necessario che la Russia capitoli se vogliamo che la Cina arretri a Taiwan. … oppure nessuno potrà vietare al neosultano Erdogan di far avanzare le sue pedine nei Balcani, in Siria, perfino in Grecia.»

Insomma, la riproposizione di “se non li fermiamo a Saigon, i Rossi sbarcheranno sulle coste della California”.

Ma qui c’è di più.

«Possa la terza rivoluzione russa, quella che verrà, essere quella buona e segnare la fine dei demoni che possiedono perfino alcuni degli spiriti migliori del Paese. Russia anno zero. Come per la Germania nel 1945, è questa la speranza.»

Qui il riferimento è ancora a un altro film, Germania anno zero del 1948 del sommo Roberto Rossellini, terza pellicola della “trilogia della guerra” insieme a Roma città aperta e Paisà, ambientato un anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nella Berlino totalmente distrutta. Per chi ha visto quel capolavoro della cinematografia, non può sfuggire il profondo senso di pietà che il regista ha infuso in quell’opera. La fine disperata e disperante induce lo spettatore a una sola riflessione: MAI PIÙ. Rossellini non giudica, ma osserva con gli occhi di chi quell’orrore lo vive.

Chiederei all’illustre filosofo Bernard-Henri Lévy, se i Vietnamiti, i Nicaraguensi, i Libici e con essi buona parte degli abitanti dell’Africa, invocassero la distruzione della sua (e nostra) cara Parigi, cosa ne penserebbe? Se gli Afgani, gli Irakeni, i Siriani, i Coreani … (ma ci fermiamo qui perché non basta lo spazio) invocassero l’incenerimento di Washington e New York?

Per fortuna tutti quei popoli sono molto più umani dell’illustre filosofo umanista.

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Bernard-Henri Lévy è il massimo rappresentante della nouvelle philosophie, la visione politica è ispirata principalmente ad Alexis de Tocqueville e altri filosofi liberali come Karl Popper.

Amico di Nicolas Sarkozy dal 1983, ha anche sostenuto anche il Partito Socialista. Nel 1985, firma una petizione a favore dell’armamento, da parte degli Stati Uniti, dei Contras, i gruppi paramilitari di estrema destra attivi in Nicaragua durante la guerra contro il governo sandinista sostenuta da Ronald Reagan. La sua visita pubblica a Bengasi fu considerata di fondamentale importanza per il sostegno del presidente Nicolas Sarkozy all’intervento militare nella guerra civile libica del 2011.

(da Wikipedia)

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