Partito Comunista al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori della Corneliani

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Partito Comunista al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori della Corneliani

Abbiamo portato la solidarietà del Partito Comunista alle lavoratrici ed ai lavoratori della Corneliani, la storica fabbrica di abbigliamento mantovana che, a seguito della cessione della quota maggioritaria della proprietà ad un fondo saudita ad opera di un ramo della famiglia che la gestiva da decenni, è ora in concordato preventivo.

Una procedura questa che prospetta tre vie d’uscita: il reperimento di un socio che saldi i debiti, l’innesto di capitale da parte dei soci esistenti per coprirli o la liquidazione, di fatto il fallimento dello storico marchio.

Parlando con le lavoratrici che, alla notizia della richiesta di concordato, sono scese in sciopero con picchetti davanti ai cancelli,  si tocca con mano una sorta di rassegnazione, di stanchezza, dopo tante lotte portate avanti per difendere il posto di lavoro. (in passato le lavoratrici tessili del marchio hanno reagito con forza ai tentativi di ridimensionare il settore attraverso le delocalizzazioni).

Anche per Corneliani ravvisiamo l’applicazione dell’ormai consueto paradigma che ha privato il territorio mantovano di una serie ormai infinita di marchi ed aziende che, in passato, ne avevano segnato il prestigio e la ricchezza a differenza di molte altre province lombarde.

Tutto è andato in fumo: dalla SOGEFI del Gruppo CIR Di Benedetti ora attiva in Irlanda, alla Bellelli fortemente ridimensionata, oggi di proprietà di un fondo USA, dalla raffineria ex ICIP, oggi stoccaggio di materie prime senza che l’area sia stata bonificata fino alla ex Cartiera Burgo, chiusa e ridotta a poche unità lavorative visto che la scellerata proposta del nuovo proprietario Zago di costruire quel combustore che da nessuna altra parte volevano, pare non si faccia.

Tutti gli esempi hanno un unico comune denominatore: si trattava di aziende costruite e portate all’apice industriale da imprenditori locali che, in tempi recenti, alla prima buona occasione, hanno venduto, lasciando patrimonio industriale e produttivo in mano a multinazionali, fondi più o meno speculativi,  privi di quei legami col territorio che, in passato,  avevano dato vita a confronti serrati fra proprietà e lavoratori ed impedito chiusure, riduzioni di organico, delocalizzazioni, permettendo alle lotte per il lavoro di portare a casa risultati positivi.

Oggi la situazione è peggiorata a tal punto che nemmeno si sa più chi è il padrone.

E ripercorrendo le strade della provincia, rivediamo i precedenti dei calzifici dell’alto mantovano e poi dell’indotto Ex Iveco della bassa.

La percezione che ai sauditi e al ramo familiare rimasti in azienda, la questione non interessi, è confermata dal fatto che la stessa produzione è in pieno caos dato che nemmeno le mansioni sono state confermate.

Vanno quindi si percorse tutte le strade per salvare il salvabile, trattandosi di 200 famiglie che rischiano di trovarsi in strada ma  per noi è doveroso ripetere quanto sempre ribadito.

Il padronato che sia nazionale (quel poco rimasto) che multinazionale, nei momenti di crisi come in quelli di benessere, quando può massimizzare i profitti, cede le aziende e fa cassa, sacrificando, per prima cosa,  i lavoratori, puntando a delocalizzare nei paesi dove il costo del lavoro è irrisorio, non esiste consapevolezza ancor prima che coscienza di classe e diritti e garanzie sono di fatto inesistenti,  mentre le sedi fiscali vengono bellamente spostate nei paradisi fiscali.

Il fatto che in entrambi i casi,  paesi del genere si trovino nella “medesima, amata”  Europa, è esemplificativo di quanto anche il termine comunitario lasci il tempo che trova,  laddove gli interessi comunitari dei più forti prevalgono in fatto ed in diritto sugli interessi comunitari dei più deboli.

La responsabilità politica va ricercata tutta e solo nella classe dirigente del nostro paese che ha permesso queste modalità come usuali, di normale gestione dei capitali, sostenendo sempre e solo scelte ed interessi padronali, economici / finanziari con o senza bandiera e sacrificando totalmente quelle dei lavoratori e dell’intero tessuto sociale che, ad ogni chiusura, risulta sempre più impoverito e disgregato.

Saremo al fianco dei lavoratori, per recuperare qualsiasi posizione perché si tratta della nostra vita, della sopravvivenza delle nostre famiglie ma lo ribadiamo ancora e sempre come  occorra e con urgenza, un modello diverso di società che metta al primo posto la dignità del lavoro e  non lo sfruttamento, una società giusta, socialista, dove potremo lavorare tutti e meno, senza ricatti, nel rispetto dei diritti e non nel fiorire di previlegi.

Monica Perugini, Partito Comunista, Mantova

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