“E allora le Foibe?”, intervista a Eric Gobetti

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“E allora le Foibe?”, intervista a Eric Gobetti

Pubblichiamo con molto piacere una breve intervista a Eric Gobetti, storico specializzato in Storia dell’Europa Orientale e della Resistenza, riferita al suo ultimo lavoro, “E allora le Foibe?”, un saggio breve a carattere divulgativo.

Oltre a pubblicare l’intervista, ci preme anche esprimere la nostra solidarietà a Eric. Gli attacchi e gli insulti che arrivano da destra rappresentano bene il valore che questi assegnano alla questione delle foibe, e il valore è il tentativo di riabilitare il fascismo e screditare la Resistenza.

 

1) Quale era il tuo obiettivo? Per chi e perché hai scritto questo saggio breve?

Questo è un libro scritto per rendere accessibile a tutti la conoscenza di questi eventi, al di là delle strumentalizzazioni politiche. L’intento è quello di portare alla luce i risultati della ricerca storica, ormai condivisi dalla maggior parte degli studiosi, ma che non sembrano avere spazio nel discorso pubblico. E dall’altra parte evidenziare i principali problemi invece del discorso pubblico, e soprattutto del suo uso politico da parte (ma non solo) dell’estrema destra.

 

2) Perché proprio nel 2004 è stato istituito il giorno del ricordo? Quali condizioni politiche lo hanno favorito?

In quegli anni c’era una particolare congiuntura politica, che spingeva i rappresentanti dei partiti eredi del fascismo e del comunismo verso una reciproca accettazione (ricorderete gli incontri tra Violante e Fini e i discorsi sui “ragazzi si Salò”). Entrambi quei partiti (AN e PDS) avevano necessità di ri-legittimarsi: i primi portando alla ribalta una memoria storica di cui si erano da tempo appropriati, i secondi presentandosi come partito “nazionale”, riconoscendo le vittime di un crimine comunista ai danni di italiani. La vicenda delle foibe, più che l’esodo, era perfetta per entrambi, anche se veniva declinata in termini diversi, che potremmo riassumere con la parabola dei due film realizzati dalla Rai sul tema: Il cuore nel pozzo e Rosso Istria. Nel primo film i “cattivi comunisti stranieri” perseguitano gli italiani; nel secondo personaggi similmente grotteschi aggrediscono i fascisti. In quindici anni dunque le vittime “italiane” sono diventate “fasciste”: sta dunque trionfando l’immaginario vittimista neofascista?

 

3) Nel libro sostieni che Il Giorno del Ricordo rischia di trasformarsi in una commemorazione fascista. Sembra però che ci sia una convergenza ampia di tutte le forze politiche. Il ruolo della destra ci sembra ovvio. Ma a sinistra che succede?

La “sinistra”, ovvero il PD e le forze politiche limitrofe, continuano a volersi rappresentare come “vero” partito nazionale, in competizione con partiti politici ben più credibili sul piano del nazionalismo revanscista, e che infatti utilizzano anche questa tragedia per acquisire consenso. A me sembra che ormai sia dato per assodato, a livello politico, che questo Giorno è appannaggio delle destre, così come il 25 aprile è appannaggio delle sinistre. Il che è molto grave: va ribadito che la Resistenza è alla base della nostra Repubblica e della nostra democrazia, mentre una qualche rivalutazione del fascismo è del tutto inaccettabile, sotto qualunque forma.

 

4) E’ interessante la questione dell’identità. Nel libro ricostruisci lo scenario dell’Italia fascista impegnata nell’italianizzazione forzata nei territori istriano dalmati. Politiche imperiali e razziali si fondono. Eppure, lo ricordi bene nel libro, nella narrazione corrente ci si dimentica tutto ciò. Anzi, gli italiani sono designati come vittime innocenti della furia etnica slava.

L’aspetto che vorrei sottolineare maggiormente è la particolarità dell’appartenenza identitaria in questo territorio. Su questa identità sfumata, mista, meticcia, si innestano politiche nazionaliste radicali, che trovano consenso ma anche incomprensione da parte degli stessi italiani di quest’area. È un fenomeno tipico: il nazionalismo sfrutta le identità di frontiera, ma in definitiva contribuisce anche a distruggerne la specificità, recidendo i legami con le altre comunità esistenti sul territorio. Un fenomeno di violenza ma anche di “semplificazione” identitaria che porta ad un impoverimento culturale. Gli italiani che se ne vanno, dopo 25-30 anni di contrapposizione voluta dal fascismo, non sono più quelli dell’Impero austro-ungarico, ma non sono nemmeno gli italiani del resto d’Italia. Questa sensazione di straniamento, di sentirsi stranieri in patria è infatti quasi un topos delle memorie degli esuli.

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